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Le dimostrazioni non esauriscono il dibattito sul razzismo

una manifestante che indossa una mascherina protettiva
Le manifestazioni antirazziste dagli Stati Uniti si sono diffuse in tutto il mondo e hanno aperto la porta in Svizzera a un dibattito sul razzismo e la discriminazione degli stranieri. Ashlee Rezin Garcia/sun-times

Il dibattito avviato dal movimento "Black Lives Matter" su termini o simboli razzisti sempre in uso ha interessato anche la Svizzera. Ma ciò non ci distrae dal vero problema, vale a dire il razzismo strutturale nel sistema educativo, nel mercato immobiliare e in quello del lavoro? Le opinioni di due esperti sulla necessità di questi dibattiti, sul potere del linguaggio e su come dovremmo trattare il passato.

Le attuali discussioni sul razzismo in Svizzera hanno dimostrato che il concetto di razzismo non è né chiaramente definito né ben delimitato. L’elenco dei nomi, libri o monumenti qualificati di razzisti continua ad allungarsi. Per non parlare del dibattito che si accende ad ogni carnevale sui tabù e sui limiti dell’umorismo. In tale contesto, l’argomento contro l’accusa di razzismo è generalmente che durante il carnevale, molte cose sono permesse purché dietro non ci siano cattive intenzioni.

“Il termine «razzismo» designa un’ideologia che, fondata su una suddivisione degli esseri umani in gruppi supposti naturali (le cosiddette «razze») in base all’appartenenza etnica, nazionale o religiosa, giustifica la supremazia di uno sugli altri. Le persone non sono giudicate e trattate come individui, ma come appartenenti a gruppi pseudo-naturali con caratteristiche collettive ritenute immutabili”.

L’espressione «discriminazione razziale» definisce ogni azione o pratica che senza giustificazione alcuna svantaggia determinate persone, le umilia, le minaccia o ne mette in pericolo la vita e/o l’integrità fisica a causa delle loro caratteristiche fisionomiche, etniche, culturali e/o religiose. A differenza del razzismo, la discriminazione razziale non ha necessariamente un fondamento ideologico. Può essere intenzionale, ma anche, e non di rado, involontaria (si pensi alla discriminazione indiretta o alla discriminazione strutturale).

Fonte:Servizio per la lotta al razzismoCollegamento esterno

Personalmente, noto spesso stereotipi sugli arabi in libri o in canzoni per bambini, ad esempio in quelli del cantautore svizzero tedesco Mani Matter “Mia zia viene dal Marocco” o “Dr Sidi Abdel Assar di el Hama”. La zia marocchina si sposta sul dorso del cammello e spara con due pistole. Sidi Abdel Assar avrebbe voluto sposare una bella ragazza araba, ma non può perché non può permettersi la dote di 200 cammelli.

Parole che descrivono gli arabi con carovane di cammelli, come cent’anni fa. Anche i reportage dei media sul mondo arabo sono spesso illustrati con foto di animali per le strade, in particolare asini. Mi chiedo sempre se ci sono davvero così tanti asini da noi e se, a differenza dei giornalisti occidentali, semplicemente io non li noto. Questo certamente modella la visione del mondo dei lettori. Ma è razzismo?

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Non distrarsi dai veri problemi

Miryam Eser Davolio, professoressa presso l’Istituto per la diversità e la giustizia sociale dell’università di scienze applicate di Zurigo, afferma: “È necessario distinguere tra razzismo e altri concetti come mettere etichette, alterizzazione o discriminazione “. L’uso di queste immagini del mondo arabo non è negativo in sé. “Tuttavia, se sono generalizzate, allora si tratta di uno stereotipo”, osserva Miryam Eser Davolio. Ciò che è importante, tuttavia, è che siano mostrate diverse sfaccettature. “La manifestazione di differenze e della diversità non è razzismo. È solo quando questo è collegato con un giudizio di valore, ad esempio con una nozione di inferiorità, che si può parlare di razzismo”.

La specialista ritiene che sia meglio adottare un approccio più differenziato di questi stereotipi. Per lei, si tratta di concentrarsi in priorità sui settori della vita in cui le persone sono trattate in modo disuguale a causa di questi pregiudizi: “Questa controversia sulla nomenclatura linguistica è importante, ma non possiamo cancellare tutto. Essa non dovrebbe distrarci dal vero problema, vale a dire il razzismo strutturale”. Ciò include, ad esempio, la profilazione razziale, la discriminazione nella ricerca di lavoro, l’esclusione delle minoranze o lo sfruttamento di altri Paesi.

La forza del linguaggio e la sua funzione

Urs Urech, direttore della Fondazione per l’educazione alla tolleranza a Zurigo, vede il linguaggio come uno specchio del pensiero e un motore del comportamento. Sottolinea il potere della lingua e la sua funzione. La paragona a un essere vivente che cambia in continuazione. “Concetti e stereotipi devono essere discussi perché sono rivelatori dell’atteggiamento e del comportamento della persona. Li si devono interrogare”.

L’esperto ritiene che vi sia un’interdipendenza tra linguaggio discriminatorio e comportamento razzista: “Il razzismo è prima di tutto un atteggiamento. Solo allora interviene l’azione”. Ciò può manifestarsi, ad esempio, nel comportamento di voto, nelle donazioni a partiti e organizzazioni o nel comportamento di acquisto.

“È proprio nelle battute scherzose che si rivela il proprio atteggiamento nei confronti della lingua e si impara ciò che è socialmente accettabile”

Urs Urech, direttore della Fondazione per l’educazione alla tolleranza a Zurigo,

La lingua svolge un ruolo molto importante, perché stereotipi e pregiudizi creano un potenziale di conflitto. Urs Urech cita come esempio il sessismo e la discriminazione nei confronti delle donne. Quando gli uomini fanno battute sulle donne, ci si deve chiedere se pensano davvero di avere più valore di loro. “È proprio nelle battute scherzose che si rivela il proprio atteggiamento nei confronti della lingua e si impara ciò che è socialmente accettabile”, afferma lo specialista.

Come Miryam Eser Davolio, anche Urs Urech sottolinea che si deve fare questo dibattito. Ma non deve servire a distogliere l’attenzione dalla vera ingiustizia sociale e dalla discriminazione: “Se un club di basket proibisce di indossare il velo, è una discriminazione. Anche se le misure per proteggersi dalla Covid-19 non sono applicate nei centri di transito dei rifugiati perché i responsabili ritengono che non sia importante si tratta di discriminazione”.

In definitiva, è una combinazione tra atteggiamento e oppressione, tra linguaggio razzista e razzismo sistematico. “Si deve combattere entrambi”, afferma Urs Urech. Se, ad esempio, la direzione di una scuola deve intervenire in seguito a problemi di molestie o razzismo, ciò significa che ha agito troppo tardi e che non ha avuto luogo alcuna vera discussione, osserva lo specialista. Al contempo, la società deve affrontare una discriminazione sistematica nel mercato del lavoro o dell’alloggio, come pure all’interno del sistema educativo.

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Cosa fare con il passato?

Il dibattito sul razzismo si complica ulteriormente quando si estende alla storia svizzera, ai classici della letteratura o ai monumenti. Durante le azioni del movimento antirazzista Black Lives Matter, tali questioni sono state trattate dai media come se “il razzismo fosse stato riscoperto”, deplora Miryam Eser Davolio. La professoressa universitaria è chiaramente contraria alla demolizione dei monumenti, ma caldeggia maggiori spiegazioni sul contesto storico e sulle controversie ad esso associate. Invece di rimuovere quelli vecchi, si dovrebbero erigere nuovi monumenti, contro il razzismo. Questo vale anche per i libri. “Sarebbe una grande perdita per i bambini se non potessero più leggere i classici della letteratura. Ma i termini e le immagini problematici devono essere discussi”, rileva.

Urs Urech suggerisce di non leggere questi libri ai bambini piccoli o di raccontarli loro in altro modo. “Si dovrebbe aspettare che i bambini abbiano raggiunto un’età in cui sono in grado di comprendere il contesto storico prima di leggere questi libri”, consiglia. Egli ritiene che sia importante discutere l’uso di determinati termini e forse anche riscrivere o riformulare determinati testi con i bambini.

“Il razzismo esisterà sempre, anche senza  migranti”

Scientificamente, non si è ancora potuto spiegare come sorgano pregiudizi nei giovani. Miryam Eser Davolio ritiene, tuttavia, che derivino soprattutto dal rifiuto della differenza. Per lei, le persone temono di essere sostituite e quindi cercano di escludere l’altro, lo straniero. “Se un bambino cresce secondo un certo modello sociale, credendo che questo modello sia la norma sociale, è difficile accettare qualsiasi altra cosa”, afferma.

Il dibattito sul razzismo è infinito e il razzismo esisterà sempre, osserva Urs Urech. Anche se non ci fossero migranti: “Nei villaggi dove non ci sono stranieri, altre persone vengono ridicolizzate, insultate o emarginate; perché hanno genitori divorziati o due padri o nessuna madre o perché sono cresciuti in un istituto”.

Traduzione dal francese: Sonia Fenazzi

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