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I francesi si lanciano nel referendum popolare

aeroporto
Al primo posto come gestore aeroportuale, il Gruppo ADP registra 281,4 milioni di passeggeri. Il gruppo gestisce una rete di aeroporti in tutto il mondo attraverso l'ADP International, una sua filiale che controlla 24 scali in 13 Paesi con un totale di 176 milioni di passeggeri nel 2018, secondo il settimanale Air&Cosmos. Copyright 2019 The Associated Press. All Rights Reserved.

Servono 4,7 milioni di firme per bloccare la privatizzazione degli aeroporti di Parigi tramite un referendum popolare. Si tratta di una novità assoluta per la Repubblica francese ed è uno strumento che il presidente Macron intende perfezionare. Ma in seno al potere serpeggia già la paura.

“Facciamo decollare il referendum”, è scritto sui cartelloni che rivestono la Borsa del lavoro di Saint-Denis. È qui, nel cuore di questa città popolare della periferia parigina, che un mercoledì sera è stata lanciata la raccolta delle firme per il referendum contro la privatizzazione degli aeroporti di Parigi.

Non si firma però a mano un formulario cartaceo, come in Svizzera, bensì online. “Mi ci sono voluti 25 minuti per completare il modulo di sostegno pubblicato sulla pagina Web del Ministero dell’interno”, racconta con una punta di disappunto Clémentine Autain, deputata del partito La France insoumise (sinistra radicale). “Suggerisco di condividere le nostre esperienze negative legate al malfunzionamento del sistema informatico”.

Si tratta di una novità assoluta nella storia della Francia. Per la prima volta saranno i cittadini a indire un referendum popolare, se entro nove mesi le firme raggiungeranno il 10 per cento dell’elettorato, ossia se la richiesta sarà sottoscritta da 4,7 milioni di francesi. “In nove mesi siamo capaci di fare nascere degli splendidi bambini”, sorride Clémentine Autain. In Svizzera, il 10 per cento dell’elettorato corrisponderebbe a 500mila firme, ma per la riuscita del referendum elvetico ne occorrono 50mila.

“Si fa di tutto affinché non funzioni”

Guy Lecroq, militante comunista, descrive le prossime tappe per raggiungere il traguardo. “Dobbiamo darci da fare fino all’inizio dell’estate. Poi, dopo le vacanze, rilanciare la campagna durante la festa dell’Huma”, afferma. La festa dell’Humanité è un evento organizzato ogni anno in settembre dall’omonimo giornale, che riunisce i sostenitori del partito comunista francese e altre organizzazioni politiche di sinistra. Nel 2018, la manifestazione in tre giorni ha attirato 800mila partecipanti.


Il Ministero dell’interno ha avuto alcune difficoltà di gestione del sitoCollegamento esterno per la raccolta delle firme. “Per partecipare è necessario avere la tessera elettorale. Tuttavia l’Istituto nazionale di statistica e studi economici, responsabile della registrazione dei dati, commette degli errori con i nomi. Per farlo funzionare dobbiamo quindi evitare di fare questi sbagli”, spiega Guy Lecroq.

“Si di tutto affinché non funzioni”, sostiene Olivier Faure, il leader del Partito socialista. L’idea di lanciare un referendum popolare è sua e di alcuni altri deputati socialisti al Parlamento europeo.

Sistema difettoso

A quel tempo, centinaia di migliaia di “gilets jaunes” protestavano in tutta la Francia. Il loro slogan: “Macron, dimissioni!”. Ma anche: “Referendum d’iniziativa cittadina!”. Quest’ultimo è una specie di miscuglio esplosivo tra iniziativa popolare e referendum facoltativo elvetici.

Come funziona il RIP

Una proposta di legge deve essere depositata da almeno un quinto dei membri del parlamento. Il Consiglio costituzionale verifica se il progetto di legge riguarda “l’organizzazione dei poteri pubblici, le riforme relative alla politica economica, sociale o ambientale della nazione”.

Al termine del periodo di raccolta delle firme (per via elettronica, della durata di nove mesi), il Consiglio costituzionale controlla se la proposta è stata sostenuta da almeno il 10 per cento degli elettori iscritti.

Se la proposta di legge non viene discussa entro sei mesi almeno una volta da ciascuna delle due assemblee (Assemblea nazionale e Senato), il presidente della Repubblica chiama il popolo alle urne.

I “gilet gialli” vogliono ridare la sovranità al popolo in un Paese dove l’esecutivo decide quasi tutto. Emmanuel Macron è criticato, indebolito. I parlamentari dell’opposizione, sia di destra che di sinistra, vogliono approfittare del momento di difficoltà del presidente francese. Totalmente impotenti in parlamento, vista la stragrande maggioranza del partito presidenziale, hanno riesumato uno strumento mai utilizzato per bloccare il progetto di privatizzazione degli aeroporti di Parigi: il referendum d’iniziativa condivisa (référendum d’initiative partagée, RIP).

Uno strano sistema, piuttosto sbilenco, inventato nel 2008 dall’allora presidente Nicolas Sarkozy. Non è un referendum di tipo svizzero, poiché richiede, da una parte, l’accordo di un quinto dei parlamentari e dall’altra il sostegno di almeno un decimo degli elettori iscritti.

Sul palco della “Borsa del lavoro” di Saint-Denis si scopre con sorpresa che i responsabili politici di sinistra chiacchierano allegramente con quelli di destra, fatto raro in Francia. La radicale Clémentine Autain scherza con Gilles Carrez, del partito di destra Les Républicains. L’inizio di un consenso alla svizzera?

“È un incontro un po’ insolito”, ammette il deputato comunista Stéphane Peu. “L’asticella del referendum è stata posta talmente in alto che solo unendoci abbiamo qualche possibilità di riuscita”.

Si discute sul sistema svizzero

Il RIP non soddisfa nessuno in sala. Qualcuno sogna un referendum d’iniziativa cittadina come reclamato dai “gilet gialli”, che non solo permetterebbe di lanciare delle iniziative e di controllare le decisioni parlamentari, ma anche di destituire un deputato. C’è chi si rifà anche al sistema elvetico. “Non ci accontentiamo del RIP”, indica il numero uno del partito socialista Oliver Faure. “Dobbiamo però trovare dei modelli e adattarli alla Francia”.

“Chiamare regolarmente alle urne i cittadini come avviene in Svizzera non mi pare una buona soluzione”, continua il deputato. “Per promuovere l’interazione tra il popolo e i suoi rappresentanti proponiamo i cosiddetti emendamenti cittadini, grazie a cui gli elettori possono chiedere all’Assemblea nazionale di discutere le loro proposte, se queste ultime sono sostenute da almeno 15mila firme”.

Il referendum fa paura

Alla fine del “grande dibattito nazionale”, lanciato in risposta alla crisi dei “gilet gialli”, il presidente Emmanuel Macron ha promesso di abbassare il numero di firme necessarie per la riuscita del referendum da circa 5 milioni a 1-2 milioni.

Anche se le possibilità di riuscita sono minime, il RIP mette comunque paura al nocciolo duro della Quinta Repubblica. “Non fa bene se i parlamentari correggono ciò che ha deciso il popolo”, sostiene il primo ministro Edouard Philippe. “E sarebbe altrettanto sbagliato se gli elettori dovessero sovvertire le decisioni prese dall’Assemblea nazionale. Dobbiamo quindi fare in modo che il RIP rimanga uno strumento della democrazia diretta e non un’arma per contestare il parlamento”. In altre parole, a suo parere, è difficile far coesistere la democrazia rappresentativa e quella diretta.

La Francia rimane la Francia, ossia una democrazia rappresentativa. Ma anche un Paese molto polarizzato da un punto di vista politico. Chi usa la parola “referendum” sembra voglia mettere in discussione il presidente della Repubblica, mentre invece si tratta di discutere su un tema che sta a cuore ai cittadini, in questo caso sulla privatizzazione degli aeroporti di Parigi. La parola “referendum” fa appunto paura.

Ruffin si lancia nella mischia

Per qualcuno, il deputato del partito La France insoumise François Ruffin vuole trasformare questa campagna in una sorta di referendum anti-Macron. “La democrazia significa prendere in mano il nostro destino comune”, sostiene Ruffin. “E dobbiamo fare un passo, anche se piccolo. Ed è ciò che ci permette di fare il referendum d’iniziativa condivisa, il primo della nostra storia. Iniziamo dall’asfalto degli aeroporti, per poi passare alle scuole, alle foreste, ai treni, ai reparti maternità negli ospedali, ai tribunali”.

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A François Ruffin, che ha una grande “voglia di referendum”, il primo ministro Edouard Philippe ha risposto: “I democratici non hanno paura di una votazione o di un’elezione”, usando il termine “votazione”, che ha una connotazione fortemente svizzera, ma poco francese.

La Francia sarà capace di accettare il referendum, evitando di farne un voto puramente politico? “Tutti i sostenitori sinceri, me compreso, di una complementarità tra democrazia rappresentativa e democrazia diretta dovrebbero quindi stare attenti a non cadere nella trappola della personalizzazione della procedura referendaria”, scrive Jacques Julliard, uno dei più rinomati editorialisti francesi sulle pagine del settimanale Marianne. “Seguiamo l’esempio della Svizzera, il Paese di riferimento, dove l’esecutivo non viene messo in discussione dai risultati di un referendum su un progetto particolare”.

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(Traduzione dal francese: Luca Beti)

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