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Addio all’atomo… entro il 2034

Per Doris Leuthard, quella di mercoledì è stata "una giornata storica". Keystone

La Svizzera dovrebbe progressivamente abbandonare l’energia nucleare, spegnendo tutte le centrali alla fine del loro ciclo di vita, di presumibilmente 50 anni. L’ultima a chiudere dovrebbe essere quella di Leibstadt nel 2034. Lo ha deciso mercoledì il governo.

Salvo parere contrario del parlamento, nella Confederazione l’energia nucleare ha ormai gli anni contati.

Il progetto di sostituire le vecchie centrali atomiche costruendone delle nuove, rilanciato appena qualche mese fa quando l’Ispettorato federale della sicurezza nucleare aveva dato il suo accordo di principio a tre progetti, è stato definitivamente affossato dalla catastrofe di Fukushima.

Una durata di vita flessibile

Mercoledì, il governo svizzero ha infatti deciso di abbandonare gradualmente questo tipo di energia, stabilendo che gli impianti esistenti dovranno essere disattivati alla fine del loro ciclo di vita, «di presumibilmente 50 anni», e che non saranno sostituiti.

Il primo reattore ad essere messo fuori servizio dovrebbe essere quello di Beznau I nel 2019. Seguiranno Beznau II e Mühleberg nel 2022, Gösgen nel 2029 e Leibstadt nel 2034. Nella conferenza stampa organizzata a Berna, la ministra dell’ambiente, dei trasporti, dell’energia e delle comunicazioni Doris Leuthard ha precisato che si tratta di date indicative e che gli impianti – se ritenuti sicuri dagli esperti – potrebbero essere sfruttati ancora per qualche anno in più. «Potrebbero essere disattivati anche dopo 60 anni, così come dopo 40 o 45; ad essere rilevante sarà il fattore sicurezza e non politico», ha dichiarato la Leuthard.

Le opzioni sul tavolo del governo erano tre: il mantenimento dell’attuale mix di corrente elettrica e l’eventuale sostituzione anticipata delle tre centrali nucleari più vecchie, il graduale abbandono dell’energia nucleare non sostituendo gli impianti atomici al termine del loro ciclo di vita (la variante scelta appunto mercoledì) oppure l’abbandono anticipato del nucleare.

Sostenibile sul piano economico

Secondo il governo, «un abbandono graduale [dell’energia atomica] è possibile a livello tecnico e sostenibile sul piano economico». La trasformazione del «vetusto parco europeo» delle centrali elettriche causerà un aumento dei prezzi della corrente in tutto il continente, ciò che attenuerà le ripercussioni di un abbandono progressivo dell’atomo sulla competitività internazionale dell’economia svizzera. Tanto più che i costi per lo smantellamento delle centrali nucleari e per il miglioramento della loro sicurezza sono in crescita.

Dai primi calcoli, ancora molto approssimativi, il costo economico legato alla ristrutturazione del parco energetico, alla costruzione di nuove centrali elettriche e alle misure per ridurre il consumo, dovrebbe essere compreso tra lo 0,4 e lo 0,7% del prodotto interno lordo.

«Oggi abbiamo preso una decisione di principio, con la quale abbiamo voluto inviare un segnale chiaro alla popolazione, all’economia e al mondo della ricerca. Tutti saranno chiamati a dare il loro contributo per realizzare questo obiettivo», ha dichiarato la ministra dell’energia.

Doris Leuthard ritiene inoltre che l’abbandono dell’energia nucleare può rappresentare un’opportunità per il paese: le nuove tecnologie nel settore ‘cleantech’ potrebbero diventare una «locomotiva» per l’economia svizzera.

Come assicurare l’approvvigionamento?

Per garantire la sicurezza dell’approvvigionamento elettrico (le centrali atomiche producono quasi il 40% dell’energia elettrica consumata in Svizzera), il Consiglio federale, nel quadro della nuova strategia energetica 2050, ha fissato otto priorità.

In particolare si tratterà prima di tutto di ridurre il consumo di energia elettrica, rafforzando l’efficienza energetica e sensibilizzando la popolazione a un suo uso parsimonioso. Senza misure in tal senso, ha sottolineato Doris Leuthard, la domanda di elettricità potrebbe aumentare fino a 90 miliardi di kWh all’anno nel 2050, il 50% in più rispetto ad oggi.

Il governo prevede inoltre di ampliare l’offerta di energia elettrica, rafforzando la produzione di corrente idroelettrica e rinnovabile e non escludendo di far ricorso anche a corrente prodotta da combustibili fossili. Naturalmente si dovrà continuare a far capo all’importazione di energia, anche di origine nucleare, ha precisato la consigliera federale. Un altro punto importante è l’ampliamento e la trasformazione delle reti di trasporto fino alla realizzazione di «smart grid», delle «reti intellligenti» che permettono l’interazione diretta tra consumatori, rete e produzione e «racchiudono un enorme potenziale».

Soddisfazione e critiche

La decisione del governo è stata accolta positivamente dai principali partiti svizzeri, ad eccezione dell’Unione democratica di centro. Il Partito socialista (PS) e quello ecologista si sono detti soddisfatti, sottolineando però che la durata di vita di 50 anni è troppo elevata, in particolare per gli impianti di Mühleberg e Beznau I, dove sono già stati riscontrati problemi a più riprese. Secondo il PS, il reattore di Mühleberg, alle porte di Berna, va addirittura fermato immediatamente. Il Partito popolare democratico (PPD), di cui fa parte Doris Leuthard, ha parlato dal canto suo di una «giornata storica». «Dopo la catastrofe di Fukushima, l’abbandono graduale dell’energia nucleare era l’unica politica possibile», ha dichiarato il presidente del PPD Christophe Darbelley.

Parziale soddisfazione è stata espressa pure dal Partito liberale radicale (PLR), che approva la decisione di non costruire nuovi impianti con la tecnologia esistente. Il PLR avrebbe però voluto che il governo non chiudesse la porta alle future nuove tecnologie nucleari. Il partito auspica che sia il popolo a pronunciarsi tra una decina d’anni, dopo le prime esperienze fatte in materia di approvvigionamento energetico e di progressi tecnologici.

L’Unione democratica di centro (UDC), al pari di economiesuisse, la federazione delle imprese svizzere, ha parlato dal canto suo di decisione «affrettata» e «irresponsabile», che mette in pericolo l’approvvigionamento energetico e che si tradurrà in un forte aumento dei costi per i cittadini e l’economia.

L’Associazione delle aziende elettriche svizzera ha espresso «una grande inquietudine» per una scelta che esclude «importanti criteri che permettono un approvvigionamento elettrico affidabile, economico e rispettoso del clima». L’associazione ha inoltre sottolineato che la decisione rappresenta di fatto un «divieto tecnologico», una prima nella politica energetica svizzera.

La Svizzera dispone di 5 impianti nucleari: Beznau I (1969), Beznau II (1971), Mühleberg (1971), Gösgen (1978) e Leibstadt (1984).

Queste centrali atomiche producono quasi il 40% dell’energia elettrica

consumata a livello nazionale. La parte rimanente proviene quasi esclusivamente da impianti idroelettrici.

Le nuove energie rinnovabili

(sole, vento, biomassa, ecc.) forniscono soltanto il 5%dell’energia elettrica e meno del 2% dell’energia complessiva consumata in Svizzera.

I due reattori di Beznau (Argovia) sono entrati in servizio nel 1969 e nel 1971. Di proprietà dell’azienda elettrica Axpo, utilizzano la tecnologia dell’acqua pressurizzata (PWR) e vengono raffreddati con l’acqua del fiume Aare. Ogni reattore ha una potenza di 730 Megawatt (MW).

La centrale di Mühleberg (Berna) appartiene invece all’Azienda elettrica bernese (BKW) ed è entrata in funzione nel 1972. Viene utilizzata la tecnologia dell’acqua bollente e il sistema di raffreddamento fa ricorso all’acqua dell’Aare.

La potenza dell’impianto, al centro delle critiche per le sue presunte lacune in materia di sicurezza, è di 373 MW.

La centrale di Gösgen (Soletta) è stata inaugurata nel 1979 e utilizza la tecnologia PWR. Il reattore viene raffreddato grazie a un’apposita torre per non riscaldare eccessivamente il fiume Aare.

L’impianto, di una potenza di 970 MV, appartiene per il 40% a Alpiq e per il 25% a Axpo. Il resto è controllato dalla città di Zurigo e da diversi altre aziende elettriche.

La centrale di Leibstadt (Argovia) è stata collegata alla rete nel 1984 e utilizza una tecnologia simile a quella di Mühleberg. Anche questo impianto dispone di una torre di raffreddamento.

La potenza del reattore è di 1165 MV. La centrale appartiene nella misura del 27,4% a Alpiq e del 22,8% a Axpo. Il resto appartiene a diverse altre società elettriche.

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