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“Bruxelles si renderà conto che la Svizzera non si sottrae ad alcun impegno”

Mario Gattiker e Roberto Balzaretti.
I negoziatori svizzeri Roberto Balzaretti (in primo piano) e Mario Gattiker il 16 ottobre 2018 dopo il fallimento dei negoziati a Bruxelles. swissinfo.ch

Berna e Bruxelles non riescono a raggiungere un'intesa su un accordo quadro. Il Consiglio federale mette comunque in consultazione l'esito dei negoziati. Paul Widmer, decano della diplomazia svizzera, valuta la situazione.

Il Consiglio federale ha annunciato oggi di avere incaricato il Dipartimento federale degli affari esteri (DFAE) di consultare le parti interessate in Svizzera sull’esito dei negoziati. Solo dopo avere avuto il responso, deciderà se firmare l’accordo istituzionale con Bruxelles.

Nelle trattative sull’Accordo istituzionale con Bruxelles sono stati compiuti passi avanti, ma non è stato possibile eliminare tutte le divergenze, ha puntualizzato in una conferenza stampa il ministro degli affari esteri Ignazio Cassis. Con questa ampia consultazione, il governo intende ora verificare che margine di manovra c’è, ha spiegato il capo della diplomazia elvetica.

Dal canto suo, il ministro delle finanze Ueli Maurer, ha sottolineato che adesso occorre evitare di andare verso una situazione di blocchi reciproci. Il dossier è importante per la Svizzera, ha rilevato.

Il presidente della Confederazione Alain Berset ha informato personalmente questo stesso pomeriggio il presidente de la Commissione europea Jean-Claude Juncker della decisione del governo elvetico.

swissinfo.ch:Qual è il significato di questa mossa del governo svizzero?

Paul Widmer.
Ex ambasciatore svizzero, Paul Widmer insegna relazioni internazionali all’università di San Gallo. Come diplomatico è in particolare stato attivo alla sede dell’ONU a New York, a Washington e in Giordania. zvg

Paul Widmer: Mostra quanto sia bloccata la situazione al momento. Siamo in un vicolo cieco. Una cosa è certa: l’accordo quadro della Svizzera con l’UE richiede più tempo. La cosa migliore sarebbe fare un respiro profondo e riesaminare tutto.

swissinfo.ch: In fondo non è quello che fa il governo con l’annunciata consultazione?

P. W.: Forse. Ma fondamentalmente sa già cosa pensano le “cerchie interessate”.

swissinfo.ch:Ma la pubblicazione di un’opera incompiuta è una prassi eccezionale. Straordinariamente intelligente o straordinariamente indifesa?

P. W.: È piuttosto un’espressione di imbarazzo. Negli ultimi mesi molti attori politici nazionali hanno detto che non c’è davvero fretta per l’accordo quadro. Al contrario, Bruxelles ha fatto pressione per giungere a una conclusione rapida. Il governo svizzero si è così ritrovato sempre più stretto tra l’incudine e il martello.

swissinfo.ch: Ma non è possibile che il Consiglio federale si dica: questo è semplicemente il nostro prossimo passo in questa trattativa, che continuerà comunque?

P. W.: Sì. A causa di una situazione di emergenza. Spingere il dossier in un nuovo ciclo è l’unica soluzione che rimane. Il Consiglio federale non può accettare il progetto. La resistenza interna è troppo forte. Né può rifiutarlo decisamente, senza contrariare Bruxelles. Così gioca sul tempo.

swissinfo.ch:Adesso si dovranno comunque fare i conti con le reazioni da Bruxelles. Quindi la pressione aumenterà?

P. W.: Potrebbero aumentare gli ostacoli da parte di Bruxelles, tipo quelli che minaccia riguardo all’equivalenza per la Borsa svizzera. Ma non voglio essere pessimista. A freddo, anche Bruxelles si renderà conto che la Svizzera non si sottrae ad alcun impegno, ma semplicemente chiede più tempo prima di assumere nuovi impegni.

swissinfo.ch:In base alla sua profonda esperienza diplomatica, cosa pronostica?

P. W.: Quest’anno non succederà niente. E l’anno prossimo? Credo ancora nulla. Abbiamo bisogno di maggiori garanzie giuridiche nelle nostre relazioni. Ma abbiamo anche bisogno di più tempo. E l’abbiamo. Non mettiamoci noi stessi sotto pressione.

I problemi relativi all’adozione dinamica del diritto, alla funzione del tribunale arbitrale, alla cittadinanza dell’Unione e alla protezione dei salari non sono stati sufficientemente chiariti. Questi aspetti devono essere completamente riconsiderati. Le differenze tra Bruxelles e Berna sono attualmente troppo grandi per una soluzione rapida.

swissinfo.ch: Se il Consiglio federale ora si assume la responsabilità del blocco, si sottrae così alla sua responsabilità esecutiva?

P. W.: No, non può andare avanti senza queste consultazioni. Le discussioni interne hanno evidenziato enormi differenze, le richieste dei sindacati in materia di protezione salariale sono chiare, le riserve dei Cantoni sono note – e all’interno dell’economia non c’è intesa. Tali divergenze non possono portare alla conclusione dei negoziati, anche se il governo non può dirlo direttamente.

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Il progetto in consultazione

L’accordo istituzionale, che Bruxelles voleva soprattutto garantire una migliore armonizzazione tra diritto svizzero ed europeo, non ricoprirà i circa 120 accordi bilaterali tra l’UE e la Confederazione. La Svizzera ha ottenuto che sia applicato solo ai futuri accordi di accesso al mercato e ai cinque testi esistenti: libera circolazione delle persone, riconoscimento reciproco in materia di valutazione della conformità, prodotti agricoli, trasporti aerei e trasporti terrestri.

La Svizzera avrà tempo sufficiente per riprendere ogni sviluppo del diritto europeo, con la possibilità di un referendum. È esclusa una ripresa automatica. In cambio, l’UE vuole concessioni sulle misure di accompagnamento alla libera circolazione delle persone. Chiede che la Svizzera assoggetti la protezione dei salari al diritto europeo (direttiva lavoratori distaccati) entro tre anni dall’entrata in vigore dell’accordo istituzionale.

Nel progetto di accordo sono garantite soltanto le seguenti misure: un preavviso di quattro giorni per i lavoratori distaccati (invece degli attuali otto giorni), il deposito di una garanzia solo per i datori di lavoro che ne hanno già abusato e un obbligo di documentazione per i lavoratori indipendenti.

Il progetto non menziona la direttiva sulla cittadinanza europea (direttiva sulla libera circolazione dei cittadini dell’UE). Il testo obbligherebbe la Svizzera ad estendere i diritti di aiuto sociale, ad offrire una maggiore protezione contro l’espulsione e a concedere un diritto di soggiorno permanente a partire da 5 anni di residenza.

Berne ritiene che non si tratti di uno sviluppo della libera circolazione da riprendere. Bruxelles ha un’opinione diversa. Il progetto non menziona neppure il regolamento UE sul coordinamento dei servizi di sicurezza sociale attualmente in fase di riforma. Se la Svizzera fosse obbligata a seguirlo, dovrebbe versare le indennità di disoccupazione ai lavoratori frontalieri attivi sul suo territorio.

In caso di divergenze sulla ripresa del diritto, si applicherebbe il nuovo meccanismo di risoluzione delle controversie. Ciascuna delle parti potrebbe deferire la questione al comitato misto responsabile della gestione degli accordi. Se quest’ultimo non trovasse una soluzione entro tre mesi, ciascuna delle parti potrebbe deferire la questione ad un tribunale arbitrale paritetico, che deciderebbe autonomamente. La sua decisione sarebbe vincolante per entrambe le parti e se una parte non si conformasse, l’altra potrebbe decidere misure di compensazione proporzionali.

La Svizzera è riuscita a far riconoscere le eccezioni esistenti per i trasporti terrestri, come il divieto di circolazione notturna o il limite delle 40 tonnellate. La questione degli aiuti statali vietati da Bruxelles è stata risolta. Ad eccezione del trasporto aereo, l’accordo istituzionale contiene solo principi generali.

(Fonte: ats)

Le prime reazioni da Bruxelles:

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