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Dürrenmatt, uno scrittore più attuale che mai

Charlotte Kerr e Friedrich Duerrenmatt ripresi nell agosto del 1990.
Una fotografia di Dürrenmatt con la seconda moglie Charlotte Kerr scattata a Locarno pochi mesi prima della morte dello scrittore. Keystone / Christoph Ruckstuhl

Il 14 dicembre 1990 moriva a Neuchâtel lo scrittore, drammaturgo e pittore Friedrich Dürrenmatt. Insieme al connazionale Max Frisch, Dürrenmatt è stato uno dei protagonisti del rinnovamento del teatro di lingua tedesca. La chiave grottesca con la quale legge i problemi della società contemporanea, smascherando le meschinità nascoste dalla facciata perbenista della società svizzera è la sua cifra stilistica.

Friedrich Dürrenmatt è nato nel 1921 a Konolfingen vicino a Berna, primo figlio di un pastore protestante. Dopo una gioventù tumultuosa nella capitale federale, ha studiato filosofia a Berna e Zurigo.

Sposato in prime nozze con l’attrice Lotti Geissler, vive dapprima a Basilea poi sul lago di Bienne. Ma sarà soprattutto a Neuchâtel che Dürrenmatt inizia a imporsi come drammaturgo, narratore e pittore. Nonostante da adulto non abbia mai vissuto a Berna, lo scrittore amava dire di sé che era bernese fino al midollo.

L’artista eclettico è diventato noto al grande pubblico con i suoi romanzi ‘polizieschi’ e i suoi racconti come Il giudice e il suo boia (Der Richter und sein Henker), Il sospetto (Der Verdacht), La panne (Die Panne) e La promessa (Das Versprechen). O ancora con i lavori teatrali come La visita della vecchia signora (Der Besuch der alten Dame), dramma del 1956 rappresentato nei principali teatri e che lo fece conoscere a tutto il mondo. Nel 1962 seguirà l’altro suo grande successo teatrale: I fisici (Die Physiker).

La sua grande passione, che lo accompagnerà per tutta la sua vita e alimentata sin dall’infanzia, è la pittura. I suoi dipinti si rifanno soprattutto a motivi mitologici o religiosi e risentono dell’influsso degli espressionisti tedeschi, ma anche di artisti come Francisco Goya. Anche con la pittura Dürrenmatt, grazie alle sue caricature feroci, coglie l’occasione per sottolineare con una tagliente critica le ipocrisie della società borghese elvetica. 

Per l’anniversario abbiamo aperto un dialogo con Donata Berra, la sua traduttrice in italiano.

tvsvizzera: Donata Berra, a 30 anni dalla morte di Dürrenmatt, la domanda iniziale d’obbligo è chiedersi cosa resti oggi della sua opera, quale eredità ci abbia lasciato?

“Tutta l’opera di Dürrenmatt pone al centro le domande fondamentali che stanno alla base della società civile: è possibile fare giustizia?” Donata Berra

Donata Berra: Tutta l’opera di Dürrenmatt, il teatro come la narrativa, pone al centro le domande fondamentali che stanno alla base della società civile: è possibile fare giustizia? Esiste davvero la giustizia? Quanto è corruttibile, e a che prezzo, ciascuno di noi? Fino a che punto l’uomo è artefice del proprio destino? O non è piuttosto il caso che determina la nostra sorte? Nelle pièce e nei romanzi queste domande vengono inserite in vicende intricate, ricche non di rado di parti comiche, ne sono portavoce personaggi spesso assurdi, quasi caricaturali come ad esempio Claire Zachanassian ne La visita della vecchia signora.

Il lettore viene travolto dalla debordante fantasia di Dürrenmatt e dalle vicende che si susseguono con improvvisi colpi di scena. Ma alla fine gli interrogativi emergono in modo inquietante, e spingono alla riflessione. Penso ad esempio a una questione basilare, alla domanda cioè se la verità stessa sia manipolabile, trasformabile in menzogna credibile. Proprio nel mondo di oggi, in cui il dilagare delle fake-news invade ogni campo, in cui una riflessione sui principi etici si fa sempre più urgente, non saprei che cosa c’è di più attuale della scrittura di Dürrenmatt.

Possiamo dunque dire che i temi affrontati da Dürrenmatt sono molto attuali. Quali aspetti l’hanno toccata maggiormente?

Ho avuto la fortuna di tradurre testi in cui le tematiche di cui dicevo prima sono al centro della narrazione. Ne Il giudice e il suo boia i due personaggi principali sembrano all’inizio incarnare la contrapposizione bene-male, ma nel corso della vicenda si vedrà quanto si mescolino fra loro il bianco e il nero di questa antinomia. Due amici-nemici: uno, il commissario Bärlach, il ‘giudice’, che per tutta la vita cerca di incastrare l’altro, Gastmann, l’assassino, i cui delitti per vari motivi sono sempre rimasti impuniti. Bärlach, giunto ormai al termine della vita, compirà in extremis la sua vendetta, ma aggirando la giustizia ai limiti del lecito, e soprattutto con l’aiuto potente del caso.

Ne La promessa l’impegno etico del protagonista, che ha promesso alla madre della bambina uccisa di fare giustizia e che dedica la vita, fino a perderla, alla ricerca del colpevole, sarà sconfitto alla fine ancora una volta da un fatto in sé irrilevante, per così dire dalla “banalità del male”. Quanto a La guerra invernale nel Tibet, beh, questo testo crudele e allucinato potrebbe essere una tremenda profezia di quello che succederà al nostro pianeta se i potenti continueranno a giocherellare con armi atomiche.

È spesso brutto etichettare uno scrittore, ma oggi che i romanzi gialli vanno per la maggiore, possiamo chiamare Dürrenmatt anche giallista?

Ogni volta che è stato così definito, Dürrenmatt si è parecchio arrabbiato. La domanda gli è stata fatta spesso, e non a torto evidentemente, intendendo Dürrenmatt come giallista almeno in negativo, visto che il sottotitolo de La promessa è “Requiem per il romanzo poliziesco”. Ma la risposta di Dürrenmatt è sempre la stessa: “Io non scrivo polizieschi, io scrivo filosofia”. Ribadisce questo concetto anche in Stoffe, la sua particolare forma di autobiografia in cui il tema guida sono i suoi soggetti, le sue tematiche di lavoro, la riflessione sul suo mestiere di scrittore.

Dürrenmatt non intende burlarsi del principio che sostiene il romanzo poliziesco come genere letterario, ma nei suoi cosiddetti gialli la trama è sempre funzionale alla messa in evidenza delle questioni etiche. Un caso esemplare ne è a mio parere Giustizia, romanzo in cui nella maniera più vistosa si assiste al rovesciamento della verità. Il protagonista, un consigliere cantonale, si presenta all’ora di pranzo in un affollato e rinomato ristorante di Zurigo, estrae la pistola e uccide sotto gli occhi di tutti i presenti un famoso germanista. Poi incarica un giovane, e corruttibile, avvocato di dimostrare che l’assassino non è lui, di trovare cioè una sorta di verità alternativa, una simulazione di realtà. Una perfida e sopraffina analisi dei meccanismi della giustizia…

Ricordiamo che lei, Donata Berra, traduce Dürrenmatt per la casa editrice Adelphi. Quali sono le insidie nel tradurre Dürrenmatt in italiano?

La scrittura di Dürrenmatt è tendenzialmente scabra, ruvida. Spesso ho avuto l’impressione di frasi accostate come roccia contro roccia, uno stile potente che è necessario rendere senza sbavature. Ma proprio per questo non è facile la resa in italiano, lingua che tende a distendersi in un fraseggio più melodico, in un ritmo più fluido. Anche per un fatto molto concreto: in tedesco ci sono molte più parole monosillabiche che in italiano, in italiano molti quadrisillabi e sdruccioli, e può succedere così che una frase perda la sua pregnanza proprio per una questione puramente lessicale, che ne determina il ritmo.

Un’altra caratteristica che ho incontrato nei romanzi da me tradotti riguarda i passi, molto caratteristici per Dürrenmatt, in cui una scena che comincia in piano, tanto per usare una terminologia musicale, continua poi in un incalzante crescendo, sintattico e di registro, da forte a fortissimo, fino quasi a un’esplosione di suoni e significati. Insomma qualcosa come un crescendo rossiniano tradotto in linguaggio… che non è affatto facile rendere in una diversa struttura linguistica.

Dürrenmatt fin da bambino è stato attirato dalla pittura. Oggi il grande pubblico lo conosce soprattutto come scrittore. Esiste un rapporto tra la sua scrittura e la sua pittura?


Dürrenmatt ha raccontato molto spesso quanto fosse diverso il suo atteggiamento nei confronti di pittura e scrittura. Dipingere significava esprimere tutto il suo tumulto interiore senza nessuna remora intellettuale, senza censure, senza strutture prefissate. Dipingere era una necessità e un piacere cui si dedicava molto spesso per notti intere.

La scrittura è un dovere, direi un dovere etico e sociale. Ma a scrivere si doveva costringere, a fatica, con continui ripensamenti, con il tormento di un inevitabile autocontrollo, con la consapevolezza che quello che scriveva sarebbe diventato cosa pubblica. La pittura era invece questione privata, libertà dal mondo.

Una delle frasi più importanti per la conoscenza di Dürrenmatt è quella da lui ripetuta più volte: “Non sono i miei pensieri a far scaturire le mie immagini, sono le mie immagini a far scaturire i miei pensieri”. Ma devo subito fare una correzione, già in questa frase apparentemente semplice si inserisce un problema di traduzione. La parola che qui ho reso con “immagini” in tedesco è “Bilder”, che significa anche quadri. E farebbe piacere a Dürrenmatt questa ambivalenza dell’italiano, perché la frase, dürrenmattianamente, è vera in tutte e due le versioni.

La fantasia di Dürrenmatt nasce dalla pittura, i suoi romanzi nascono dall’immaginario, più in concreto da immagini, forse a loro volta nate dai quadri, trascritte in parole. E infatti traducendo mi sono spesso accorta che la scrittura di Dürrenmatt più che per un pensiero logico procede per immagini.

“Nei suoi cosiddetti gialli la trama è sempre funzionale alla messa in evidenza delle questioni etiche”.  Donata Berra

Dürrenmatt, scrittore svizzero di lingua tedesca, come è stato accolto in Italia e come viene recepito oggi?

Da parte della critica letteraria, dei germanisti e del mondo culturale Dürrenmatt riceve un apprezzamento unanime, è ritenuto uno dei grandi scrittori della letteratura mondiale del Novecento. Il 15 dicembre 1990 il titolo a tutta pagina di un articolo commemorativo del “Corriere della sera” lo definisce “uno dei maggiori scrittori e drammaturghi del nostro secolo”.

Quanto alla conoscenza delle sue opere, le cose sono un po’ diverse. L’Italia è un paese in cui non si legge molto, e Dürrenmatt inoltre è considerato un autore difficile, però ci sono i cosiddetti ‘lettori forti’, persone che raggiungono livelli altissimi di lettura, e fra questi si trova un gruppo di estimatori che di Dürrenmatt leggono tutto. E possono farlo, perché le traduzioni delle sue opere sono iniziate già prestissimo, la versione italiana de La promessa è uscita un anno dopo la pubblicazione in tedesco, e a seguire le case editrici Feltrinelli e Einaudi hanno pubblicato tutte le sue opere. Da alcuni anni Adelphi ne ha acquisito i diritti, e pubblica nuove traduzioni dei suoi romanzi. Dürrenmatt inoltre è molto noto come autore di teatro, ed è già del 1960 la prima rappresentazione de La visita della vecchia signora al prestigioso Piccolo teatro di Milano, per la regia di Giorgio Strehler, alla quale ha assistito lo stesso Dürrenmatt.

Un momento di notorietà presso il grande pubblico Dürrenmatt lo ebbe nel 1972, quando Il sospetto fu trasformato in uno sceneggiato in due puntate per la TV, e a interpretare Bärlach era Paolo Stoppa, uno degli attori allora più popolari e amati. E ancora quando, nello stesso anno, per la regia di Ettore Scola uscì un film, molto apprezzato dallo stesso Dürrenmatt, tratto da La panne: “La più bella serata della mia vita”, protagonista il famoso Alberto Sordi.

“Da parte della critica letteraria e del mondo culturale Dürrenmatt è ritenuto uno dei grandi scrittori della letteratura mondiale del Novecento”. Donata Berra


Quando lei traduce un’opera di Dürrenmatt sta in sua compagnia per mesi… possiamo dire che lo conosce molto bene. Diventa interessante allora sapere quale opera l’ha colpita maggiormente o quale ama di più.

Le opere che amo di più sono ovviamente quelle che ho tradotto. E come sempre succede si ama di più l’ultima, anzi nel mio caso quella ancora in corso d’opera, il Minotaurus.

Ma c’è un brano che avrò riletto cento volte e ogni volta mi suscita commozione. Si trova ne Il giudice e il suo boia. Il commissario Bärlach, già ormai gravemente malato, riesce finalmente a “fare giustizia”, a far uccidere (da un ‘boia’) l’assassino Gastmann. Ma quando va nella camera mortuaria a rendere visita all’eterno rivale, a colui che ha determinato in negativo la sua vita, ogni sentimento di rivalsa è cancellato: “Ora che Gastmann giaceva spento ai suoi piedi, Bärlach comprese che la vita di entrambi era giunta al termine della partita, e ancora una volta il suo sguardo risalì lungo il corso degli anni, la sua mente ripercorse i misteriosi sentieri di quel labirinto che era stata la loro esistenza. Più nulla ormai li separava se non l’incommensurabilità della morte, un giudice la cui sentenza è il silenzio.” 


Per conoscere meglio lo scrittore, vi proponiamo un ritratto a 360 grandi dell’artista elvetico in una trasmissione del 5 gennaio del 1981, in occasione dei 60 anni di Friedrich Dürrenmatt.

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