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A Torino prende avvio il maxiprocesso dell’amianto

Manifestazione dei familiari delle vittime dell'amianto tenuta in aprile a Torino durante l'apertura delle udienze preliminari del processo Eternit Keystone

A Torino si apre giovedì il più grande processo tenuto finora a livello mondiale in relazione alle morti provocate dall’amianto. Gli imputati sono due ex proprietari degli stabilimenti Eternit S.p.A Genova, il barone belga Jean Louis de Cartier de Marchienne e l’imprenditore svizzero Stephan Schmidheiny.

La scena è spesso la stessa: una vedova, un album di vecchie fotografie, un racconto doloroso. “La diagnosi del mesotelioma è stata fatta nell’aprile di quest’anno, in estate non riusciva nemmeno più a scendere nell’orto che era la sua passione, ed è deceduto l’11 novembre”.

Rina Ruga parla del marito, Piero Ferraris, ucciso a 77 anni dall’amianto, e che in mezzo all’amianto ci aveva lavorato per un quarto di secolo. Piero e Rina si erano conosciuti in Svizzera. Lui operaio nello stabilimento Eternit di Niederurnen (canton Glarona) e poi in quello di Eternit S.p.A Genova a Casale Monferrato (Piemonte), lei lavoratrice di un’industria tessile.

Adesso Rina non chiede altro: “Giustizia, cos’altro dovrei chiedere dopo averlo perso in questo modo, e dopo averlo visto soffrire come ha sofferto? Era un uomo mite, timido, mi manca tantissimo”.

Il più grande processo

Così molti malati e famigliari delle vittime dell’amianto guardano all’imminente processo di Torino contro il belga Jean Louis de Cartier de Marchienne e contro lo svizzero Stephan Schmidheiny, proprietario della fabbrica Eternit di Casale dal 1973 al 1986.

Processo che, per due aspetti, è anche una “prima” a livello mondiale: per il numero di vittime e famigliari di vittime che si sono costituite parte civile (circa settecento) e per il fatto che per la prima volta in un processo sull’amianto (relativo non solo a Casale, ma anche ad altri 3 impianti in Italia) il procedimento sarà di tipo penale.

“Stavolta penso proprio che avremo un verdetto di verità. Abbiamo troppi malati, troppo ‘materiale umano’ che ancora oggi può testimoniare”, ci dice la dottoressa Daniela de Giovanni, oncologa dell’Hospice di Casale, responsabile del reparto cure palliative.

Nuova generazione di vittime

All’ospedale vengono assistite molte persone colpite dalle fibre tumorali dell’amianto. Malattie che non perdonano, “perché la ricerca ha fatto passi avanti, ma non abbastanza per dare anche una minima speranza di guarigione”, spiega la dottoressa. A Casale si manifestano da 40 a 50 nuovi casi letali all’anno. E questi numeri potrebbero aumentare nei prossimi decenni, dal momento che si teme “una nuova generazione di vittime”.

“Si tratta di persone che erano bambini quando Eternit era al massimo dell’attività, parlo degli anni Sessanta e Settanta. I tumori da amianto possono avere una lunghissima latenza, si manifestano dopo molto tempo, e in questo momento la malattia aggredisce dei quarantenni e dei cinquantenni”, osserva Daniela de Giovanni.

Perché la tragedia dell’amianto è anche questa: a Casale non sono morti solo degli ex operai dell’Eternit (più di mille), ma l’amianto ha aggredito e ancora uccide gente che nell’impianto non aveva mai messo piede. Famigliari dei lavoratori ma anche altri abitanti che tanti anni fa avevano respirato la micidiale, sottilissima polvere che usciva anche dai grandi ventilatori della fabbrica e che si depositava ovunque in città.

Insidie del processo

L’aspetto emotivo di un grande dramma sociale. E’ questa la maggiore insidia del mega-processo di Torino, secondo uno dei difensori italiani di Schmidheiny, l’avvocato Astolfo Di Amato: “I problemi sociali devono avere soluzioni sociali, non si possono risolvere nelle aule di giustizia, qui c’è invece il rischio è che possano influire sul processo penale”.

“Alcuni aspetti potrebbero assumere una rilevanza e una visibilità maggiori, rispetto ad altri. Io mi sento molto partecipe della tragedia vissuta da tante famiglie. Tuttavia devo dire che in questo processo c’è l’insidia di non dare adeguata valorizzazione ad elementi giuridici decisivi. Ciò potrebbe porre il dibattimento sotto una lente deformante”, aggiunge Astolfo Di Amato.

Processo che, secondo il legale dell’ex proprietario di Eternit, non si dovrebbe nemmeno aprire, e parla dell’ipotesi, non abbandonata, di prescrizione: “E’ un fatto indiscutibile che a partire dal 1986 non c’è più stata lavorazione dell’amianto. Sono trascorsi 23 anni. Stando così le cose i tempi della prescrizione non solo sono decorsi, ma abbondantissimamente decorsi”.

Respinte le accuse

Secondo l’avvocato, Stephan Schmidheiny respinge in toto l’accusa di “disastro doloso”, in sostanza di aver causato i decessi e le malattie di amianto avendo omesso di adottare adeguate misure di sicurezza.

“All’epoca non solo il mio cliente non incassò una lira di profitto, ma secondo i nostri calcoli negli Anni Settanta investì qualcosa come 70 miliardi di lire, una cifra enorme per l’epoca, destinandone gran parte alla sicurezza. Questo nel quadro di una diffusa opinione, convalidata all’epoca a livello internazionale, basata sul fatto che, adottando determinate cautele, lavorare l’amianto fosse possibile”.

Il contrario di ciò che sostiene, insieme agli avvocati dell’accusa, Bruno Pesce, lo storico presidente dell’Associazione vittime dell’amianto di Casale: “Ma vogliamo o no ricordare che, per fare solo alcuni esempi, fino all’ultimo nella fabbrica Eternit si usava una semplice scopa per togliere la polvere d’amianto, che materiali d’amianto venivano triturati all’aperto, trasportati con camion anch’essi scoperti, per poi essere immessi nuovamente nel ciclo produttivo?”.

“Sto parlando del cosiddetto ‘periodo svizzero’, sto dicendo che così si procedette fino all’ultimo giorno. E voglio anche ricordare che allora noi del sindacato avevamo già ottenuto ragione in una causa sulle malattie professionali d’amianto”, ricorda Bruno Pesce. “Se Schmidheiny era, come si sostiene, una persona socialmente così responsabile e sensibile, come mai non fece praticamente nulla per gli operai che alla fine si ritrovarono senza alcun lavoro?”.

Aldo Sofia, swissinfo.ch, Casale Monferrato

L’amianto (asbesto) è un gruppo di minerali a struttura fibrosa presenti in determinate rocce. Grazie alle sue qualità (resistenza al calore, elasticità, elevata conducibilità elettrica e termica) è stato ampiamente utilizzato dagli anni ’30 in diversi settori industriali e tecnologici.

Gli effetti nocivi sulla salute umana delle microfibre di amianto, che si disperdono nell’aria, si sono notati dagli anni ‘40. Nei decenni seguenti si è potuto accertare che queste sostanze possono avere conseguenze estremamente gravi.

In particolare la respirazione di microfibre di amianto può provocare l’asbestosi, carcinomi polmonari, mesotelioma e altri tumori, ad esempio della laringe o del tratto gastro-intestinale. Queste malattie si manifestano spesso soltanto a distanza di alcuni decenni.

In Svizzera, l’uso degli isolamenti in amianto floccato è stato bandito nel 1975, mentre dal 1990 è in vigore un divieto generale di produrre e impiegare materiali contenenti amianto.

Secondo la Suva, l’amianto uccide ogni anno un centinaio di persone in Svizzera.

In Italia la lavorazione dell’amianto negli stabilimenti Eternit S.p.A Genova ha provocato oltre 2800 vittime, tra persone decedute o gravemente malate. Si tratta soprattutto di operai che lavorano fino a metà degli anni ’80 presso le aziende di Casale Monferrato e Cavagnolo (Piemonte), Bagnoli (Campania), Rubiera (Emilia Romagna), ma anche di persone che abitavano nei paraggi.

La tragedia dell’amianto è approdata in tribunale a Torino ad inizio aprile, con l’apertura delle udienze preliminari del processo nei confronti dei due ex azionisti di maggioranza degli stabilimenti italiani della Eternit, l’imprenditore elvetico Stephan Schmidheiny e il belga Jean Louis de Cartier de Marchienne.

I due, rinviati a giudizio, sono accusati di disastro doloso e omissione volontaria di cautele contro le malattie professionali. Secondo l’atto d’accusa del pubblico ministero Raffaele Guariniello, Schmidheiny e De Cartier erano a conoscenza della pericolosità dell’amianto, ma non avrebbero preso nessuna misura di prevenzione.

Tra persone fisiche, enti pubblici e associazioni, complessivamente le parti civili sono oltre 760. Alcune centinaia avrebbero però accettato nel frattempo le proposte di indennizzo del miliardario svizzero Stephan Schmidheiny, che aveva fatto sapere l’anno scorso di voler risarcire le vittime dell’amianto, mettendo a disposizione alcune decine di milioni di euro.

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