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A San Gallo e Berna niente più corsi di lingua e cultura italiana

Corsi di lingua e cultura italiana a rischio con le nuove norme emanate da Roma.
Corsi di lingua e cultura italiana a rischio con le nuove norme emanate da Roma. © Keystone / Laurent Gillieron

Corsi di lingua e cultura italiana sospesi e insegnanti senza stipendio da mesi in alcune importanti città elvetiche. Ma sulle cause della grave situazione creatasi, soprattutto quelle riguardanti il mancato versamento dei contributi da Roma, i pareri non sono del tutto concordi.

Alcuni enti – in particolare a San Gallo e Berna – che gestiscono i corsi non hanno rispettato gli adempimenti amministrativi richiesti dalla legge e versano in gravi condizioni finanziarie e per questi motivi non sono più in grado di proseguire l’attività didattica.

A farne le spese sono i numerosi/e scolari/e – non solo quelli/e di origine italiana – che desiderano perfezionare le loro conoscenze dell’idioma di Dante, e ora sono costretti/e nelle due città citate a far capo ad altri istituti o a ricorrere a insegnamenti privati.

Circa 10’000 allievi/e in Svizzera

Per comprendere meglio la questione va detto che prima della pandemia erano oltre 10’000 nella Confederazione gli/le allievi/e di scuola primaria e secondaria che seguivano i corsi di lingua e cultura italiana, circa due ore settimanali complementari alle lezioni di italiano (facoltative) che di regola sono previste nei piani scolastici degli istituti comunali e cantonali elvetici.

Nella Confederazione, dove l’italiano è pur sempre una delle quattro lingue nazionali, gli enti pubblici sostengono questa specifica offerta didattica creando dove possibile sinergie con i propri istituti scolastici (integrazione con i programmi e orari, menzione della frequenza nelle valutazioni dell’alunno/e) e fornendo supporto logistico (aule), come del resto raccomanda la Conferenza dei direttori cantonali della pubblica educazione.


Istituiti negli anni Settanta in tutti i Paesi in cui c’era una significativa presenza di connazionali, in origine questi corsi erano finanziati esclusivamente dal Ministero degli affari esteri che inviava oltre confine i propri insegnanti di ruolo.

Ma ben presto i tagli del bilancio statale hanno reso necessaria la collaborazione di altri soggetti: sono stati così creati enti autonomi, sovvenzionati solo in parte dal Governo italiano e dalle stesse famiglie coinvolte, con un proprio corpo docente assunto in loco (in genere con contratti a termine) e coordinati dagli uffici scuola esistenti presso i consolati.

Provvedimenti che non hanno però impedito la progressiva diminuzione sia degli e delle alunni/e, sia dei corsi di un terzo in dieci anni: nel 2008/9 erano infatti 1’375 i corsi e 14’900 gli scolari/e mentre dieci anni il loro numero si è ridotto rispettivamente a 958 e 10’200. Evoluzione che viene da molti spiegata con il sensibile calo dei/delle docenti ministeriali e dei contributi statali agli enti gestori.

In Svizzera questi corsi, il cui costo di iscrizione per allievo/a può arrivare fino a 300 franchi, vengono impartiti in tutti i cantoni (ad eccezione delle regioni italofone in Ticino e Grigioni Italiano), e sono gestiti da sette enti (Ecap a Basilea, Casci a Berna, Cipe a Neuchâtel e Friburgo, Casli e Zurigo, Lci a San Gallo, Cae a Ginevra e Cpsi a Losanna).

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Grossi problemi a Berna e San Gallo

Ma non tutto sembra filare liscio: i problemi maggiori sono sorti a San Gallo – dove il locale ente (LCI) ha addirittura portato i libri contabili al tribunale fallimentare – e a Berna. Negli istituti dipendenti da questi due enti gli/le insegnanti sono senza stipendio da inizio anno ed è stata sospesa l’attività didattica. In cifre si parla di oltre 2’000 bambini/e e ragazzi/e che non possono più contare su questa offerta culturale nelle località interessate.

In particolare a San Gallo si parla di una ventina di dipendenti, tra docenti e personale, che a inizio ottobre sono stati informati per lettera della sospensione dei corsi nella Svizzera Orientale e nel Principato del Liechtenstein.

Nuove norme troppo poco flessibili

Ma come si è arrivati a questa situazione? “Non è ravvisabile dolo o malagestione da parte di questi enti, la colpa è da attribuire a una normativa macchinosa e poco flessibile che non tiene conto delle specificità di ciascun Paese”, sostiene Michele Schiavone, presidente del Consiglio generale degli italiani all’estero (CGIE).

Le varie scadenze amministrative, in particolare la rendicontazione indispensabile per il successivo ottenimento dei contributi statali e l’approvazione del progetto relativo al nuovo anno scolastico, sono incompatibili con le norme e i calendari scolastici di molti Paesi (soprattutto nell’emisfero australe), osserva il dirigente del CGIE.

Inoltre le due circolari ministeriali adottate nel 2020 e nel 2021 in merito alla regolamentazione dei corsi hanno creato oggettive difficoltà a livello contabile e amministrativo a questi enti, rileva Michele Schiavone.

Un’analisi condivisa da Roger Nesti, coordinatore degli Enti gestori in Svizzera, secondo cui le nuove norme “hanno creato difficoltà finanziarie e incertezze su competenze e ruoli”. Più nel dettaglio si è passati dal contributo al funzionamento degli enti al contributo su progetto, che Roma si riserva di valutare prima di decidere sul finanziamento, un aspetto questo che, a detta del responsabile dei corsi Ecap di Basilea, ha ridotto le spese ammissibili e conseguentemente i margini di manovra per gli enti.  

Pareri sostanzialmente condivisi anche dal console di Zurigo Gabriele Altana, all’interno della cui circoscrizione opera l’LCI sangallese, che su media online ha riferito che “negli ultimi mesi la rendicontazione si è rivelata difficoltosa, di conseguenza, non è stato possibile erogare ulteriori contributi, conducendo ad una situazione di disagio finanziario dell’ente”.

Differenze tra ente e ente

Il quadro però, a una più attenta lettura, appare un po’ più articolato e complesso. Non tutti gli enti coinvolti infatti hanno dovuto sospendere i corsi o lasciare gli/le insegnanti senza stipendio.

In proposito Maria Chiara Vannetti, presidente del Cipe, l’ente di promozione della lingua e della cultura italiana a Neuchâtel e Friburgo, rileva che nei due cantoni “fortunatamente non ci sono i problemi” emersi a San Gallo e Berna. “Siamo l’unico ente che può vantare un incremento del 30% degli iscritti ai corsi”, in controtendenza con l’evoluzione generale nel resto del Paese. Quello che accomuna tutti sono “i lacci e i lacciuoli burocratici e l’enorme lavoro di rendicontazione” cui sono sottoposte strutture composte da volontari.

E proprio su questo piano ci sono realtà costruite attorno a grandi strutture – come l’Ecap legata all’importante sindacato Unia – che possono far capo ad accantonamenti e crediti bancari, a differenza di altri enti fondati su associazioni di genitori che hanno scarse risorse proprie e vengono alimentati solo dalle tasse di iscrizione, in aggiunta ai contributi statali.

E, come già accennato, non dispongono tutti delle competenze professionali richieste dalla legge italiana per l’adempimento dei loro oneri amministrativi. Non sono quindi in grado di “lavorare su progetto, dovendosi districare tra spese ammissibili e non”, indica Roger Nesti, e comunque nella quasi totalità dei casi “i rendiconti sono fermi nei rispettivi consolati – dove peraltro le interpretazioni delle nuove disposizioni non sono univoche – per le necessarie verifiche sulla legittimità delle spese effettuate”.

Una situazione che crea evidenti problemi di liquidità agli enti che sono chiamati ad anticipare gli impegni finanziari per l’anno scolastico in corso. Ma oltre ai contributi statali, che nel migliore dei casi giungono in ritardo, quest’anno si è sommato lo sfavorevole tasso di cambio dell’euro con il franco svizzero che da solo ha fatto perdere un 10% di risorse finanziarie a questi organismi.

Possibili gravi irregolarità da parte dei gestori

Ma secondo il parlamentare della Lega Simone Billi sono emerse anche “gravi irregolarità”. Si sono accumulati debiti enormi, sostiene il deputato eletto nella circoscrizione Europa, su cui “la Farnesina non può più chiudere gli occhi”, anche perché si tratta di materia delicata sottoposta all’esame rigoroso della Corte dei conti.

Molti altri enti lavorano bene e fanno il loro lavoro e nessuno ha l’intenzione di chiudere queste strutture, aggiunge il parlamentare fiorentino. Bisogna quindi entrare nel dettaglio e capire come si sia arrivati a questa situazione, conclude Simone Billi, per il quale occorrerà comunque attendere ancora un po’ per una schiarita, dal momento che i sottosegretari del nuovo governo appena nominati”. Come se ne esce da questa intricata situazione.

Secondo Roger Nesti andrebbero assolutamente rivisti alcuni punti della recente circolare per consentire agli enti di fare il necessario salto di qualità, sostiene il dirigente Ecap. È infatti un rischio attribuire la gestione di somme elevate a strutture costituite su base volontaria: “O cambia la circolare o la natura degli enti”.

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