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Quando la Svizzera tagliò l’erba sotto i piedi al suo esercito

Così il Gruppo per una Svizzera senza esercitò depositò le firme per l'iniziativa popolare alla Cancelleria federale a Berna nel 1986. Keystone / Str

Cittadini volete abolire l'esercito svizzero? La proporzione sorprendentemente elevata di sì uscita 30 anni fa dalle urne elvetiche aprì la strada alla riforma delle forze armate. Ma il voto popolare spazzò via anche la guerra fredda dalla mente della gente? Uno sguardo al passato con i protagonisti di allora.

30 anni fa, tre settimane dopo la caduta del muro di Berlino, l’elettorato svizzero si pronunciò sulla proposta di abolire l’esercito. L’iniziativa popolare era stata promossa dal Gruppo per una Svizzera senza esercito (GSsE), fondato nel 1982. 

Con sorpresa di tutti, il 26 novembre 1989, il 35,6% dei votantiCollegamento esterno – più di un milione di uomini e donne svizzeri – approvò la proposta di sopprimere le forze armate elvetiche. In due cantoni – Giura e Ginevra – l’iniziativa fu persino accettata dalla maggioranza dei votanti.

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Il Gruppo per una Svizzera senza esercito compie 25 anni

Questo contenuto è stato pubblicato al L’iniziativa era stata lanciata dal Gruppo per una Svizzera senza esercito (GssE), che quest’anno festeggia il suo primo quarto di secolo. Fondato il 12 settembre del 1982 ad Olten, nel canton Soletta da un centinaio di persone appartenenti a organizzazioni pacifiste e di sinistra, il gruppo non è inizialmente troppo preso sul serio. Ma quattro…

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In principio erano gli attivisti

“No, non mi aspettavo quel risultato”, riconosce Oliver Krieg, oggi pensionato. Krieg era membro del comitato d’iniziativa, di cui facevano parte cento persone, una cifra da primato. Di professione era “benzinaio”. Faceva i turni di notte nell’area di servizio sull’autostrada, in modo da avere tempo durante il giorno per la sua attività di militante: contro le centrali nucleari, per la vita comunitaria.

La raccolta di firme per l’abolizione dell’esercito nelle cittadine del cantone di Soletta non gli costò troppi sforzi: “Non potevo dare più fastidio di quanto facessi già con il mio aspetto, con i capelli lunghi e il simbolo della falce e martello cucito sulla giacca”.

Oliver Krieg, membro del comitato d’iniziativa: la notte lavorava come benzinaio, di giorno raccoglieva le firme per l’abolizione dell’esercito svizzero. swissinfo.ch

All’epoca la questione militare aveva già lasciato un segno nella sua biografia: Krieg aveva rifiutato il servizio militare. Allora come oggi, gli uomini svizzeri erano soggetti al servizio militare obbligatorio. Ma 30 anni fa l’unica alternativa al servizio militare era la prigione: da alcuni mesi a oltre un anno. Alcuni di coloro che osarono affrontare la detenzione, si videro inoltre precluso l’accesso a posti di lavoro, soprattutto nel settore pubblico.

“A noi obiettori di coscienza si consigliava di fare un viaggio a Mosca, di sola andata”, ricorda Marc Spescha, avvocato zurighese e co-fondatore del GSsE. Circa 10’000 uomini rifiutarono di prestare servizio militare nei 20 anni precedenti la storica votazione. 

Pochi rispetto al numero di arruolati nelle truppe. Alla fine della guerra fredda, l’esercito della neutrale Svizzera era un’armata di massa, con 600’000 membri, ossia un uomo su cinque, in un Paese di 7 milioni di abitanti.

“Come si fa anche solo a esercitarsi alla guerra?”

Renate Schoch, membro del comitato d’iniziativa: da persona apolitica, improvvisamente partecipò a una battaglia a fianco di trotzkisti e altri attivisti di sinistra. swissinfo.ch

Questo paese in armi scioccava anche molte donne. Renate Schoch, che ora lavora come sindacalista, lo descrive con molta efficacia. A quel tempo trovò scandaloso che il suo partner dovesse prestare servizio militare.

Durante la prima settimana della scuola reclute del compagno, da persona apolitica si trasformò in pacifista convinta: “Quando capii quel che stava passando il mio amico, fui profondamente disgustata. Perché ci si sottomette in questo modo? Come si fa anche solo a esercitarsi alla guerra?”. Era il 1987. Per Renate Schoch, partecipare alla prima riunione del GSsE significò compiere un grande passo.

Improvvisamente era seduta allo stesso tavolo con persone che corrispondevano all’immagine del nemico coltivata da suo padre  – trotskisti e socialisti di sinistra – e si rendeva conto di condividerne gli stessi valori di base. 

Dopo la votazione popolare, Renate Schoch lavorò per il GSsE per altri dieci anni. Per un certo periodo fu attiva nella politica locale. Oggi è membro della direzione del più grande sindacato svizzero. Fu il confronto con la “vacca sacra” a dare il via al suo attivismo politico: “Fu uno scontro inaspettato con la politica”.

“Del sesso possiamo parlare con o senza decenza. Dell’esercito non possiamo parlare.”
Max Frisch

L’esercito è una “vacca sacra”, disse lo scrittore Max Frisch prima del voto in cui se ne chiedeva abolizione: “È un tabù. Dell’esistenza o la non esistenza di Dio possiamo parlare con decenza; di sesso possiamo parlare con o senza decenza. Dell’esercito non possiamo parlare”.

Un motivo dell’atteggiamento descritto da Frisch è legato alla neutralità della Svizzera. Fa parte della concezione più intima di sé del Paese alpino. Ancora oggi costringe la Svizzera ad organizzare da sola – e di conseguenza con grande dispendio – la difesa della propria indipendenza .

“Una democrazia deve tollerarlo”

Anni dopo la votazione, Andres Türler è diventato colonnello di Stato maggiore e municipale di Zurigo. Trent’anni fa, il giurista liberale radicale si oppose all’iniziativa del GSsE. Oggi dice di non essere rimasto sorpreso del risultato. E ancor meno del fatto che la maggioranza dei soldati votasse per l’abolizione: “Il servizio militare non è né volontario né divertente. Anch’io sono nell’esercito perché è un dovere”.

La rabbia contro questo dovere, a suo avviso, spiega una parte dei voti. Türler ritiene che anche nella Svizzera odierna circa un quinto della popolazione metta radicalmente in discussione l’esercito. Una democrazia deve tollerarlo, commenta.

“La Svizzera non ha un esercito, la Svizzera è un esercito.”
Il governo svizzero

Il giurista ha apprezzato i dibattiti suscitati dall’iniziativa per una Svizzera senza esercito: “Dal mio punto di vista, i sostenitori non erano traditori della patria, ma concittadini con opinioni diverse dalle mie. Le discussioni di allora animarono la nostra democrazia”. 

Sul podio, Andres Türler dibatté anche con l’obiettore di coscienza Marc Spescha, il quale ricorda con un analogo senso dello Stato la campagna per la votazione: “Abbiamo sempre sottolineato che la migliore democrazia è quella in cui tutte le certezze sono discusse e messe in questione – compreso l’esercito”.

Retorica di trincea nel Palazzo federale

Dalla politica ufficiale, risuonava la retorica di trincea contro gli oppositori dell’esercito. “La Svizzera non ha un esercito, la Svizzera è un esercito”: l’anno prima del voto, il governo elvetico ricordava questa massima nel messaggio alle Camere federali, in cui invitava il parlamento a rifiutare l’iniziativa. 

Ferisce l’orgoglio di “tutti i militari del nostro Paese”, disse un deputato popolare democratico nel dibattito parlamentare. Un deputato dell’Unione democratica di centro dichiarò dal canto suo che l'”iniziativa che tradisce la  patria” gli aveva causato un “sacro furore”: “Siamo andati veramente molto lontano se degli estremisti svitati vogliono persino abolire il nostro esercito”.

Alla Camera del popolo, diversamente dal solito, i consiglieri nazionali dovettero votare per appello nominale. Solo 13 deputati su 200 espressero la loro opposizione all’esercito. In seguito, sotto copertura dell’anonimato, due parlamentari confessarono alla televisione svizzera di aver votato in favore dell’esercito, andando contro le proprie opinioni personali, per paura di non essere rieletti.

“Il risultato di quella votazione ha liberato la Svizzera tedesca dalla guerra fredda.”
Jo Lang, ex deputato nazionale

La carriera di Jo Lang, successivamente eletto in Consiglio nazionale sulla lista verde-alternativa, è sempre rimasta legata al GSsE. Per lo storico di Zugo, è chiaro: “Il risultato di quella votazione ha liberato la Svizzera tedesca dalla guerra fredda”.

La caduta del muro di Berlino e la fine del Patto di Varsavia naturalmente influenzarono il risultato del voto, riconosce l’ex parlamentare. Lang ritiene invece trascurabile per l’esito dello scrutinio il fatto che nella settimana precedente la domenica decisiva si sia saputo che i servizi segreti svizzeri sorvegliavano circa 900’000 cittadini. Il lasso di tempo intercorso tra la pubblicazione del rapporto della commissione d’inchiesta sullo “scandalo delle schedature” e il voto era stato troppo breve per avere un impatto sul risultato.


PLACEHOLDER

“È la caduta del muro di Berlino che cambiò l’atteggiamento nei confronti della guerra fredda, non l’iniziativa”, lo contraddice l’allora ministro della difesa Kaspar Villiger. 

L’ex consigliere federale spiega l’alta percentuale di sì con il fatto che con il loro voto molti volevano “esprimere tutto il loro malcontento per le esperienze concrete vissute nell’esercito”. Villiger rileva che “l’approvazione inaspettatamente alta” lo aiutò ad affrontare le riforme dell’esercito: “Anche per gli inveterati vertici militari la necessità di una riforma divenne evidente”.

L’alto livello di sostegno all’abolizione dell’esercito era solo un sintomo di cambiamenti politici globali? I giudizi divergono.

Emblema di un’epoca

“Presenza Svizzera”, il servizio della Confederazione incaricato di promuovere la Svizzera all’estero, scrive che il “risultato degno di nota” fu “emblematico” di un’epoca segnata dalla caduta del muro di Berlino. 

Oggi il numero delle truppe è pari a un quinto di quello di 30 anni fa. Dal 1996 la Svizzera dispone di un servizio civile alternativo al servizio militare. Gli obiettori di coscienza non finiscono più in prigione, anche se sono chiamati a svolgere un servizio che dura una volta e mezza quello militare. La carriera di un ufficiale non è più né una garanzia né una condizione per una carriera professionale 

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Nel 1989 più di un milione di persone partecipò con il proprio voto alla violazione di un tabù. L’iniziativa mobilitò sia i fautori che gli oppositori. Con quasi il 70%, il tasso di partecipazione alla votazione sulla prima iniziativa per l’abolizione dell’esercito fu il terzo più elevato di sempre.

“Il tabù fu infranto”

Quindi la vacca sacra fu macellata quella domenica di votazioni? “Il tabù fu infranto, anche se non riuscimmo a macellare la vacca sacra”, riassume Jo Lang. Come Renate Schoch, Marc Spescha e Oliver Krieg, anche lui rimane tuttora convinto che la Svizzera non abbia bisogno di alcun esercito.

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(Traduzione dal tedesco: Sonia Fenazzi)

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