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2008 – L’anno nero dell’UBS

La grande banca, che gestisce un patrimonio di oltre 2'000 miliardi di franchi, si è ritrovata praticamente senza soldi tre mesi fa. Solo gli aiuti concessi dalla Confederazione e dalla Banca nazionale svizzera hanno permesso all'UBS di evitare una catastrofe finanziaria.

Doveva essere l’anno dei grandi festeggiamenti per il 10° anniversario della nascita del colosso bancario mondiale: l’UBS aveva iniziato le sue attività nel giugno del 1998, in seguito alla fusione tra l’Unione di banche svizzere e la Società di banche svizzere.

Il 2008 è stato invece l’anno della grande crisi per il più importante istituto bancario elvetico: in ottobre l’UBS si è ritrovata praticamente a secco di liquidità ed è stata addirittura costretta a rivolgersi alla Confederazione e alla Banca nazionale svizzera (BNS) per evitare l’insolvenza.

Eppure, ancora poco tempo fa, la grande banca era considerata uno dei più rigogliosi fiori all’occhiello dell’economia svizzera. All’inizio del 2007, aveva annunciato con orgoglio un utile record di 12,3 miliardi di franchi per l’esercizio precedente. La crescita spettacolare del gigante bancario sembrava inarrestabile.

Storiche perdite

Il 2008 si apre invece con toni molto meno trionfalistici per l’UBS. Alla fine di gennaio, i suoi dirigenti devono riconoscere di aver subito l’anno precedente le più grandi perdite mai registrate nella storia delle banche svizzere: 4,4 miliardi di franchi di disavanzo e 21,3 miliardi di ammortamenti per coprire i buchi aperti dalla crisi dei mutui ipotecari negli Stati uniti.

Si scopre così che l’UBS è la banca europea maggiormente coinvolta nel tracollo del mercato immobiliare americano. Da alcuni anni, i responsabili dell’istituto bancario si erano lasciati attirare dall’allettante mercato dell’Investment Banking e avevano messo da parte molti criteri di sicurezza e prudenza, che per decenni avevano garantito il successo della piazza finanziaria svizzera.

Nel giro di pochi mesi, il titolo UBS comincia a perdere la metà del suo valore. A fine febbraio gli azionisti sfogano la loro delusione e loro rabbia durante un’assemblea straordinaria, in cui viene accettata una ricapitalizzazione della banca per 13 miliardi di franchi. I soldi provengono da un investitore anonimo mediorientale e soprattutto da un fondo statale di Singapore, che diventa di colpo il maggiore azionista dell’UBS.

Grattacapi con la giustizia americana

Criticato da più parti, il presidente del consiglio di amministrazione Marcel Ospel respinge le richieste di dimissioni e dichiara di voler rimanere in carica per rimettere in sesto la banca. Ma la situazione precipita ulteriormente. Nel primo trimestre del 2008, l’UBS accumula altre perdite per 12 miliardi di franchi. Gli ammortamenti legati alla crisi americana dei mutui superano ormai i 40 miliardi.

Dopo aver dichiarato a più riprese che “il peggio è ormai passato”, Ospel è costretto a dimettersi. Se ne va con un bonus da 20 milioni di franchi nelle tasche. Dopo anni di lodi per la sua gestione della banca, l’ex presidente del consiglio di amministrazione diventa uno dei bersagli preferiti di critiche e di sarcasmi in Svizzera.

“Il peggio è ormai passato”, dichiara a fine maggio anche il direttore esecutivo Marcel Rohner. Ma, oltre a moltiplicare le perdite, l’UBS si ritrova in estate nel mirino della giustizia americana. Le autorità fiscali e bancarie degli Stati uniti aprono una serie di inchieste nei confronti della banca elvetica, sospettata tra l’altro di aver aiutato migliaia di clienti ad evadere il fisco americano per una somma complessiva di 20 miliardi di dollari.

A rischio di insolvenza

L’immagine dell’UBS è scalfita e non solo negli Stati uniti: molti clienti abbandonano la grande banca, che si vede confrontata ad un deflusso di fondi di oltre 100 miliardi di franchi nel giro di pochi mesi. La crisi del settore finanziario si acuisce in autunno dopo il crollo degli indici di borsa.

In un clima di diffidenza generale, il mercato dei crediti interbancari si prosciuga quasi totalmente. Mentre il Credit Suisse riesce ancora a raccogliere capitali da privati, l’UBS trova aiuto solo presso la Confederazione e la BNS. Il governo concede un prestito di 6 miliardi di franchi, mentre l’istituto di emissione mette a disposizione 62 miliardi per permettere alla banca di sgravarsi dai prodotti “tossici” risultanti dalle sue avventurose attività negli Stati uniti.

Il piano di salvataggio dell’UBS viene accettato in dicembre dal parlamento, che non risparmia le critiche ai dirigenti della banca, ma non intravede alternative: un fallimento dell’istituto bancario, che gestisce tra l’altro i conti di quasi 130’000 piccole e medie aziende elvetiche, avrebbe conseguenze drammatiche per l’economia svizzera.

Il peggio è passato?

Durante il dibattito parlamentare, la sinistra chiede di vincolare gli aiuti statali ad un maggior controllo delle attività della banca e al risarcimento dei bonus milionari percepiti negli ultimi anni da diversi dirigenti dell’UBS. Ma i partiti borghesi, finanziati negli ultimi anni dal colosso bancario, respingono le richieste inoltrate dai socialisti e dai Verdi.

L’UBS riesce così a superare un anno, in cui anche i peggiori scenari sembravano possibili. Ma il peggio è veramente passato? Nessuno sembra attualmente in grado di rispondere a questa domanda. Per il 2009 si preannunciano perlomeno altre strette creditizie e nuovi piani di ristrutturazione. E, forse, ulteriori aiuti da parte dello Stato.

swissinfo, Armando Mombelli

Le banche svizzere producono il 12% del Prodotto interno lordo e danno lavoro al 6% della popolazione attiva.

Alla fine del 2007, gli attivi degli istituti bancari elvetici ammontavano a 4’700 miliardi di franchi, di cui il 76% era detenuto dall’UBS e dal Credit Suisse.

Già da molti anni, oltre la metà del fatturato delle due grandi banche è generato dalle attività all’estero e dalla clientela internazionale. In Svizzera, UBS e Credit Suisse controllano oltre un terzo del mercato dei depositi e dei crediti.

L’UBS ha perso oltre il 70% del suo valore di capitalizzazione nel giro di un anno, mentre il Credit Suisse circa il 60%.

Il governo elvetico e la Banca nazionale svizzera hanno varato il 16 ottobre un piano di aiuto in favore dell’UBS, che ha accumulato titoli illiquidi per 60 miliardi di franchi in seguito alla crisi americana dei mutui ipotecari.

La Confederazione rafforzerà la base di fondi propri dell’UBS, sottoscrivendo un prestito di 6 miliardi di franchi convertibili in azioni. Lo Stato deterrebbe così il 9% del capitale azionario della grande banca.

Questo importo sarà prelevato dalla Tesoreria della Confederazione e non graverà sul bilancio delle casse federali. Il credito dovrebbe fruttare oltre 700 milioni di franchi all’anno alla Confederazione, grazie ad un tasso d’interesse del 12,5%.

La Banca nazionale svizzera metterà a disposizione 62 miliardi di franchi per permettere all’UBS di trasferire in una società veicolo gli attivi illiquidi e di sgravarsi dei prodotti “tossici” detenuti finora.

Questo fondo viene finanziato con l’assunzione di dollari USA presso la Federal Reserve e prestiti contratti sul mercato americano.

Grafico UBS
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