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Un attentato ancora pieno di incognite

Il 17 novembre 1997, sei terroristi armati di kalashnikov e coltelli, travestiti da agenti di sicurezza, uccidevano 62 persone, fra cui 36 svizzeri, a Luxor in Egitto.  È stato l’attentato che ha fatto più vittime elvetiche ed il primo commesso da islamisti radicali con l'obiettivo di causare il maggior numero possibile di vittime. Un attacco attorno al quale, secondo molti, non è ancora stata fatta chiarezza e che fa ancora molto discutere. 

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“Chi annienta in un modo così odioso la vita si rende nemico dell’intera umanità”, aveva affermato l’allora presidente della Confederazione Arnold Koller il 29 novembre 1997 durante la cerimonia ecumenica in memoria delle vittime svoltasi a Zurigo.

Primo grosso attentato islamista

Il massacro, durato 45 minuti, era avvenuto presso il monumentale tempio funerario della regina egizia Hatshepsut, nella Valle dei Re. Bilancio: 62 morti – 36 svizzeri, dieci giapponesi, sei britannici, quattro tedeschi, quattro egiziani, un francese e un colombiano – e 24 feriti, tra cui 12 svizzeri. L’attacco, forse finanziato dal defunto capo di al Qaida Osama bin Laden, fu rivendicato dall’organizzazione Jamaa Islamiya (Gruppo islamico, in arabo), attiva in Egitto sin dagli anni Settanta.

Secondo un articolo del quotidiano zurighese “NZZ” pubblicato sabato 11 novembre, gli assassini avrebbero lasciato – nel ventre squarciato di un turista giapponese – una lettera di rivendicazione in cui ringraziavano anche il loro capo militare, Mustafa Hamza, che avrebbe ordinato l’attentato dal Sudan. I terroristi hanno trovato la morte durante la fuga in circostanze poco chiare, uccisi dalla polizia o per suicidio.

Bisogno di giustizia

Quello di Luxor è l’attacco terroristico che ha causato più vittime svizzere (12 i cantoni di residenza) e il primo grosso attentato commesso da islamisti radicali con l’obiettivo di causare il maggior numero possibile di vittime.

“L’inchiesta è stata chiusa in modo quasi disinvolto. Senza che la Svizzera riceva spiegazioni. Non si è ottenuto niente. Niente.”

Ma “nessuno sarà punito”, ha deplorato domenica durante alla televisione svizzerofrancese RTS Stephan Kopp, uno zurighese che ha perso la moglie nell’attentato ed è rimasto egli stesso ferito. “Quel che mi disturba è che l’inchiesta è stata chiusa in modo quasi disinvolto. Senza che la Svizzera riceva spiegazioni. Non si è ottenuto niente. Niente”, ha commentato amaro, rimproverando ai governi del Cairo e di Berna uno scarso sforzo per chiarire il caso e arrestare il o i committenti.

Domande senza risposta

La giustizia svizzera ha ufficialmente sospeso la sua indagine l’8 marzo 2000, tre anni dopo l’attentato, invocando una mancanza di informazioni. La Procura federale, in una rogatoria, aveva rivolto all’Egitto 116 domande sulle circostanze dell’attentato, riguardanti in particolare gli autori, le armi usate, modo d’azione e rivendicazioni.

Ma il rapporto d’inchiesta finale delle autorità egiziane, ricevuto da Berna nel luglio 1999, non contiene alcun dettaglio ed è farcito di errori, secondo le ricerche della RTS, che hanno evidenziato come la priorità per gli egiziani fosse il ritorno dei turisti, non di fare giustizia.

Il rapporto d’inchiesta finale della Polizia federale svizzera afferma che è stato impossibile ricostruire lo svolgersi esatto dei fatti. Sono mancate le testimonianze delle forze di sicurezza egiziane arrivate sul posto, mentre le dichiarazioni dei testimoni diretti risultano spesso contraddittorie. Inoltre, “le autorità egiziane non hanno trasmesso le perizie dei medici legali né i verbali delle persone interrogate dopo il massacro”, rileva il rapporto.

Tempio di Hatshepsut
Il tempio di Hatshepsut, teatro dell’attentato. Keystone

Berna poco interessata

Berna ha però difettato di perseveranza. Secondo ex diplomatici citati dalla RTS, il Consiglio federale dell’epoca era più preoccupato per gli indennizzi che della ricerca della verità e dei colpevoli. La Polizia federale ha valutato che era ormai inutile sperare in informazioni complementari e ha così abbandonato l’inchiesta, concludendo che la Svizzera e i suoi cittadini non erano stati in quanto tali presi di mira dai terroristi.

A suo avviso, costoro puntavano piuttosto a destabilizzare e a far pressione sullo Stato egiziano. “Il fatto che oltre la metà delle vittime fosse d’origine elvetica è stato un puro caso, per quanto tragico”, affermava il rapporto.

Le vittime svizzere della strage sono state indennizzate per una somma totale di 4,7 milioni di franchi, versati dalle due agenzie di viaggio coinvolte, Hotelplan e Imholz, e dalle rispettive assicurazioni. Il governo del Cairo non si è mosso, neppure sul piano simbolico, temendo di creare un precedente, e ha preferito puntare su migliori misure di sicurezza per i turisti.

Rivelazioni

Quindici anni dopo la chiusura dell’inchiesta torna però un filo di speranza riguardo a una riapertura del caso. I giornalisti della RTS avrebbero localizzato il presunto committente dell’attentato: Mustafa Hamza si troverebbe in una prigione del Cairo da tre anni per vicende di terrorismo, tuttavia non legate a Luxor secondo il suo avvocato, che si è detto fiducioso riguardo a un suo prossimo rilascio per mancanza di prove.

Il Ministero pubblico della Confederazione ha confermato alla stampa di avere sospetti su Hamza. La Procura federale rileva tuttavia che tocca all’Egitto perseguirlo penalmente.

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