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Il vertice umanitario di Istanbul snobbato dalle grandi potenze

Il presidente turco Recep Tayyip Erdogan ha ricordato che il suo paese accoglie già tre milioni di rifugiati, di cui 2,7 milioni di siriani. Dal canto suo, il segretario generale dell'ONU ha salutato il ruolo della Turchia, "all'avanguardia nell'azione umanitaria". Keystone

Al termine del vertice ONU consacrato all’azione umanitaria, Ban Ki-moon ha deplorato l’assenza dei rappresentanti delle grandi potenze mondiali. La Svizzera, anch’essa presente ad Istanbul, continua la sua campagna per la creazione di un sistema per controllare il rispetto del diritto internazionale umanitario e in particolare delle Convenzioni di Ginevra.

“Ho indetto questo vertice perché è stato raggiunto un livello di sofferenza umana senza precedenti dalla creazione delle Nazioni Unite”, ha ricordato Ban Ki-moon, prima di indicare che 173 Stati membri, 55 capi di Stato e di governo, circa 350 rappresentanti del settore privato e diverse migliaia di rappresentanti della società civile hanno partecipato all’incontro svoltosi ad Istanbul.

Il segretario generale dell’ONU, che giunge alla fine del suo mandato, ha tuttavia deplorato l’assenza di alcuni leader mondiali, in particolare i membri del G7, fatta eccezione per la cancelliera tedesca Angela Merkel.

Ban Ki-moon ha puntato il dito contro i membri permanenti del Consiglio di sicurezza, le cui divisioni interne hanno bloccato un numero importante di risoluzioni umanitarie. “L’assenza di questi dirigenti al vertice non scusa la loro inerzia. Hanno una responsabilità unica per quanto riguarda (…) il sostegno alle popolazioni più vulnerabili”. Non va infatti dimenticato che il Consiglio di sicurezza ha come scopo primario il mantenimento della pace e della sicurezza internazionale.

L’Asia fa profilo basso

Contattato per telefono a Istanbul, l’ambasciatore svizzero Manuel Bessler – numero 2 della Direzione dello sviluppo e della cooperazione (DSC) – conferma: “Bisogna vedere chi non è venuto ad Istanbul, in particolare per quanto riguarda i rappresentanti dei singoli Stati. I paesi europei e africani erano numerosi, così come quelli del Pacifico, preoccupati dagli effetti del cambiamento climatico”.

“Pochi paesi dell’America del Sud e dell’Asia Centrale hanno invece inviato qualcuno. La Cina era presente solo con una delegazione tecnica, al pari dell’India. Anche le ONG del dud erano poco presenti”.

La Turchia fa evidentemente eccezione. In seguito al controverso accordo sulla migrazione siglato con l’Unione europea, il paese ricopre infatti un ruolo di primo piano nella crisi dei profughi in fuga dalla guerra in Siria. L’intesa prevede, tra l’altro, il rimpatrio dei profughi in Turchia – dove vivono già 3 milioni di rifugiati – e la chiusura della rotta balcanica.

Scegliendo Istanbul, il segretario generale dell’ONU voleva tuttavia fare in modo che l’azione umanitaria non fosse confinata soltanto a un certo numero di paesi e attori della società civile. Su questo punto, l’obiettivo è dunque parzialmente fallito.

Ma Ban Ki-moon si è affrettato ad aggiungere: “Le comunità colpite dalla crisi, le organizzazioni non governative, il settore privato, le agenzie ONU si sono riunite e hanno espresso il loro sostegno al Programma d’azione per l’umanità e ai suoi cinque principi fondamentali”.

Questi principi – o per meglio dire responsabilità – sono vasti. Si tratta di prevenire e far cessare i conflitti; rispettare le regole della guerra; non lasciar da parte nessuno; lavorare in modo diverso per rispondere ai bisogni; investire nell’umanità.

Condivisione di esperienze

Anche Manuel Bessler si dice ottimista: “Questo vertice non era unicamente un processo intergovernativo. Includeva anche gli Stati membri, le agenzie umanitarie, quelle dell’ONU ma anche le ONG e le persone colpite in Siria, Afghanistan e Yemen”.

“Tutti questi attori hanno avuto l’opportunità di incontrarsi, ampliare la loro rete, condividere esperienze. Ci si può naturalmente chiedere se valesse la pena organizzare un tale vertice soltanto per fare del networking. Ma questa conferenza segna un inizio. Bisogna evidentemente vedere in che modo gli impegni presi saranno messi in atto”.

Un organo per verificare il rispetto del diritto umanitario

In questo contesto, la Svizzera e il CICR stanno cercando di promuovere la creazione di un organo indipendente che permetta di controllare il rispetto e le violazioni del diritto internazionale umanitario.

“Tale meccanismo contribuirebbe a una migliore protezione dei civili in tempo di guerra. Questa idea è già stata discussa nell’ultima conferenza del movimento della Croce Rossa e della Mezzaluna Rossa a Ginevra. Abbiamo incontrato molte difficoltà perché alcuni Stati non vedono di buon occhio questa iniziativa. Ma a Istanbul, Didier Burkhalter (ministro elvetico degli esteri, ndr) ha ribadito l’impegno della Svizzera e del CICR a favore di questo meccanismo”.

L’altra priorità della Svizzera è quella di migliorare la collaborazione tra due tipi di azioni umanitarie: l’aiuto d’urgenza e l’aiuto allo sviluppo, che si focalizza più sul lungo termine. Ciò permette di far fronte a quelle crisi che persistono nel tempo, come in Afghanistan e Somalia.

“In seno alla DSC queste due tipologie d’azione sono già riunite sotto lo stesso tetto. E Didier Burkhalter vuole una migliore collaborazione tra i due settori”. Umanitari e cooperanti devono collaborare Diverse ONG, tra cui Medici senza frontiere (che non ha partecipato al vertice), diffidano però di questa strategia e temono per la loro indipendenza.

“E vero che questa collaborazione è più facile a dirsi che a farsi, ammette Manuel Bessler. Gli attori umanitari lavorano in modo indipendente, con la massima imparzialità. Gli attori dello sviluppo, invece, devono operare a fianco del governo. Ma ciò non è sempre facile perché o il governo non esiste oppure la collaborazione è difficile come nel caso della Siria”.

Bisogna però abbattere le frontiere tra aiuto sanitario e aiuto allo sviluppo, afferma Manuel Bessler, facendo l’esempio della Somalia. “Ad esempio nel Nord della Somalia (Somaliland e Puntland), il contesto è favorevole poiché le autorità sono vicine al governo. Per contro a Mogadiscio o a Kismayo, nel sud, le milizie Shabab (affiliate ad Al Qaeda, ndr) controllano la regione ed è impossibile lavorare con loro poiché non abbiamo alcun terreno d’intesa”.

Per contattare l’autore: @fredburnandCollegamento esterno

(Traduzione dal francese, Stefania Summermatter)

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