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“Si sta assistendo alla rinascita dei conflitti sociali in Svizzera”

Vania Alleva
Vania Alleva (49 anni) è la prima donna alla testa del sindacato UNIA che, con oltre 200'000 membri, è la più grande organizzazione per la difesa dei lavoratori in Svizzera. Marco Zanoni / Lunax

La Svizzera commemora quest'anno il centenario dello sciopero generale. Per molto tempo dimenticato, questo strumento di lotta collettivo sta riguadagnando popolarità nel paese della pace del lavoro, secondo Vania Alleva, presidente di UNIA, il più grande sindacato elvetico. 


In Svizzera, lo sciopero non appartiene solo ai libri di storia. Dall’inizio del nuovo millennio, i conflitti collettivi in ambito lavorativo sono in aumento, anche in settori che prima erano stati solo raramente toccati dal fenomeno. 

Uno sciopero generale di tre giorni

Nel novembre del 1918, la Svizzera fu toccata da uno sciopero generale, il momento culminante dei violenti conflitti sociali che ebbero luogo verso la fine della Prima guerra mondiale in diversi paesi europei.  

Il 12 novembre, 250’000 persone, fra le quali moltissimi ferrovieri, risposero all’appello lanciato dal Comitato di Olten, composto da membri del Partito socialista e da sindacalisti. 

I disordini più gravi si verificarono a Grenchen, nel canton Soletta, dove il 14 novembre tre scioperanti furono uccisi dall’esercito. Di fronte all’intransigenza del Governo, che minacciò di ordinare alle forze armate di sparare sugli scioperanti, il Comitato di Olten si arrese e il lavoro ricominciò il 15 novembre. Nonostante durò solo tre giorni, lo sciopero generale è ancora oggi considerato il più importante conflitto sociale della storia svizzera. 

Nel libro “Scioperi nel XXI secolo”, firmato anche dalla sua presidente, Vania Alleva, e pubblicato in occasione dei 100 anni dallo sciopero generale, il sindacato UNIA ripercorre la storia dei conflitti di lavoro più emblematici di questi ultimi anni in Svizzera. 

swissinfo.ch: Con la capitolazione della sinistra, lo sciopero generale del 1918 è stato per molto tempo considerato come un fallimento. Ha avuto anche effetti positivi?

Vania Alleva: Anche se fu brutalmente interrotto dall’esercito, quello che fu il più grande movimento sindacale della storia svizzera portò i suoi frutti. Numerose rivendicazioni fatte allora sono state in seguito riconosciute: l’Assicurazione vecchiaia e superstiti (AVS), i contratti collettivi di lavoro (CCL), la settimana di 48 ore, ma anche il diritto di voto per le donne. Progressi importanti dei quali i lavoratori di questo paese beneficiano ancora, dopo 100 anni.

swissinfo.ch: Gli svizzeri sarebbero ancora capaci di far valere i loro interessi in un’azione collettiva di questa portata?

V.A: Le condizioni per una simile mobilitazione non sono riunite attualmente. Da una ventina d’anni, si assiste tuttavia a una rinascita dei conflitti sociali in Svizzera. Lo sciopero era praticamente scomparso dopo la Seconda guerra mondiale, ma ha ritrovato spazio tra i legittimi strumenti di lotta in mano ai salariati. E non solo tra gli operai dell’edilizia o dell’industria, settori con una forte tradizione di mobilitazione: tocca sempre di più i colletti bianchi, poco abituati a battersi collettivamente per i loro diritti. 

swissinfo.ch: Per quale ragione? 

V.A.: Nei decenni di alta congiuntura del Dopoguerra, è stato possibile ottenere dei risultati al tavolo delle negoziazioni. Ma dalla crisi economica e dalla svolta neo-liberale degli anni ’90, il partenariato sociale si è un po’ arrugginito. Il padronato, indebolito, si trincera su posizioni più ideologiche ed è lontano dalla cultura del partenariato sociale svizzero.
Conseguentemente, molti dirigenti d’impresa non considerano più i lavoratori come dei partner con i quali negoziare sullo stesso livello. Questa situazione comporta un nuovo aumento delle tensioni ed è ogni tanto necessario ricorrere allo sciopero per costringere i padroni alla discussione. 

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Cartello di divieto e scioperanti dietro una recinzione.

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swissinfo.ch: Indire uno sciopero non è anche un modo per i sindacati di far parlare di loro in un momento in cui essi stessi si ritrovano indeboliti?

V.A: Uno sciopero non è mai una passeggiata. Comporta pesanti obblighi e rischi per tutte le persone coinvolte. Il sindacato non può costringere i salariati a scioperare, la decisione è sempre del personale. Per esperienza, sappiamo che l’opinione pubblica tende ad essere in maggioranza a favore degli scioperanti e del loro coraggio. Sono loro al centro dell’attenzione, non il sindacato che li sostiene. 

“Uno sciopero non è mai una passeggiata. Comporta pesanti obblighi e rischi per tutte le persone coinvolte.”

swissinfo.ch: Lo sciopero è accomunato oggi soprattutto a una battaglia di difesa; contro dei licenziamenti, soppressioni d’impieghi o delocalizzazioni. Nessuno sciopera più per chiedere un aumento salariale o una diminuzione delle ore di lavoro, come una volta. 

V.A.: La maggior parte degli scioperi degli ultimi anni effettivamente ha avuto lo scopo di difendere dei posti di lavoro e delle precedenti conquiste sociali. Ma ci sono anche stati scioperi più offensivi. Pensiamo ad esempio allo sciopero dei muratori del 2002. Quasi 15’000 lavoratori sono scesi in strada per ottenere finalmente una vecchia rivendicazione sindacale: il pensionamento anticipato a 60 anni. Una mobilitazione storica che, alla fine, ha avuto successo.

swissinfo.ch: Come il federalismo, la neutralità o la tradizione umanitaria, il partenariato sociale è considerato uno dei pilastri dell'”eccezione svizzera”. Lo sciopero ha davvero un posto nel paese?

V.A.: Il partenariato sociale è effettivamente un pilastro importante della tradizione elvetica e della Svizzera sociale. Purtroppo, diversi settori d’attività non hanno ancora dei contratti collettivi di lavoro. Sono oltretutto i settori nei quali le condizioni di lavoro sono più precarie. Per ciò che riguarda il diritto allo sciopero, esso è ancorato nella Costituzione. È dunque uno strumento del tutto legale, utilizzato la maggior parte del tempo come ultima ratio, quando tutti gli altri strumenti di lotta hanno fallito.

swissinfo.ch: Rimane comunque il fatto che, al confronto internazionale, i lavoratori svizzeri scioperano poco. Cosa li frena?

V.A.: In Svizzera, il mito della pace del lavoro è molto radicato nella mentalità delle persone. Diversi decenni d’assenza di conflitti sociali hanno lasciato il segno. Ma oggi, senza forzare la mano non è possibile ottenere dei progressi sociali o un miglioramento delle condizioni di lavoro. 

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swissinfo.ch: Se si confronta la situazione economica svizzera con quella francese, dove gli scioperi sono più frequenti, non bisognerebbe concludere che la pace del lavoro è una garanzia di successo? 

V.A.: Gli scioperi di questi ultimi anni in Svizzera non sono stati un freno allo sviluppo economico, anzi. Nella maggior parte dei casi è stato possibile migliorare i salari, le condizioni di lavoro oppure salvare degli impieghi. Se la Svizzera sta bene economicamente è perché può contare su salariati molto motivati e con una buona formazione, che hanno diritto alla ricchezza che producono.

swissinfo.ch: Diversi esperti pensano che il lavoratore del futuro sarà sempre più flessibile, mobile e indipendente. Lo sciopero avrà ancora il suo posto in questo nuovo mondo?

V.A.: Certamente! La digitalizzazione genera la precarietà nel lavoro e la necessità di mobilitarsi diventa ancora più grande. Ma, in effetti, è più complicato. Bisogna concepire nuovi e diversi metodi per entrare in contatto con i salariati e anche per agire. 

In Germania, i salariati hanno recentemente deciso di bloccare per diverse ore l’invio e la ricezione di email, paralizzando così il lavoro della loro azienda. È un esempio di una nuova forma di lotta collettiva nell’era digitale. 

Traduzione dal francese, Zeno Zoccatelli

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