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Senza vincitori né vinti, la Siria sta soffocando

Aleppo, uno dei principali terreni di battaglia in Siria, si è trasformata in una città fantasma. AFP

La comunità internazionale è completamente «paralizzata», afferma l'ex diplomatico svizzero Yves Besson. In attesa di una conferenza sulla Siria, prevista il prossimo mese a Ginevra, sul terreno forze governative e ribelli cercano di consolidare le loro posizioni, con l'aiuto dei paesi vicini. Intervista.

Vent’otto mesi di scontri, 100’000 morti e nessuna prospettiva di pace, malgrado l’ipotesi di una prossima riunione internazionale sulla Siria a Ginevra, il cui destino è in mano a Washington e Mosca. E una rivendicazione annegata nel sangue, quella di far cadere il regime autocratico di Bashar al Assad, all’origine del sollevamento popolare.

Ora uno degli scenari stabiliti a fine giungo dall’International Crisis Group (ICG, think tank specializzato nella prevenzione e risoluzioni dei conflitti armati) sembra confermarsi. «Una quarta opzione – secondo cui i paesi alleati forniscono ad entrambe le parti il necessario per sopravvivere, ma non per vincere – rischia unicamente di prolungare una guerra per procura, con i siriani come principali vittime. È lo stadio in cui si trova attualmente il paese e la previsione più probabile per un futuro prossimo», sottolinea l’ICG in un rapporto.

Un’opinione condivisa da Yves Besson. L’ex diplomatico svizzero in Medio Oriente ha mantenuto stretti contatti con la regione, attraverso l’Associazione svizzera per il dialogo euro-arabo-musulmano (ASDEAM).

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swissinfo.ch: I diversi fronti si muovono su un piano diplomatico?

Yves Besson: I paesi occidentali non intervengono, se non debolmente, a livello umanitario. La loro strategia diplomatica – basata sulla minaccia di rifornire i ribelli se Bashar al Assad non se ne fosse andato – ha ormai fatto cilecca. Il presidente siriano è tuttora al suo posto e ben poche armi sono state date ai ribelli.

Finora la politica americana nella regione è stata mal definita o incoerente, come si è potuto constatare con l’evizione del presidente egiziano Mohamed Morsi. Washington gli aveva dato pieno sostegno, per poi lasciarlo cadere dopo il colpo militare. Cosicché gli Stati Uniti sono stati criticati da tutte le correnti politiche egiziane.

La comunità internazionale e le sue istituzioni sono dunque completamente bloccate. Gli unici ad intervenire sono Russia, Iran e Cina, sostenendo militarmente Damasco (Russia e Iran) e ostacolando le iniziative degli Occidentali al Consiglio di sicurezza dell’ONU.

Sono circa 7,8 milioni le persone che in Siria necessitano di una qualche forma di aiuto umanitario; la metà sono bambini,

 
Attualmente, 1,8 milioni di profughi siriani hanno trovato rifugio nei paesi vicini. In media, 6’000 persone lasciano la Siria ogni giorno, secondo l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR).


Dall’inizio dell’anno, il Libano ha registrato un aumento del 460% del numero di rifugiati siriani. Entro dicembre 2013, il numero di profughi – siriani e non – dovrebbe raggiungere il milione e 229mila, ossia un quarto della popolazione libanese.

Malgrado sia in piena crisi economica, l’Iraq ha già fornito oltre 50 milioni di dollari in aiuti umanitari e ha accolto 160’000 persone.

Dal canto suo, la Turchia ha stanziato circa 1,5 miliardi di dollari, secondo le autorità, e ha garantito protezione a 400’000 siriani.

In Giordania, i profughi registrati sono circa 500’000.

Il 18 luglio, l’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i rifugiati António Guterres ha definito insufficiente la protezione assicurata ai siriani che arrivano in Europa. Guterres chiede un approccio più generoso e coerente dei paesi dell’Unione europea in materia di asilo.

«È fondamentale che l’Europa dia il buon esempio», ha detto Guterres, aggiungendo che il numero di domande d’asilo presentate dai siriani in Europa è gestibile, dato che dalla crisi di marzo ha superato di poco le 40’000 unità.

(Fonte: Nazioni Unite)

swissinfo.ch: Quali sono le conseguenze di questo fiasco occidentale?

Y.B.: Oggi gli attori regionali possono intervenire liberamente sul campo, mentre in passato seguivano la linea imposta dalle grandi potenze.

Sul fronte sunnita, la politica regionale del Qatar a sostegno dei Fratelli musulmani è stata un fallimento, come dimostra anche il colpo militare contro Mohamed Morsi. Il Qatar, dove l’ex emiro Hamad bin Khalifa al Thani ha appena abdicato a favore del figlio Tamin bin Hamad al Thani, si allinea in gran parte alle altre monarchie del Golfo capitanate dall’Arabia Saudita.

Il nuovo leader dell’opposizione siriana, il presidente della Coalizione nazionale siriana (CNS) Ahmad Assi Jarba, è stato messo su dai sauditi. È a capo dell’influente tribù dei Shammar, presente nel nord dell’Arabia saudita, nell’Iraq e nella Siria del Sud. Ciò svolge un ruolo importante, in un momento in cui la comunità internazionale è paralizzata.

Sul terreno è dunque in atto un conflitto iraniano-saudita, che può concludersi soltanto con un pareggio dalle conseguenze umane spaventose. Tutte le parti in gioco cercano di sfinire l’avversario. D’altronde, è proprio così che si era conclusa la guerra civile in Libano (1975-1990). Per stanchezza, gli attori in conflitto avevano finito per mettersi d’accordo.

Non dimentichiamoci, inoltre, che questa guerra è anche un conflitto di classe. Buona parte della borghesia siriana (alauiti, sunniti e cristiani) continua a sostenere il presidente Bashar al Assad

swissinfo.ch: Il Libano sta pagando le conseguenze della guerra in atto oltre confine. Rischia anche lui di cadere?

Y.B.: Il Libano è in piena crisi governativa, con un esecutivo che gestisce gli affari correnti. La classe politica fa del politicantismo, mentre la nave sta affondando. Il Libano [come la Giordania e la Turchia, ndr] è invaso da rifugiati siriani. Le frontiere libanesi sono come un colabrodo, a parte quella con Israele.

Ciò detto, lo Stato libanese sopravvive. Non credo che sarà trainato in questa guerra perché le forze politiche libanesi sanno fino a dove spingersi. Gran sostenitore di Damasco, l’Hezbollah si è reso conto che partecipando attivamente alla ripresa della città siriana Al Qusayr si è probabilmente spinto troppo in là. Da allora, il movimento sciita ha fatto marcia indietro nel sostenere Damasco. L’Hezbollah non vuole apparire come un partito anti libanese che va contro gli interessi fondamentali del paese.

swissinfo.ch: Se le linee di fronte si stabilizzano, la prospettiva è quella di una spartizione della Siria?

Y.B.: Non credo. Ma per garantire una stabilità duratura in tutta la zona, sarà necessario un accordo regionale globale. E ciò è possibile unicamente attraverso una grande conferenza internazionale – come quella di Versailles (1919-1920) che ha suddiviso il Medio Oriente sulle rovine dell’Impero ottomano.

Oggi tutte le palle sono in aria, ma non c’è giocoliere a raccoglierle. Gli Occidentali vogliono ridisegnare la carta geopolitica della regione. Ma l’Iran non è pronto a perdere i propri interessi in Mesopotamia, dopo l’intervento americano in Iraq. Risultato: questa guerra sta sfuggendo di mano agli stessi siriani, con il coinvolgimento sempre più importante dei jihadisti stranieri.

(Traduzione dal francese, Stefania Summermatter)

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