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“Wikileaks deve continuare ad esistere”

Il "whistleblower" elvetico Rudolf Elmer Elmer Consulting

Dopo aver sollevato un polverone con la pubblicazione di documenti diplomatici, Julian Assange è stato arrestato a Londra. Tra coloro che avevano avuto contatti con il fondatore di Wikileaks vi è Rudolf Elmer, che nel 2002 intendeva denunciare le attività del suo ex datore di lavoro.

Accusato dall’agosto scorso di violenza sessuale nei confronti di due donne in Svezia, Julian Assange è stato arrestato martedì a Londra dalla polizia britannica. Negando le accuse rivolte nei suoi confronti, il fondatore di Wikileaks afferma di essere vittima di una campagna di discredito, volta a punirlo per aver rivelato al pubblico documenti confidenziali della diplomazia americana.

Innocente o meno, Assange si era attirato già da tempo non pochi nemici, pubblicando documenti a volte scottanti, destinati a denunciare realtà e fatti politici, economici o sociali. Tra coloro che si erano rivolti a Wikileaks vi è anche Rudolf Elmer, ex dirigente della banca Julius Bär.

Licenziato nel 2002 dalla banca, Elmer aveva tentato dapprima di denunciare alle autorità fiscali presunte attività illegali offshore del suo ex datore di lavoro (che non ha voluto esprimersi in merito a questo caso). In mancanza di una risposta, il “whistleblower” (persona che rivela irregolarità all’interno di un’azienda o di un’amministrazione) aveva contattato i responsabili del controverso sito internet.

swissinfo.ch: In che modo ha preso contatto con i responsabili di Wikileaks?

Rudolf Elmer: Ho ricevuto delle istruzioni da parte loro e abbiamo avviato dei contatti tramite messaggi codificati. I giuristi di Wikileaks e il caporedattore Julian Assange si sono occupati della traduzione della denuncia che avevo inoltrato alla Corte europea.

swissinfo.ch: Ha incontrato di persona Julian Assange?

R.E.: Non intendo fornire dettagli su questo punto, dal momento che i metodi di lavoro di Wikileaks devono rimanere segreti. Dirò soltanto che ho avuto contatti con il gruppo di Wikileaks.

swissinfo.ch: Wikileaks procede ad ampie verifiche?

R.E.: Posso esprimermi soltanto in merito al caso Julius Bär. Una cosa è certa: documenti autentici sono stati pubblicati. Ma anche falsi: la banca ha probabilmente cercato di seminare una certa disinformazione, dal momento che non era riuscita a bloccare Wikileaks. Pubblicando documenti falsi, ha tentato di screditare Wikileaks.

Purtroppo, questo dimostra nel contempo che Wikileaks non ha verificato tutte le informazioni e non ha quindi agito in modo professionale. È questo d’altronde il suo punto debole. Va detto, comunque, che ogni informazione dovrebbe essere rimessa in questione per principio, comprese quelle che si trovano nei media.

swissinfo: I “whistleblower” impiegati da Wikileaks rimangono generalmente anonimi. Come mai non è stato così nel suo caso?

R.E.: Da parte mia non ricercavo l’anonimato. Ho firmato la mia prima lettera per accrescere la credibilità di quanto denunciavo, ma anche per dimostrare la mia disubbidienza civile. La pubblicazione del mio nome era importante. Diverse persone hanno così potuto prendere contatto con me e fornirmi informazioni supplementari.

Adesso posso dimostrare l’atteggiamento avuto nella circostanza dalle autorità fiscali svizzere e straniere. Le autorità svizzere non hanno ripreso le mie informazioni, benché concernessero un delitto commesso in Svizzera. Quelle straniere hanno avviato invece dei procedimenti, grazie ai quali milioni di franchi sottratti al fisco sono stati restituiti. E la vicenda non è ancora conclusa.

swissinfo: I “whistleblower” sono importanti o pericolosi per le democrazie?

R.E.: La società ha bisogno di queste persone che lanciano un segnale d’allarme, dal momento che non sussistono spesso altri mezzi per porre fine agli abusi. I lobbisti del settore finanziario sono troppo potenti, fanno ciò che vogliono. Lo stesso vale per le multinazionali e perfino per il sistema giudiziario. Denunciare pratiche illegali è il solo modo possibile per informare il pubblico sull’esistenza di abusi.

D’altra parte, i “whistleblower” possono diventare a loro volta molto potenti, possono usurpare la loro posizione e diventare quindi un pericolo. Ad esempio, la pubblicazione da parte di Wikileaks dei nomi di informatori e di addetti militari in Afghanistan potrebbe avere conseguenze gravi, tra cui l’uccisione di queste stesse persone o di civili. Condanno la pubblicazione di simili informazioni e spero che Wikileaks vi rinunci in futuro.

Ritengo inoltre pericoloso il fatto che una persona – in questo caso Julian Assange – possa riunire così tanto potere e possa impiegarlo a fini personali. Spero che Wikileaks diventi ciò che era un anno fa: un sito internet di allerta, che denuncia regolarmente abusi in settori diversi. La nostra società ne ha bisogno in un mondo manipolato dai media.

swissinfo.ch: Come considera le rivelazioni sui documenti diplomatici americani?

R.E.: È stata danneggiata la fiducia tra le persone e gli Stati. Questa vicenda ha sollevato una grande diffidenza nei confronti degli Stati uniti e, in particolare, dei diplomatici. Negoziati importanti rischiano di essere sospesi per molto tempo.

È difficile dire se queste pubblicazioni saranno utili alla società. Ne dubito, dal momento che la politica mondiale non può essere condotta ad un livello di stampa a sensazione. Credo che il male provocato da queste pubblicazioni sia più grande dei benefici che forse vi saranno per la società.

Posso inoltre immaginare che la campagna di diffamazione lanciata contro Julian Assange sia dovuta ad una volontà di vendetta. E spero, in ogni caso, che Wikileaks possa sopravvivere: si tratta del solo strumento riconosciuto a livello internazionale che protegge efficacemente l’identità dei “whistleblower”. Sto pensando in particolare a coloro che vivono in paesi come la Cina, la Corea del Nord, l’Iran o l’Iraq. Wikileaks deve continuare ad esistere.

La piattaforma Wikileaks è stata creata nel 2007 dall’omonima organizzazione per mettere in rete documenti coperti da segreto che vengono decifrati.

Ogni giorno riceve oltre 10 mila nuovi documenti, inviati anonimamente per via elettronica.

I volontari del sito – apparentemente varie centinaia – in tutto il mondo verificano l’attendibilità delle informazioni, prendendo in considerazione unicamente materiale giudicato rilevante dal profilo politico, sociale, storico o etico.

Se il documento supera le diverse fasi di selezione, viene poi reso accessibile attraverso il sito web.

Prima della pubblicazione vengono omessi i nomi dei civili coinvolti, per riguardo alla loro privacy e per proteggerli.

Il 22 ottobre 2010 il sito internet ha provocato un terremoto pubblicando circa 400mila documenti dell’esercito statunitense, relativi alla guerra in Iraq nel periodo gennaio 2004-dicembre 2009.

Più recentemente, il 28 novembre, Wikileaks annuncia che si appresta a pubblicare 250mila documenti che raccolgono la corrispondenza fra le ambasciate USA e Washington. Il sito ha subito un attacco informatico ed è stato oscurato. Ma le informazioni girano ugualmente, poiché copie dei files sono state trasmesse a grandi quotidiani e settimanali internazionali.

Le indicazioni relative alle finanze di Wikileaks e all’ammontare delle donazioni sono vaghe; secondo alcune fonti giornalistiche, il budget 2010 del sito – che ha già sospeso temporaneamente l’attività per mancanza di fondi – ammonterebbe a un milione di dollari.

Traduzione di Armando Mombelli

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