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Sogno infranto: una svizzera all’estero torna a casa

bandierine svizzera e tedesca, su un tavolo.
La svizzera Lotti Pfyl nel febbraio 2021 si lascerà la Germania alle spalle: la crisi del coronavirus le ha fatto perdere il lavoro, costringendola a tornare in patria. Keystone / Martin Ruetschi

La pandemia di Covid-19 ha pesanti risvolti anche per molti svizzeri all'estero. Sono sempre più numerosi coloro che, a causa della crisi del coronavirus, sono costretti a tornare in patria. Tra costoro c'è Lotti Pfyl, di 60 anni. Testimonianza.

“In tutta la mia vita non ero mai stata così mal ridotta finanziariamente”, dice Lotti Pfyl. La svizzera sessantenne ha ormai preso la grande decisione: rinuncia a vivere in Germania. Tornerà in Svizzera a febbraio. “Negli ultimi mesi ho dovuto ammettere a me stessa che non ce la faccio più”.

Secondo le cifre dell’Ufficio federale di statistica (USTCollegamento esterno), nell’ultimo quinquennio, ogni anno, in media, sono rientrati nella Confederazione circa 25’000 svizzeri dall’estero. Per il 2020 non ci sono ancora i dati.

Il Dipartimento federale degli affari esteri (DFAE) lo scorso maggio aveva riferito che le rappresentanze all’estero, la helpline del DFAE e l’Ufficio del lavoro e dell’economia del cantone di Basilea Città (AWACollegamento esterno) ricevevano sempre più richieste di cittadini elvetici espatriati che desideravano tornare nella Confederazione. La maggior parte degli svizzeri all’estero, tuttavia, torna senza l’aiuto del consolato, come ha invece fatto Lotti Pfyl.

Prima del previsto

Il suo piano era di vivere da indipendente nella Frisia settentrionale. Lì, per molti anni, aveva trascorso le ferie, creandosi così una cerchia di conoscenze e di amicizie. Inizialmente, aveva progettato di emigrare solo dopo il suo pensionamento. Era convinta che i soldi della cassa pensione (relativamente pochi) che avrebbe potuto risparmiare fino ad allora, insieme alla rendita dell’Assicurazione vecchiaia e superstiti (AVS), le avrebbero consentito di vivere meglio in Germania che in Svizzera. Lotti Pfyl aveva divorziato prima del 2000, ossia quando i rispettivi averi dei coniugi nelle casse pensioni non erano ancora divisi metà ciascuno.

una donna seduta davanti a una macchina per cucire.
Rimasta senza un posto di lavoro, Lotti Pfyl passa molto tempo alla macchina per cucire. zvg

In seguito a un burnout ha però cambiato idea e così ha anticipato i tempi: ha lasciato la Svizzera dieci anni prima del pensionamento. Madre di due figli adulti, Lotti ha riscattato il capitale della cassa pensione e lo ha utilizzato per acquistare una grande casa con appartamenti per le vacanze su un’isola del circondario tedesco della Frisia settentrionale, nello Schleswig-Holstein. Ha iniziato i lavori di ristrutturazione e ha affittato gli appartamenti. Inoltre, si guadagnava qualcosa con lavori da sarta.

Dopo quattro anni sull’isola, però, ha dovuto rinunciare a quel progetto. “Da sola era un fardello troppo grande.” È riuscita a vendere la proprietà nel giro di tre mesi e, dopo una sosta a Husum, il capoluogo della Frisia settentrionale, si è trasferita in Baviera, più precisamente nell’Alto Palatinato, dove aveva trovato un lavoro.

una casa di mattoncini marroni.
Una grande casa con un grande giardino nella Frisia settentrionale: essendo sola, la svizzera all’estero Lotti Pfyl non ce la faceva a gestire tutto. zvg

Lotti Pfyl ha un diploma di disegnatrice di impianti di ventilazione, un certificato federale di capacità di contabile e ha conseguito anche una formazione di sartaCollegamento esterno. Nel febbraio 2020 ha iniziato a lavorare, fortemente motivata, per un importante produttore di macchine da cucire. Poi è arrivato il coronavirus e tutte le sue speranze sono di nuovo naufragate.

“Il mio datore di lavoro non aveva più lavoro per me”, racconta. Ciò nonostante, Lotti Pfyl è rimasta ottimista e si è candidata ad un posto per il tracciamento dei contatti in Baviera. Ma dopo il suo colloquio di assunzione in estate, non ha più sentito nulla.

Avventura del ritorno

Nei prossimi tre mesi, Lotti Pfyl ci permetterà di seguire la sua avventura “Ritorno in Svizzera”. Ci darà un’idea dei suoi sentimenti, sotto forma di blog personale sul rimpatrio.

“Dai, torna a casa!”

Con la seconda ondata di pandemia in autunno, sono sorti i dubbi. Non aveva un reddito e difficilmente poteva integrarsi nel suo nuovo luogo di residenza a causa delle misure di distanziamento sociale. “In questa situazione non cambierà nulla nel prossimo futuro”, afferma la svizzera all’estero.

In tale contesto, nei suoi pensieri si è insinuata l’idea di un ritorno, che gradualmente si è materializzata. La famiglia e gli amici in Svizzera le ripetevano continuamente al telefono: “Dai, torna a casa!”, racconta la sessantenne. Lotti Pfyl ha quindi iniziato a fare delle ricerche. “Di cosa devo tener conto per il ritorno? Quali requisiti devono essere soddisfatti? Dove posso ottenere supporto?”, si è domandata. Ha contattato il consolato svizzero e ha iniziato a cercare un lavoro e un appartamento in Svizzera.

“A 60 anni, praticamente nessuno vuole investire su di me”

Un’impresa difficile. “A 60 anni, praticamente nessuno vuole investire su di me”, dice Lotti Pfyl. Ha però rapidamente scoperto che avrebbe ricevuto aiuto al suo ritorno. Questo l’ha tranquillizzata. A spaventarla erano le informazioni del consolato, spiega. “Il consolato aiuta solo se si è venduto tutto ciò che si possiede e si prende con sé solo quello che sta in una macchina. È assurdo”.

“Ho bisogno almeno dei mobili, come pure del computer per redigere le mie candidature di lavoro. Inoltre, ricomprare tutto in Svizzera costa molto di più”. Mentre ci racconta al telefono il suo destino, trattiene a stento le lacrime. “Devo superare la mia debolezza ogni giorno e non cadere nella depressione, perché riceverò l’assistenza sociale”.

L’assistenza sociale trattiene molti dal tornare

Mentre l’ “umiliazione” dell’assistenza sociale trattiene molti svizzeri all’estero dal ritorno, Lotti Pfyl si fa coraggio e osa farlo. “Ce la posso fare”, si convince. Anche se richiedere l’assistenza sociale significa che dovrà rinunciare alla sua macchina e contare ogni centesimo. “Il mio sogno è andato in fumo, adesso devo guardare avanti”.

Sempre più svizzeri all’estero, dallo scoppio della pandemia, si sono ritrovati in condizioni analoghe. Anche l’Organizzazione degli svizzeri all’estero (OSECollegamento esterno) lo ha constatato: “Abbiamo ricevuto sempre più richieste di ragguagli sul ritorno in Svizzera. Circa 75 di esse concernono anche informazioni sull’aiuto sociale al rientro”, dichiara la portavoce Jézael Fritsche.

Per superare le situazioni di emergenza e per il reinserimento, l’OSE dispone di un fondo “Kilcher”. Si tratta di un piccolo aiuto finanziario sotto forma di prestito senza interessi per il ritorno degli svizzeri all’estero. “Nel 2020 è stato fatto capo al Fondo E.O. Kilcher, tramite il quale sono stati effettuati versamenti a richiedenti. Abbiamo ricevuto un po’ più di richieste del solito”, scrive l’OSE.

Il DFAE, che sostiene in loco gli svizzeri all’estero in condizioni di necessità, scrive: “Nel contesto della pandemia di Covid-19, sono stati supportati 56 casi con l’aiuto socialeCollegamento esterno. Il sostegno è stato concesso per un breve periodo nell’ambito dell’aiuto sociale (aiuto di emergenza), in genere per tre o quattro mesi, anche quando i criteri per la concessione dell’aiuto sociale non erano pienamente soddisfatti”.

Le rappresentanze elvetiche all’estero hanno chiuso un occhio in qualche caso. La portavoce Elisa Raggi fa un esempio in proposito: “Di regola, l’aiuto sociale all’estero può essere ottenuto solo dopo una permanenza di circa cinque anni. In questa situazione straordinaria, ad esempio, abbiamo fornito supporto nei casi in cui il termine per l’ottenimento dell’aiuto sociale non era pienamente rispettato. Se la pandemia di Covid-19 dovesse durare ancora a lungo, ci si dovrebbe aspettare un aumento delle richieste di supporto”, afferma la portavoce del DFAE.

Per quanto riguarda le richieste di rimpatrio, ossia coloro che desiderano tornare a casa ma non sono in grado di pagarsi il rientro, quest’anno il DFAE non ne ha ricevute più della media. Al 20 novembre di quest’anno erano pervenute 77 domande, un numero in linea con le 79 giunte sull’arco di tutto il 2019.

Nel frattempo, Lotti Pfyl ha potuto festeggiare un piccolo successo. Ha trovato un appartamento a buon mercato a Walzenhausen, nel cantone di Appenzello Esterno. Tornerà a febbraio. Compie questo passo con grande diligenza. “Sto semplicemente cercando di organizzare tutto nel miglior modo possibile”. Non vede l’ora di ricongiungersi con la sua famiglia, di poter parlare di nuovo il dialetto svizzero tedesco e mangiare i vermicelles [tipico dolce svizzero a base di purea di castagne, NdR.].

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Traduzione dal tedesco: Sonia Fenazzi

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