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«Vai a Basilea e troverai la tua strada»

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Con i suoi abiti alla moda e la barba corta e curata, Nawid Karim potrebbe essere uno studente universitario. O il figlio di un diplomatico di stanza nella capitale svizzera.

Invece sta ripartendo dai suoi 20 anni. Alle spalle si è lasciato la terra che l’ha visto crescere, l’Afghanistan, una carriera di giornalista cominciata per subito finire e l’attimo in cui è stato costretto ad abbandonare tutto.

«È veramente dura per me. Mi manca moltissimo la voce di mia madre», racconta in un inglese pacato, nel quale infila, qua e là, il tedesco che ha imparato nei nove mesi trascorsi dal suo arrivo in Svizzera.

«Mio nonno era molto conosciuto e così mio padre. Sono ricchi, hanno molte relazioni importanti», racconta. Lui è richiedente l’asilo e con la sua famiglia non ha più contatti.

Dopo essersi fatto dei nemici politici già in giovane età ed essersi convertito al cristianesimo, Karim è fuggito dal suo paese. Ora il suo destino è nelle mani degli addetti all’immigrazione svizzeri.

L’Ufficio federale della migrazione (UFM), che tratta il dossier di Karim, non rilascia commenti sui singoli casi. «Procediamo secondo una lista di priorità interna», spiega per e-mail la portavoce dell’UFM, Marie Avet. «I richiedenti l’asilo le cui vite sono in pericolo non vengono rimandati nel loro paese d’origine».

Nel 2008, l’UFM ha ricevuto 405 richieste di cittadini afgani. L’asilo è stato accordato a 21 di loro; altri 88 sono stati giudicati bisognosi di protezione.

Regole

Da ragazzo, Karim non amava le regole. «Quando ero bambino a volte i miei genitori mi dicevano che ero diverso dagli altri. Ero più tranquillo e mi capitava di fare cose che loro non desideravano che io facessi».

Ricorda ad esempio di aver sventato una circoncisione. «Quando il dottore arrivò per circoncidere mio cugino, io non avevo idea di cosa stesse per fare. Quando vidi il coltello, me ne impadronii e cacciai il dottore», racconta ridendo.

Karim ha passato i suoi anni afgani protetto dal bozzolo della famiglia. A parte un anno trascorso in Pakistan per studiare, non ha visto nulla del mondo. «Era una società chiusa. Non avevo mai visitato l’Europa e non avevo l’intenzione di lasciare il mio paese».

I ristoranti e gli alberghi lasciati in eredità dal nonno hanno garantito alla sua famiglia uno standard di vita elevato, inusuale per un paese devastato dalla guerra. «Se una famiglia è conosciuta o ricca presta molta attenzione ai suoi bambini, non li lascia uscire di casa».

Il padre di Karim lavorava come uomo d’affari in Russia e ha fatto pressione sul figlio affinché s’iscrivesse ad una scuola di economia. Lui ha preferito un corso di giornalismo. È stato presto assunto da una televisione e messo a condurre un programma per bambini.

Ma i suoi superiori avevano in mente altre cose per lui. «Lavoravo in televisione da un anno quando mi chiesero di fare il programma dedicato all’islam e alla politica. Me lo chiesero perché avevo il persiano più armonioso, in particolare quando mi esprimevo in dari». Karim parla anche pashtun.

Conversione

«Non accettai il programma e dovetti andarmene». Karim non dice ai suoi superiori che aveva lasciato l’islam per il cristianesimo, decisione presa dopo la lettura di un libro sulle religioni del mondo. «Spiegai loro che ero una persona libera. Io sono sempre libero». Aveva 18 anni.

Karim è stato battezzato alcuni mesi fa in una chiesa evangelica di Berna. «Non dimenticherò mai quel giorno». Il battesimo, tuttavia, non è stato solo una benedizione liberatoria. Per certi versi è anche un peso. Nelle moschee si è sparsa la voce della conversione di un afgano e mentre giocava a pallone con dei compatrioti, Karim ha dovuto confrontarsi con alcune domande. Ha cambiato discorso.

Nel 2006, Abdul Rahman, anch’egli afgano, rischiò il plotone d’esecuzione per essersi convertito. La costituzione del paese prevede una certa libertà di religione, ma la pena per l’apostasia è la morte. Rahman ha ottenuto asilo politico in Italia.

Per Karim è difficile immaginare un ritorno in Afghanistan che non significhi tradire il suo credo o mettere ulteriormente in pericolo la sua famiglia.

Politica

Dopo aver lasciato la tv, Karim si reinventa come organizzatore di manifestazioni politiche e collabora con uno dei maggiori partiti d’opposizione del paese, fornendo le basi per quella che sarebbe stata la combattuta campagna per le elezioni presidenziali dell’agosto 2009.

Dopo qualche mese, nascono dei problemi interni al partito. Alcuni membri se ne vanno. In molti si aspettano che lui faccia la stessa cosa. Ma Karim resta.

Poi un giorno, poco distante dalla città di Mazir-i-Sharif, nel nord, lo rapiscono. Non sa ancora bene perché. Lui era un pesce piccolo e nessuno sapeva della sua conversione.

«Mi sentii chiamare da una macchina piuttosto grande. Mi avvicinai pensando che qualcuno avesse bisogno d’informazioni o di un indirizzo, ma improvvisamente la portiera si aprì e tre persone sedute dietro mi tirarono dentro a forza».

Tre giorni più tardi viene rilasciato senza spiegazioni. «Non so perché mi abbiano liberato, perché non mi abbiano tagliato una mano o colpito più duramente».

24 ore

In seguito suo padre gli fa capire tra le righe che non è intenzionato a pagare un secondo riscatto. Lo invita ad andarsene, senza indicargli una meta.

«Avevo 24 ore per prendere una decisione, per lasciare l’Afghanistan e la mia famiglia. Dissi che mi faceva rabbia dovermene andare». Karim ha una sorella di sette anni, un fratello di undici e un altro un po’ più grande di lui.

Viene affidato ad un passatore che ha falsificato i suoi documenti e che gli fa attraversare il confine con l’Iran in macchina. «Sul visto scoprii di avere un nome diverso», racconta con una certa vergogna.

Il viaggio attraverso l’Iran dura una settimana. Poi Karim si ritrova con altri rifugiati a Urmia e raggiunge la Turchia a piedi, attraversando le montagne del Kurdistan. Il viaggio prosegue in un furgone, con la costante preoccupazione di evitare la polizia. Gli ci vogliono diverse settimane per arrivare a Istanbul. Da lì le cose diventano più semplici. «Non ero completamente libero, ma potevo viaggiare in autobus».

Mare, treno, Svizzera

Ad Istanbul, un altro passatore lo carica su un container che dovrebbe raggiungere Bari via mare. Viaggiare così è estremamente rischioso. In un container del genere trovano posto 70 persone con «dell’acqua e un tozzo di pane», ma Karim è solo. Per pagargli il viaggio – stima il giovane – la sua famiglia ha dovuto spendere all’incirca 15’000 dollari.

La nave attracca in Italia dopo due giorni. Altre due ore per portare il container fuori dalla città e Karim può finalmente scendere. Ad attenderlo c’è un altro passatore, un italiano che parla pashtun e urdu.

L’uomo dà a Karim degli abiti puliti e l’ordine di dirigersi a nord. «Scelsi la Svizzera perché qui non ci sono molti afgani». Le istruzioni per il viaggio sono semplici: sali sul treno, comportati normalmente, non levarti gli auricolari e mostra il biglietto quando passa il controllore. «Vai a Basilea», gli dice il passatore. «Troverai la tua strada».

Justin Häne, swissinfo.ch
(traduzione dall’inglese, Doris Lucini)

Nawid Karim ha raccontato la sua storia a swissinfo.ch usando uno pseudonimo. Per proteggere la sua famiglia, sono stati modificati o omessi alcuni particolari di secondaria importanza.

Nawid Karim è arrivato alla stazione di Basilea il 20 dicembre 2008. Con un africano ha raggiunto il centro per richiedenti l’asilo.

«Ho visto che c’erano diverse persone in cerca d’asilo. Molte erano nella mia stessa situazione. Avevano occhi che tradivano la presenza di numerosi problemi, avevano occhi molto stanchi».

Karim ha ottenuto un permesso di soggiorno per richiedenti l’asilo (permesso N); le autorità stanno studiando la sua richiesta.

Se non ci sono problemi con la legge, dopo tre mesi dal suo rilascio, il permesso N dà diritto a lavorare.

Per Karim, tuttavia, è difficile trovare un lavoro decente col permesso N ed è impossibile iscriversi all’università. Teme che dovrà aspettare degli anni prima di poter ottenere un permesso di tipo differente.

L’Ufficio federale della Migrazione ha dichiarato a swissinfo.ch che la capacità di trovare un lavoro non influisce sui tempi necessari all’esame di una richiesta. «Il tempo d’attesa differisce di dossier in dossier e dipende dalla complessità di ogni singolo caso».

Nuove richieste d’asilo
2008: 405
2009: 454 (fino al 17 settembre)

Richieste accolte
2008: 21
2009: 9

Persone a cui è stata accordata una protezione provvisoria
2008: 88
2009: 102

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