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«Un intervento militare in Libia è poco probabile»

Un manifesto mostra le foto di persone morte a Bengasi, in Libia. Keystone

In Libia si sta scrivendo il periodo più drammatico della primavera araba. Dopo quarant’anni di dittatura, Gheddafi non vuole farsi da parte e fa annegare il paese nel sangue. Quali possibilità ha la comunità internazionale per fermare questo despota? swissinfo.ch l’ha chiesto all’esperto di giustizia internazionale Pierre Hazan.

Dopo essere rimasto attonito e muto di fronte a questi tragici avvenimenti in Libia, l’Onu ha finalmente condannato la repressione sanguinosa definendola un «crimine contro l’umanità».

Martedì, l’Alto commissario delle Nazioni unite per i diritti umani Navi Pillay ha chiesto un’«inchiesta internazionale indipendente» e la fine delle violenze in Libia

Intanto, dallo Stato nordafricano le informazioni giungono frammentarie e contraddittorie. Lo scenario trasmesso dalle televisioni internazionali è terribile. Stando all’organizzazione non governativa Human Rights Watch, dall’inizio della repressione a Tripoli le vittime sarebbero almeno 62. In tutto il paese, il bilancio sarebbe di 300-400 morti, secondo i dati forniti dalla Federazione internazionale dei diritti dell’uomo.

Ma quali strumenti ha a disposizione la comunità internazionale per mettere fine a questo eccidio? E la giustizia internazionale ha i mezzi per condannare Muammar Gheddafi e i suoi sgherri? Le risposte di Pierre Hazan, esperto di giustizia internazionale e docente in scienze politiche a Parigi.

swissinfo.ch: L’Onu ha inviato nel Darfur delle truppe per proteggere la popolazione. Sarebbe possibile intervenire anche in Libia?

P.H.: Dal punto di vista teorico, il Consiglio di sicurezza ha molti strumenti a disposizione. Ma dal punto di vista pratico, sarei sorpreso se ciò dovesse avvenire. L’equazione è completamente diversa in Libia e Sudan. Molti Stati della regione si allarmerebbero se ci fosse un tale attacco che sarebbe visto come un’ingerenza nella loro sovranità nazionale.

Quanto alle potenze occidentali, non hanno i mezzi per lanciarsi in una simile avventura. Ci sono molti elementi contrari. I debiti degli Stati uniti e di altri importanti paesi occidentali sono considerevoli, il loro esercito è limitato. Sono poi già impegnati in Afghanistan e in Iraq.

swissinfo.ch: Il timore di un possibile esodo massiccio di immigrati dopo la caduta del leader libico potrebbe spiegare la prudenza europea?

P.H.: No, al contrario. Prima cadrà il regime, prima si potrà creare un nuovo governo al fine di controllare meglio i processi d’immigrazione. Gheddafi ha le ore contate, non ha più nulla da perdere. Potrebbe utilizzare l’arma del ricatto, quella dell’immigrazione selvaggia. Con un nuovo governo, dipendente dall’aiuto internazionale, lo scenario sarebbe diverso.

L’equazione politica a livello regionale è pure differente. La solidarietà nei paesi arabi, brandita ancora un mese fa, non è più attuale. Gheddafi ha lanciato una caccia agli stranieri nel proprio paese. Non è più protetto dagli altri Stati arabi. Inoltre, il prezzo del petrolio sta aumentando e numerosi paesi, che fanno capo al petrolio libico, vogliono che la situazione si stabilizzi. Non credo che la normalità venga ristabilita con un ritorno al potere di Gheddafi.

Saranno fondamentali i rapporti di forza. Se l’esercito sarà ancora forte a sufficienza e non si dividerà, magari Gheddafi riuscirà ancora a ristabilire l’ordine con il sangue. Ma se il rapporto di forza gli sarà sfavorevole, la sua caduta sarà ineluttabile.

swissinfo.ch: Gheddafi e i suoi miliziani stanno praticamente conducendo una guerra civile contro i manifestanti. Che cosa può intraprendere la comunità internazionale alla luce di questa drammatica evoluzione?

Pierre Hazan: Navi Pillay ha definito questi attacchi dei crimini contro l’umanità e ha chiesto l’istituzione di una commissione d’inchiesta. Anche il Tribunale penale internazionale (Tpi) ha la possibilità di indire un’inchiesta. Il Consiglio di sicurezza può a sua volta prendere un certo numero di decisioni. Può – per esempio – imporre delle sanzioni e rinviare il caso alla Corte penale, i cui effetti sarebbero molto maggiori.

Nel caso specifico del Darfur, il Tpi si è attivato dopo una risoluzione del Consiglio di sicurezza. Ora, quest’ultimo potrebbe fare la stessa cosa con la Libia. I mezzi d’azione ci sono, anche se sono relativamente ridotti.

swissinfo.ch: Che cosa ci si può attendere dall’inchiesta internazionale chiesta dall’Onu?

P.H.: La verifica dei fatti, ma per questo ci vorrà del tempo. Se i fatti sono provati e se si tratta di crimini, come si suppone, Muammar Gheddafi sarà condannato. Ma tale pena avrà un valore effettivo soltanto quando un tribunale si impegnerà a farla scontare. Compito da affidare, secondo me, alla corte penale internazionale.

Anche il principio della competenza internazionale potrebbe essere attivato. Così, i responsabili di questi massacri potrebbero essere arrestati quando giungono in un paese terzo, il quale potrebbe aprire una procedura penale contro di loro.

swissinfo.ch: Il presidente sudanese Omar al-Béchir è stato accusato di crimini di guerra, contro l’umanità e genocidio. Non è mai successo prima per un presidente in carica. La corte ha la possibilità di fare la stessa cosa contro Gheddafi?

P.H.: L’atteggiamento del Consiglio di sicurezza sarà determinante. Se decide di chiamare in causa il procuratore del Tpi, il segnale sarebbe sufficientemente forte. Si dovrebbe tuttavia essere prudenti. Alcuni dissidenti libici parlano di genocidio. Per fortuna siamo ancora molto lontani da questo scenario, anche se i fatti verificatisi in Libia sono davvero drammatici.

swissinfo.ch: La corte penale internazionale potrebbe incriminare anche altri dittatori della regione, quali Hosni Mubarak e Sine Ben Ali?

P.H.: Questi sono casi molto diversi. Le raffiche di colpi contro i civili da parte di aerei ed elicotteri va molto al di là della repressione in Tunisia e in Egitto. Il governo tunisino ha chiesto l’estradizione di Ben Ali. Ha così dato prova di una vera volontà politica di perseguire il dittatore deposto. Il Tpi interviene soltanto come ultima risorsa e in questi casi non ha motivo di farlo. Quanto a Mubarak, egli si trova ancora nel suo paese. Le autorità egiziane sono le prime a doverlo giudicare. Un mandato d’arresto nei confronti di Muammar Gheddafi sarebbe un segnale di forza da parte della giustizia internazionale.

«Resterò a capo della rivoluzione fino alla morte», lo ha detto il leader libico Muammar Gheddafi nel suo intervento in diretta tv, aggiungendo che sarebbe morto «come un martire» e che «Gheddafi resisterà. Libertà, vittoria, rivoluzione!». Il colonnello ha inoltre avvertito: «non siamo ancora ricorsi alla forza ma lo faremo».

Con i consueti occhiali fumé, turbante color cammello e casacca con mantella sulla spalla, Gheddafi ha parlato con toni accalorati da guerriero beduino e spesso gesticolando con le mani.

Il leader libico ha definito i manifestanti «ratti pagati dai servizi segreti stranieri» e affermato che gli insorti sono «una vergogna per le loro famiglie e le loro tribù».

Intanto, le manifestazioni contro Gheddafi si moltiplicano in tutto il mondo.

Martedì sera a Losanna un centinaio di persone hanno partecipato a una manifestazione di solidarietà con i paesi arabi, denunciando in particolare la “barbarie” in Libia.

A Berna, una cinquantina di persone – principalmente cittadini libici – hanno manifestato a gran voce davanti all’ambasciata d’Italia a Berna. I manifestanti hanno accusato il governo della Penisola di sostenere il regime libico nella repressione violenta delle proteste.

Alla luce di quanto sta avvenendo in Libia, più di 70 organizzazioni non governative hanno chiesto che la Libia sia esclusa dal Consiglio dei diritti dell’uomo dell’Onu.

La loro richiesta si rifà all’articolo 8 della risoluzione sulla creazione del Consiglio dei diritti dell’uomo del marzo 2006. L’Assemblea generale dell’Onu può, con una maggioranza di due terzi, sospendere a causa di gravi violazioni dei diritti dell’uomo un membro del Consiglio.

L’Assemblea generale dell’Onu ha eletto nel 2010 la Libia nel Consiglio dei diritti dell’uomo. Quest’ultimo si riunirà lunedì prossimo a Ginevra per una sessione di quattro settimane.

La Svizzera, dopo la condanna delle violenze, sostiene l’iniziativa di indire una sessione speciale del Consiglio dei diritti dell’uomo per trattare la situazione in Libia. È quanto ha indicato martedì il Dipartimento federale degli affari esteri (DFAE).

Attualmente vivono in Libia 46 cittadini svizzeri. Nella maggior parte dei casi si tratta di persone con la doppia cittadinanza.

Viste le condizioni di sicurezza nello Stato nordafricano, il Dipartimento federale degli affari esteri consiglia ai cittadini svizzeri di lasciare il paese e di rinunciare a viaggi in Libia.

(traduzione dal francese, Luca Beti)

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