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La collezione Gurlitt che nessuno vuole, ma tutti desiderano

Il dipinto “Due cavalieri sulla spiaggia”, di Max Liebermann, è una delle due opere appartenenti alla collezione Gurlitt che la Task Force tedesca ha finora raccomandato di restituire ai legittimi proprietari. Courtesy of private source

Nessun altro caso, dopo la Seconda guerra mondiale, ha portato alla luce in modo così evidente il saccheggio di opere d’arte da parte dei nazisti, come la scoperta nel febbraio 2012 del patrimonio Gurlitt, che si credeva distrutto durante i bombardamenti. Ora tutti gli occhi sono puntati sul museo svizzero che ha ereditato questo tesoro imbarazzante.  


L’annuncio è atteso il 24 novembre. Solo allora si saprà se il Kunstmuseum di Berna accetterà il lascito dell’immensa collezione che Hildebrand Gurlitt (1895-1956), un mercante d’arte vicino al regime nazista, avrebbe in parte sottratto alle vittime Terzo Reich. Questo patrimonio artistico era stato tenuto a lungo nascosto dal figlio Cornelius (1932-2014). Finché nel febbraio del 2012, un controllo delle autorità fiscali tedesche aveva portato alla luce un importante numero di opere in un vecchio appartamento di Monaco e, in un secondo tempo, in una casa a Salisburgo.

Deceduto il 6 maggio 2014, Cornelius Gurlitt ha lasciato il suo patrimonio al Museo d’arte di Berna. Un’eredità che non ha mancato di suscitare sorpresa e imbarazzo. Gurlitt ha agito in piena legalità, dato che in Germania la legge prevede una prescrizione di trent’anni, dopo la quale la proprietà di un’opera d’arte non può più essere contestata. O così almeno credeva.

Il numero esatto di opere ritrovate nelle abitazioni di Gurlitt in Germania e in Austria non è mai stato ufficialmente confermato e varia tra 1240 e 1650. Non vi è alcuna informazione neppure sulle cornici vuote, che fanno supporre una vendita delle tele da parte dei Gurlitt, con la complicità silenziosa del mercato dell’arte. 

Altri sviluppi

Confusione giuridica

Se il museo svizzero accetterà il lascito, dovrà sottostare ai Principi di WashingtonCollegamento esterno, un codice etico non vincolante sottoscritto da 44 Stati – inclusa la Svizzera – che invita a promuovere l’identificazione delle opere d’arte confiscate dal regime nazista e la ricerca di una «soluzione giusta ed equa» con gli eredi dei proprietari.

Stando a un rapporto pubblicato di recente dalla Conference on Jewish Material Claims Against GermanyCollegamento esterno e dall’Organizzazione ebraica mondiale per la restituzioneCollegamento esterno, i due terzi dei paesi firmatari hanno compiuto solo pochi progressi – o nessuno.

La speranza ora è che il caso Gurlitt – altamente mediatizzato – permetta di fissare procedure di restituzione, che anche i paesi più restii, come Italia, Russia, Polonia, Spagna, Ungheria e Argentina,  saranno spinti a seguire.

Nel frattempo, la direzione del Kunstmuseum di Berna sta esaminando le implicazioni legali che l’accettazione di questo patrimonio comporta. Il museo rischia infatti di vedersi confrontato con una valanga di rivendicazioni da parte degli eredi delle famiglie ebraiche fuggiti in paesi con leggi diverse da quelle tedesche.

Il dilemma è però anche morale, dato che almeno un terzo della collezione è già stata identificata come rubata ai legittimi proprietari. L’elenco è stato pubblicato nella banca dati online Lost Art, nella rubrica Munich TroveCollegamento esterno.

Le informazioni sulle opere restanti – circa due terzi – sono scarse. Le autorità tedesche, che hanno tenuto segreto il ritrovamento per oltre un anno, sono accusate di offuscamento e ostruzione da parte di un esercito di potenziali ricorrenti, molti dei quali sono ormai anziani e particolarmente impazienti. Un gruppo di lavoro è stato lanciato nel gennaio 2014, ma finora non ha reso noto alcun risultato delle sue inchieste. 

Negoziare un accordo con la Germania

Gli eredi non si oppongono, per ora

Quando ha redatto il suo testamento all’inizio dell’anno, Cornelius Gurlitt aveva 81 anni ed era già gravemente malato. Era ancora sano di mente? Una valutazione chiesta dai suoi cugini, Dietrich Gurlitt e Uta Werner, solleva qualche dubbio. Tramite il loro avvocato Wolfgang Seybold, affermano di non voler contestare il testamento, «per il momento», ma non escludono di farlo in un secondo tempo.

La valutazione è stata effettuata dal giurista e psichiatra Helmut Hausner, sulla base di documenti e di colloqui con persone che hanno conosciuto Cornelius Gurlitt. Lui non ha mai incontrato di persona Gurlitt. «Al momento di redigere il suo testamento il 9 gennaio 2014, Cornelius Gurlitt soffriva di una leggera demenza, di un disturbo schizoide della personalità», scrive Hausner. La sua conclusione: l’uomo non era più in grado di intendere e volere.

L’avvocato americano Nicholas O’Donnell, specializzato in richieste di restituzione di beni sottratti durante la guerra, ha seguito il caso da vicino. Dal suo punto di vista, il Kunstmuseum di Berna accetterà il lascito, ma chiederà probabilmente alla Germania una sorta di risarcimento per affrontare i costi di trasporto della collezione e le spese di eventuali risarcimenti.

«La Germania sta presumibilmente considerando la possibilità di sbarazzarsi semplicemente del problema», spiega O’Donnell.

Di fatto, i nazisti hanno promosso il contrabbando di un’intera categoria d’arte moderna che ritenevano “ degenerata”, complicando il loro rintracciamento durante e dopo la guerra. E, per inciso, non tutti i proprietari di queste opere erano ebrei, ricorda l’avvocato.

Il museo di Berna – quale fondazione privata – potrebbe rivendere parte della collezione per coprire i costi? Per O’Donnell, questa eventualità è scarsa: «Nessuno comprerebbe opere di dubbia provenienza».

«Fino alla metà degli anni Novanta, un lavoro etichettato semplicemente “Da una collezione privata, Parigi, 1942” non avrebbe creato problemi, ma da quando sono stati elaborati i Principi di Washington, simili tele sono segnate con un bollino rosso». 

Una soluzione elegante

Come molti altri professionisti museali, Bernhard Fibicher – direttore del Museo di Belle Arti di Losanna, era inizialmente convinto che fosse corretto rifiutare il lascito per ragioni etiche, ma ora ha cambiato idea.

Secondo lui, se il Kunstmuseum dovesse rifiutare la collezione, le opere d’arte potrebbero essere oggetto di un’infinita procedura di successione, che potrebbe concludersi con l’identificazione dei lontani parenti di Gurlitt come eredi legittimi di parte delle opere.

Membri della famiglia Gurlitt – alcuni dei quali sono ebrei – hanno affermato che, se il museo dovesse rifiutare il lascito, loro restituirebbero ogni opera rubata ai legittimi proprietari.

Bernhard Fibicher è convinto che il museo di Berna dovrebbe accettare il lascito e lasciarlo in Germania finché la questione della provenienza dei beni sarà risolta. «Sarebbe una soluzione elegante», afferma.

C’è però un aspetto che lo mette a disagio: la possibilità che la collezione  venga prestata regolarmente ad altri musei per scopi meramente finanziari. Paradossalmente, si dice che la qualità delle opere sia stata notevolmente  ingigantita. E i rari capolavori potrebbero essere i primi ad essere rivendicati con successo. 

Un’opportunità per la Svizzera

“Donna seduta”, di Henri Matisse Keystone

Uno di questi capolavori è un quadro del pittore francese Matisse. Legale degli eredi della famiglia Rosenberg, il fondatore e direttore dell’Art Recovery International – Christopher Marinello – si è impegnato a recuperare il dipinto non appena il suo ritrovamento è stato reso noto.

Secondo Marinello, la collezione Gurlitt rappresenta una grande opportunità per il museo svizzero per prendere l’iniziativa e colmare le lacune dimostrate dalla Germania nel gestire questo caso.

«Il Kunstmuseum dovrebbe accettare il lascito e risolvere la questione delle opere sequestrate dai nazisti secondo i Principi di Washington». 

Rompere il silenzio

L’opinione di Marinello è condivisa anche da Anne Webber, cofondatrice della Commissione per l’arte saccheggiata in Europea (CLAE) che ha dato vita a un sito webCollegamento esterno sulle opere trafugate dai nazisti. Ex regista, Anna Webber è considerata una formidabile avvocatessa della  causa della restituzione delle opere.

«Assieme alla proprietà, viene anche la responsabilità. Se Berna accetta la collezione Gurlitt, è necessario proseguire le ricerche e garantire la maggior trasparenza possibile».

Webber è conosciuta per le sue posizioni schiette e sottolinea che se la Germania ha elaborato in modo esemplare il suo passato nazista, l’arte resta il suo «tallone d’Achille». Il lascito a Berna è «una grande opportunità per rompere il silenzio e svelare i segreti ancora custoditi in Germania», afferma.

«Le identità dei ricercatori attualmente impegnati nella task force attiva in Germania non sono state rivelate. I motivi non sono chiari. La trasparenza è essenziale se vogliamo che la gente abbia fiducia in questo gruppo di lavoro». 

Riempire le cornici vuote

Anne Webber sottolinea che le indagini devono spingersi oltre le opere trovate in possesso di Gurlitt. «Le opere raccolte negli anni da Hildebrand Gurlitt, e poi vendute, devono essere  rintracciate e identificate». 

Cornelius Gurlitt Dukas/Actionpress

Cornelius Gurlitt, che non aveva alcuna fonte di reddito dichiarato, è noto per aver ceduto diverse opere d’arte. Lo stesso fecero la sorella e la madre dopo la morte di Hildebrand in un incidente d’auto, nel 1956.

Anne Webber cita Alfred Weidiger, vicedirettore del Museo Belvedere in Austria: «Il fatto che questa collezione esistesse non eraun segreto. Ogni grande mercante del sud  della Germania ne era a conoscenza e sapeva quanto fosse importante ».

Fino a che punto il mercato dell’arte sia stato complice silenzioso del clan Gurtill è tutto da provare. «Chiediamo un’indagine esaustiva e invitiamo i commercianti che dispongono di queste opere – inclusi i musei – a farsi avanti», afferma Webber.

L’avvocatessa sottolinea nuovamente come il trasferimento dei beni in Svizzera «potrebbe rappresentare un modello per la ricerca sulla provenienza delle opere e per una maggiore giustizia».

«Il Kunstmuseum di Berna potrebbe contribuire a garantire maggior trasparenza, di cui le vittime hanno disperatamente bisogno». 


Il governo Tedesco e quello del Land della Baviera hanno disposto una task forceCollegamento esterno nel gennaio 2014 con un doppio mandato: condurre ricerche sulla provenienza delle opere e assistere l’ufficio del Procuratore pubblico e i tribunali tedeschi «con le necessarie informazioni sull’origine e le circostanze in cui le opere sono finite nella casa Gurlitt».

Finora sono state fatte solo due raccomandazioni di restituzione: “Due cavalieri sulla spiaggia” di Max Liebermann (contro la quale, a sorpresa, si è opposto lo Stato tedesco) e “La donna seduta” di Henri Matisse (attualmente rivendicata dai discendenti di Paul Rosenberg).

(Traduzione dall’inglese, Stefania Summermatter)

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