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«Non vi saranno ondate di esuli climatici»

Nord delle Filippine, ottobre 2009. Keystone

A poco più di un mese dalla conferenza di Copenaghen sul clima, Etienne Piguet – specialista di migrazioni presso l'Università di Neuchâtel – ritiene che l'aspetto umano del cambiamento climatico meriti maggiore attenzione e puntualizza alcuni aspetti.

«Disponiamo di informazioni sempre maggiori sul numero di persone potenzialmente vittime – in modo diverso – dei cambiamenti climatici. Sappiamo anche che una parte di queste persone rischia di dover emigrare, ma soltanto una minoranza lo farà davvero o avrà la possibilità di farlo», spiega Etienne Piguet, professore di geografia all’università di Neuchâtel.

«Si tratta di una consapevolezza importante, segnatamente di fronte alle reazioni di panico di chi teme che i migranti si riversino nei paesi più benestanti. È un errore che ha effetti perversi, poiché si ha l’impressione di doversi proteggere maggiormente contro i flussi migratori».

«I richiedenti l’asilo in Svizzera non saranno più numerosi a causa del cambiamento climatico. Se le persone toccate dal fenomeno si sposteranno, ciò avverrà innanzitutto a corto raggio, in special modo verso i paesi vicini. E comunque una buona parte di loro resterà dov’è».

swissinfo: Che cosa li spinge e li spingerà a muoversi?

E.P.: È necessario distinguere tra gli avvenimenti che obbligheranno le persone a partire e le altre conseguenze del cambiamento climatico, come le perturbazioni del regime pluviale, l’aumento della siccità e la frequenza degli uragani.

La salita del livello delle acque marine è l’esempio tipico di un’evoluzione graduale: l’aumento è infatti di alcuni millimetri ogni anno. La desertificazione progressiva costituisce un altro esempio. In questo caso, i movimenti migratori sono molto progressivi e le popolazioni non rientrano generalmente più nei luoghi d’origine. La migrazione è pianificata e relativamente definitiva.

Nel prosieguo potrebbero anche verificarsi fenomeni improvvisi e violenti, originati dal cambiamento climatico: per esempio uno smottamento di terra nelle Ande, il quale causerebbe uno spostamento di popolazione a breve distanza, con un probabile ritorno più tardi. È lo scenario prefigurato da diversi studi.

swissinfo: È possibile stimare quante persone potrebbero emigrare, in questi casi?

E.P.: Nella situazione specifica dell’aumento del livello delle acque, disponiamo di proiezioni in funzione del numero di abitanti stabiliti a una determinata altitudine. Si parla di 150 milioni di persone che vivono a meno di un metro sopra il livello del mare, e 600 milioni a meno di dieci metri.

Restando nell’ordine di grandezza del metro, la migrazione non è ineluttabile: la costruzione di dighe è ancora possibile. Il parlamento olandese ha votato nel dicembre scorso un credito importante per riprendere tutto il sistema dei polder [terreno costiero pianeggiante e coltivabile, situato al di sotto del livello dell’alta marea, protetto da dighe e percorso da canali di drenaggio].

Ma se i Paesi Bassi hanno i mezzi per questo tipo di intervento, lo stesso non si può dire per il Bangladesh.

swissinfo: Quanti sono i migranti climatici oggi, e quanti saranno domani?

E.P.: Bisogna essere molto prudenti. Gli organismi più militanti sostengono che vi sono già 200 milioni di migranti per motivi ambientali. Tali cifre hanno però uno scarso fondamento scientifico.

Nella comunità accademica vi è un consenso abbastanza diffuso in merito al fatto di evitare una sorta di conteggio planetario. Questo poiché nella stragrande maggioranza dei casi, all’origine degli spostamenti vi è un concorso di fattori. Di conseguenza, non è possibile utilizzare l’etichetta di “migranti climatici”.

Consideriamo il caso di un contadino povero del Bangladesh, appartenente a una casta sfavorita e sprovvisto di un’adeguata assistenza sanitaria al suo villaggio che decide di emigrare con la propria famiglia verso la capitale. È possibile definirlo un migrante per motivi climatici? Questa domanda non ha risposta. Con condizioni ambientali uguali, ma infrastrutture diverse, egli avrebbe forse rinunciato a emigrare.

A livello di proiezioni, circolano le cifre più disparate, e c’è persino chi ipotizza un miliardo di sfollati. Va però tenuto presente che non disponiamo di metodi per elaborare previsioni relative a scenari così differenti come la crescita del livello delle acque o l’aumento della frequenza di uragani.

swissinfo: È corretto affermare che i paesi poveri saranno le aree più toccate dalle migrazioni climatiche?

E.P.: Sì, per il semplice fatto che le loro popolazioni sono le più presenti nelle zone a rischio. Inoltre, nella zona tropicale e subtropicale si concentra la maggior parte delle conseguenze negative a livello di produttività agricola, diffusione di malattie, ecc.

swissinfo: La questione delle migrazioni climatiche è sufficientemente presa in considerazione dalla comunità internazionale? Cosa ci si può attendere dalla conferenza di Copenaghen?

E.P.: Gli aspetti umani e sociali del cambiamento climatico potrebbero essere maggiormente presi in considerazione a livello politico e scientifico. Qualsiasi menzione esplicita – nella dichiarazione finale di Copenaghen – delle conseguenze che il cambiamento climatico comporta per le popolazioni sarebbe assai positiva.

Il fatto che le migrazioni siano menzionate chiaramente o meno è invece piuttosto secondario: esse rappresentano infatti soltanto una delle possibili conseguenze dei mutamenti climatici.

swissinfo: Le politiche migratorie attuali sono adeguate alla problematica dei migranti climatici?

E.P.: No, non lo sono ancora. Ma è tutta la politica umanitaria che deve essere ripensata. È necessario introdurre dei meccanismi di solidarietà regolati meglio su scala mondiale (interventi in caso di catastrofe, mobilitazione degli aiuti, condivisione dei costi).

A livello dell’ONU, per esempio, la coordinazione è relativamente debole tra le differenti agenzie che si occupano di aspetti umanitari, rifugiati compresi. In merito alla questione delle migrazioni, si sarà sempre più confrontati alla problematica dei flussi migratori all’interno di uno stesso paese.

Non si tratta dunque semplicemente di affermare che le politiche migratorie dei paesi occidentali devono essere più disposte ad accogliere i migranti climatici. Ovviamente è ipotizzabile un’evoluzione in questo senso, ma il vero problema dovrà essere risolto nelle regioni toccate dai cambiamenti climatici.

Pierre-François Besson, swissinfo.ch
(traduzione e adattamento: Andrea Clementi)

Il vertice mondiale sul clima di Copenaghen (7-18 dicembre) dovrebbe sfociare in un accordo concernente il periodo seguente al protocollo di Kyoto (2012).

Le discussioni verteranno sulla riduzione delle cause umane del cambiamento climatico, sulle strategie d’adattamento e sulle necessità (finanziarie, tecnologiche, istituzionali) dei paesi in via di sviluppo.

«Al giorno d’oggi sono necessarie risposte politiche per facilitare la mobilità delle persone in risposta ai cambiamenti climatici», afferma Jean-Philippe Chauzy, portavoce dell’Organizzazione internazionale per le migrazioni (IOM).

Cauzy aggiunge: «È inconcepibile che la comunità internazionale possa trascurare le conseguenze a livello migratorio dei cambiamenti climatici». Il diritto internazionale non riconosce lo statuto di rifugiato per motivi climatici.

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