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«Non si può proibire la scalata dell’Everest»

Un'immagine datata: gli sherpa salgono la china, sulla sfondo la cima del Lhotse (foto: SSAF) Un'immagine datata: gli sherpa salgono la china, sulla sfondo la cima del Lhotse (foto: SSAF)

Cinquant’anni dopo la prima di Hillary, la corsa alla montagna più alta del mondo è più ambita che mai. La massima esperienza dell’alpinismo non è più un’impresa da pionieri, ma rimane per temerari.

Hansruedi von Gunten e Thomas Zwahlen – due generazioni di alpinisti che hanno raggiunto il tetto del mondo – commentano la loro esperienza.

A cinquant’anni dalla prima scalata della vetta più alta della terra, il mito Everest non cede il suo fascino. Anzi; lungo il percorso si accalcano oggi tante comitive come mai prima d’ora.

«Tutta questa gente che raggiunge la cima, mi sembra terribile», afferma senza mezze misure Hansuredi von Gunten. Lui era fra i primi, nel 1956, a raggiungere la vetta.

Molti anni dopo un altro svizzero lo ha imitato. Thomas Zwahlen, guida alpina di Thun ammette: «È vero, la colonna umana sullo Hillary Step è la cosa che mi ha preoccupato di più nella spedizione».

La fortuna di un tempo

Malgrado la calca, lo scorso 26 maggio Zwahlen ha vissuto l’emozione che per il suo predecessore era evidente: arrivare da solo sulla cima. La fortuna della spedizione 2003 è che la maggior parte dei gruppi aveva abbandonato l’impresa prima di raggiungere la cima. Le cordate rimaste hanno raggiunto la cima a piccoli gruppi, senza intralciarsi.

Due generazioni ad un tavolo

I due alpinisti sono esponenti di due generazioni. Malgrado le esperienze diverse, si incontrano su alcuni temi di fondo. Da una parte c’è il veterano che, con il suo collega Dölf Reist, ha partecipato alla terza spedizione della storia. I due hanno raggiunto la montagna più alta del mondo come quinto e sesto alpinista in assoluto.

Il giovane invece ha ancora il sole dell’Himalaya in fronte. Zwahlen fa parte dei 140 che nella bella stagione sono riusciti a raggiungere la cima in questo anno del giubileo. «Con tutti quegli alpinisti c’era davvero da aspettarsi una concorrenza spietata, ma visti i forti venti che non volevano cessare, ci si è comunque aiutati reciprocamente, questa è stata una bella cosa».

Tanti dilettanti

Ma per i due alpinisti al tavolo di swissinfo vale: «Ci sono troppi dilettanti che si avventurano sulle pendici del monte». Non basta avere i soldi per arrivare in cima alla montagna. Anche il fatto che praticamente tutta l’ascesa è cosparsa di funi fisse è «un fenomeno legato alla commercializzazione».

Contemporaneamente però gli sherpa approfittano della massa: «Le escursioni e le scalate con i turisti sono un’importante fonte di guadagno per tutta la regione».

Con la massa crescente di temerari che vogliono arrivare in vetta, cade anche il mito della montagna. Edmund Hillary, il pioniere che per gli sherpa è ancora un semidio, vuole per questo proibire l’ascesa per alcuni anni.

Ma von Gunten si dice scettico: «Non si può proibire di scalare l’Everest». Anche gli alpinisti meno ferrati hanno il diritto di vivere questa emozione, se lo vogliono. Anche le spedizioni commerciali vanno bene, se sono organizzate in maniera professionale.

L’esempio della parete nord dell’Eiger, una delle scalate più difficili dell’arco alpino, fa scuola. Dopo una serie di incidenti mortali le autorità avevano proibito agli alpinisti di arrampicarvisi. «Ma senza successo», ricorda von Gunten.

Inoltre dopo alcuni anni di chiusura la coda sarebbe enorme e le conseguenze economiche per la regione non sarebbero secondarie, ritengono i due interlocutori. Meglio sarebbe legare le spedizioni a delle guide di professionisti. Ma una soluzione che protegga i vari interessi non è così semplice da trovare, nemmeno per i due alpinisti provetti.

L’esperienza non si sostituisce

Comunque il 75enne si complimenta con il giovane arrampicatore delle massime vette. «Anche se l’attrezzatura è molto migliore e i tracciati sono in gran parte segnati, anche oggi salire a oltre 8’000 metri è una grande prestazione».

Zwahlen ricambia subito il complimento al pioniere: «Una prestazione incredibile». Anche il grande vecchio si stupisce: «Con la tenda che abbiamo montato ai 7’900 metri del South Col, oggi non andrei nemmeno in vacanza al sud della Francia».

«Ma il materiale migliore non basta a compensare l’incapacità e la mancanza di esperienza degli uomini che vi salgono», aggiunge von Gunten. Zwahlen si compiace di questa affermazione. Per la guida alpina questo è «il bello della montagna».

swissinfo, Renat Künzi
(adattamento: Daniele Papacella)

Dal 1953 oltre 1’200 persone hanno raggiunto la vetta dell’Everest
Nei primi 30 anni solo 143 hanno imitato Hillary, il boom è arrivato dopo
175 sono morti, di questi 56 sherpa
Appa Sherpa detiene il record con 13 ascese

Hansruedi von Gunten aveva 27 anni quando ha scalato l’Everest. Da allora non è più ritornato. Fino al 1993 è stato professore di chimica all’Università di Berna. È ancora appassionato della montagna e gode di ottima salute.

Thomas Zwahlen è guida alpina e elettrotecnico. Attualmente dirige la scuola di alpinismo Bergflanke di Thun. Il suo primo 8’000 è stato il Cho Oyo nel 1999. Con la parete nord dell’Eiger e la Nose, nel parco nazionale della Yosemite, ha vinto alcune delle pareti più difficili al mondo.

Il pallino per l’Everest gli è venuto a cinque anni, quando con suo padre ha seguito una conferenza di Dölf Reist, compagno di cordata di Hansruedi von Gunten nell’avventura himalayana.

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