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“Le donne sono spesso più sensibili ai problemi del nostro Pianeta”

Portrait d une femme
María Mendiluce ha 25 anni di esperienza nel mondo degli affari. Philippe Monnier

María Mendiluce, direttrice esecutiva della We Mean Business Coalition, ritiene che un maggior numero di donne in posizioni di leadership nelle aziende e nei governi contribuirebbe a risolvere la crisi climatica.

Come organizzazione non governativa e senza scopo di lucro, la “We Mean Business Coalition” fa da ombrello ad altre organizzazioni e collabora con le aziende leader per affrontare il cambiamento climatico. Intervista a Ginevra con María Mendiluce, amministratrice delegata della coalizione. 

SWI swissinfo.ch: La sua organizzazione ha sede a Ginevra. Quali sono i vantaggi e gli svantaggi di questa città? 

María Mendiluce: La nostra organizzazione è nata in modo virtuale, ma data l’importanza del contatto personale, abbiamo sentito la necessità di una presenza fisica. Io e alcuni colleghi siamo basati a Ginevra, ma abbiamo uffici anche a Londra e New York. 

Ginevra ha il vantaggio di essere ben collegata al resto del mondo. Inoltre, la presenza di numerose organizzazioni internazionali è un grande vantaggio. Anche la neutralità della Svizzera è importante per la nostra espansione globale. 

Il nome dell’organizzazione è sorprendente. Perché non avete scelto piuttosto “We Mean Sustainable Business Coalition”? 

Quando la nostra organizzazione è stata fondata nel 2014, la lotta al cambiamento climatico era considerata qualcosa di marginale e soprattutto costoso. Con questo nome, la nostra organizzazione ha voluto mostrare al mondo che tale lotta è in realtà sinonimo di opportunità di business per le aziende e, in questo contesto, il nostro obiettivo era quello di rappresentare le società in prima linea. 

María Mendiluce, di nazionalità spagnola, ha conseguito il dottorato di ricerca in Economia dell’energia presso l’Universidad Pontificia Comillas di Madrid. 

Specializzata in sviluppo sostenibile, energia e attivismo climatico, ha 25 anni di esperienza in aziende, organizzazioni internazionali, università e governi. 

È stata direttrice generale del Consiglio mondiale delle imprese per lo sviluppo sostenibile (WBCSD) a Ginevra, prima di assumere la carica di direttrice esecutiva della “We Mean Business Coalition” a maggio 2020. 

L’obiettivo della sua coalizione è quello di “catalizzare l’azione delle imprese e delle politiche pubbliche per dimezzare le emissioni entro il 2030”. Il mondo è sulla buona strada? 

In realtà, non siamo sulla buona strada: la neutralità climatica e un riscaldamento di soli 1,5 gradi sono obiettivi molto difficili da raggiungere. Stiamo già assistendo a un aumento della temperatura di 1,1°C. Dobbiamo fare tutto il possibile per evitare ogni frazione di grado in più. Il tempo sta per scadere e questa è la nostra sfida più grande. 

Eppure la maggior parte delle aziende sottolinea i propri sforzi e successi nel campo della sostenibilità. Il greenwashing è la nuova regola del gioco? 

In generale, vedo tre categorie di aziende. In primo luogo, c’è chi sta davvero cercando di combattere il riscaldamento globale; stiamo lavorando con queste imprese per sviluppare metodi affidabili per misurare l’impatto dei loro sforzi. 

Nella seconda categoria, le aziende intraprendono azioni marginali a favore della sostenibilità. Ciononostante, queste aziende si fanno forti delle loro azioni per vendersi alla clientela, malgrado il loro misero impatto sul clima. In terzo luogo – e questo è il problema più grande – ci sono ancora una miriade di aziende che non fanno assolutamente nulla e non si preoccupano delle sfide climatiche. 

“Ci sono ancora una miriade di aziende che non fanno assolutamente nulla e non si preoccupano delle sfide climatiche.”

Nel campo della sostenibilità, le opinioni della comunità scientifica sono allineate? 

Assolutamente! Oltre il 95% degli scienziati e delle scienziate è d’accordo e indica nel comportamento umano la causa principale del riscaldamento globale. Fortunatamente, grazie al progresso scientifico, i metodi per ridurre l’impronta climatica migliorano continuamente. 

I governi sono incoraggiati, in particolare dalle imprese, a sviluppare politiche per promuovere l’energia pulita. Perché l’azione governativa è così lenta? 

I cicli elettorali quadriennali sono una vera sfida! Al contrario, per i Paesi con governi più stabili, come la Svizzera, è più facile attuare azioni decisive a lungo termine. D’altra parte, la pianificazione cinese ha prodotto buoni risultati: metà delle auto elettriche vendute nel mondo sono in Cina. 

Un’altra sfida è rappresentata dalla burocrazia dilagante, che comporta ritardi nella pianificazione dei progetti, nei permessi di costruzione, nell’acquisizione dei terreni e nelle connessioni alla rete elettrica. Per non parlare dell’opposizione locale. In alcuni casi, ci vogliono tre anni per ottenere l’autorizzazione per un impianto solare. E quattro per un parco eolico! 

Lei cita la Cina come esempio. Questo significa che i Paesi autoritari sono più attrezzati di quelli democratici per affrontare rapidamente il cambiamento climatico? 

I Paesi con una visione e una capacità di pianificazione a lungo termine – siano essi autoritari o meno – sono in grado di affrontare meglio il cambiamento climatico. Le aziende hanno bisogno di certezza e stabilità per investire in nuove tecnologie. Inoltre, una buona pianificazione, che comprenda le necessarie modifiche normative, accelera gli investimenti nell’energia pulita. 

Quali sono i Paesi esemplari in termini di politica di sostenibilità? 

Nessun Paese è perfetto. In generale, il Regno Unito è all’avanguardia: ha degli obiettivi ambiziosi e obbliga le sue aziende a mettere in atto un piano di transizione climatica. D’altra parte, però, ha ancora molto da fare sul piano dell’isolamento degli edifici. 

La Norvegia è esemplare in termini di percentuale di veicoli elettrici, ma vende molto gas e petrolio al resto del mondo… Anche la Spagna è ben posizionata, ad esempio per quanto riguarda l’idrogeno, e gli Stati Uniti hanno fatto enormi investimenti nel clima. 

E la politica climatica svizzera? 

Dopo il rifiuto popolare della nuova legge sul CO2 a giugno del 2021, le autorità svizzere potrebbero probabilmente affidarsi maggiormente agli incentivi, come avviene negli Stati Uniti. 

La sua coalizione lavora con sette organizzazioni non profit che si occupano di clima e imprese. Come organizzazione ombrello, qual è il vostro principale valore aggiunto? 

Il nostro logo rappresenta una barca a remi. Il nostro ruolo principale è quindi quello di assicurarci che tutti remino nella stessa direzione e che tutti gli sforzi siano coordinati. In questo modo, raggiungeremo più rapidamente i nostri obiettivi. Inoltre, poiché siamo finanziati da varie fondazioni – come quella di Ikea o di Hewlett – e non direttamente dalle aziende, la nostra indipendenza e credibilità sono garantite. Ecco perché molte aziende ci seguono. 

Altri sviluppi

All’ultimo incontro annuale del WEF, il Forum economico mondiale, i successi della “First Movers Coalition”Collegamento esterno (La coalizione dei precursori e delle precorritrici) sono stati celebrati con entusiasmo. Come procede questa iniziativa? 

Innanzitutto, il WEF è una piattaforma fantastica per la nostra coalizione, in quanto ci consente un accesso privilegiato a un gran numero di personalità importanti nel campo dell’industria e della politici. Oltre al WEF, collaboriamo con circa 50 altri partner. 

Inizialmente abbiamo lanciato la “Mission Possible Partnership”Collegamento esterno – anche in collaborazione con il WEF – per dimostrare al settore privato che è possibile produrre acciaio o trasportare merci in modo neutrale dal punto di vista delle emissioni di carbonio. 

Successivamente, è stata lanciata la “Trailblazer Coalition” per incoraggiare le aziende a fare il primo passo impegnandosi ad acquistare prodotti e servizi (acciaio, trasporti, ecc.) che non generano emissioni, con l’obiettivo di dare un segnale forte al mercato. Fortunatamente, il progetto sta procedendo bene e più di 50 aziende e dieci Paesi hanno già aderito alla causa. 

Anche all’ultimo incontro annuale del WEF è stato ripetutamente sottolineato che “sostenibilità significa redditività”. Questo principio è confermato dai fatti? 

Secondo uno studio di Unily, il 65% dei e delle dipendenti preferisce lavorare per un’azienda ecologica. Inoltre, i rapporti della società di consulenza Oliver Wyman e del CDP (una ONG partner della nostra coalizione) dimostrano che le aziende sostenibili sono più redditizie. Infine, stimiamo che ogni famiglia risparmierà in media 2’000 dollari all’anno una volta che la transizione energetica sarà ben avviata.  

Nella vostra organizzazione le donne sono sovrarappresentate, anche nelle posizioni manageriali. Le donne sono più sensibili alla sostenibilità? 

Diversi studi indicano che le donne sono più colpite dalla crisi climatica rispetto agli uomini, soprattutto nei Paesi in via di sviluppo. In generale, sono le donne ad avere la responsabilità di nutrire la famiglia. In caso di crisi climatica, non è facile per loro spostarsi con le famiglie. Pertanto, le donne sono spesso più sensibili ai problemi del pianeta. Inoltre, sono generalmente più capaci di collaborare e trovare un consenso. 

“Le donne sono più colpite dalla crisi climatica rispetto agli uomini.”

Le donne sono in grado di guidare la lotta contro le sfide climatiche? 

A mio avviso, un maggior numero di donne in posizioni di leadership – nelle imprese e nei governi – avrebbe un impatto molto positivo sul nostro Pianeta. Tuttavia, credo anche nella necessità di diversità – in termini di competenze, età, genere, nazionalità – all’interno dei gruppi di lavoro, poiché ciò consente di adottare approcci innovativi per affrontare al meglio le sfide attuali. 

A cura di Samuel Jaberg 

Traduzione dal francese di Sara Ibrahim 

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