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“La riforma dell’AVS sarà fatta sulle spalle delle donne”

Vania Alleva, presidente del sindacato Unia, è in prima linea per combattere la riforma dell'AVS sulla quale dovrà pronunciarsi l'elettorato svizzero il 25 settembre. Anthony Anex

Prima di voler fare lavorare le donne più a lungo, è necessario eliminare la discriminazione salariale, afferma Vania Alleva. La presidente del sindacato Unia si oppone alla riforma dell'Assicurazione vecchiaia e superstiti su cui è chiamato ad esprimersi il popolo svizzero il 25 settembre. Intervista.

Dopo due fallimenti alle urne nel 2004 e nel 2007, una nuova riforma dell’Assicurazione vecchiaia e superstiti (AVS) sarà sottoposta all’elettorato svizzero in occasione delle votazioni federali in programma il 25 settembre. Obiettivo del progetto è di garantire l’equilibrio finanziario del primo pilastro del sistema pensionistico svizzero.

>> Per saperne di più sulla posta in gioco con la riforma AVS 21, consultate il nostro articolo:

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La misura principale contemplata nella riforma è l’aumento dell’età pensionabile delle donne da 64 a 65 anni, al pari degli uomini. Sebbene questa armonizzazione sia considerata necessaria dal Governo, dalla maggioranza del Parlamento e dai partiti di destra e di centro, ha suscitato le proteste della sinistra e dei sindacati. Un’ampia alleanza di sinistra ha raccolto 150’000 firme (100’000 in più di quelle necessarie) per sottoporre il progetto a referendum.

Le spiegazioni Collegamento esternodell’Ufficio federale delle assicurazioni sociali.

Il sito Collegamento esternodi chi sostiene la riforma.

Il sito Collegamento esternodel comitato che ha promosso il referendum.

Alla testa di Unia, il più grande sindacato svizzero, Vania Alleva afferma che la riforma è inaccettabile.

swissinfo.ch: Due tentativi di riforma dell’AVS sono già stati bocciati. La Svizzera può permettersi un altro fallimento?

Vania Alleva: L’AVS non ha problemi strutturali. È molto solida ed è nelle cifre nere. Gli ultimi risultati lo dimostrano: l’anno scorso l’AVS ha realizzato un utile di 2,6 miliardi di franchi. Non è quindi necessario accettare una riforma che va a scapito delle donne.

Tuttavia, senza una riforma l’AVS sarà in deficit a partire dal 2029, secondo le proiezioni dell’Ufficio federale delle assicurazioni sociali. Come si può continuare a finanziare le pensioni in queste condizioni?

Le previsioni delle autorità sono troppo pessimistiche. Ogni dieci anni, il Consiglio federale commette un errore di diversi miliardi di franchi nelle sue previsioni. L’AVS dovrà certamente far fronte all’arrivo nell’età della pensione della generazione dei baby-boomer. Tuttavia, se necessario, possiamo trovare altre soluzioni per risolvere questo problema transitorio. È una questione di volontà politica.

Quali soluzioni propongono la sinistra e i sindacati per affrontare questo problema?

Innanzitutto, è necessario eliminare le discriminazioni salariali esistenti. Inoltre, ci sono molti modi per rafforzare il primo pilastro, perché dobbiamo aumentare le rendite di vecchiaia, che attualmente sono troppo basse. Abbiamo proposto una soluzione molto concreta per raggiungere questo obiettivo lanciando l’iniziativa sulla Banca nazionale svizzera (BNS). Il testo prevede che i miliardi di franchi di utili realizzati dalla BNS vengano utilizzati per rafforzare l’AVS.

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È necessario aumentare l’età di pensionamento delle donne?

Di fronte all’invecchiamento della loro popolazione, la maggior parte delle economie sviluppate ha aumentato gradualmente l’età di pensionamento. Un sacrificio necessario per assicurare il futuro delle pensioni o ci sono altre strade possibilità?

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La maggior parte dei Paesi dell’OCSE ha già aumentato l’età pensionabile ed eliminato il divario di genere. La Svizzera può permettersi di non seguire la tendenza internazionale?

Bisogna tenere conto della realtà del mercato del lavoro svizzero, che non è molto aperto ai lavoratori e alle lavoratrici anziane. Le persone tra i 55 e i 64 anni sono il gruppo con il più alto tasso di disoccupazione. Un rapporto pubblicato alla fine del 2021 dalla Segreteria di Stato dell’economia ha anche mostrato che il numero di persone tra i 55 e i 64 anni costrette a lasciare completamente il mercato del lavoro a causa di disabilità, malattia o mancanza di opportunità è aumentato tra il 2010 e il 2020.

La situazione è ancora più difficile nelle professioni a prevalenza femminile, ad esempio nel settore delle cure. Un’indagine condotta da Unia prima della pandemia ha mostrato che quasi la metà degli operatori e delle operatrici sanitarie pensa di non poter lavorare fino all’età della pensione in questa professione. Questo contesto dimostra che non possiamo permetterci di aumentare l’età pensionabile. Ciò equivarrebbe ad aumentare la disoccupazione.

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Le donne più colpite da questa riforma (nate tra il 1961 e il 1969) beneficeranno di misure di compensazione, in particolare della possibilità di andare in pensione già a 62 anni con una riduzione minore della rendita. Queste misure non sono sufficienti?

Questa riforma comporta la perdita di un anno di pensione, che costerà alle donne 26’000 franchi. E questo anche se già ricevono rendite di vecchiaia inferiori di un terzo rispetto a quelle degli uomini. Queste misure compensative sono quindi del tutto inadeguate. Inoltre, dobbiamo essere consapevoli che questo smantellamento dell’AVS è solo il primo passo verso l’innalzamento dell’età pensionabile a 67 anni per tutti.

Le disuguaglianze in termini di pensioni sono dovute principalmente al secondo pilastro (previdenza professionale) e non tanto all’AVS. La sinistra non sta forse combattendo la battaglia sbagliata?

Niente affatto! È fondamentale non indebolire l’AVS, che è il pilastro più equo ed equilibrato del sistema pensionistico svizzero. Deve essere anzi rafforzato, perché una donna su tre non ha un secondo pilastro e deve accontentarsi dell’AVS per vivere. Naturalmente, è necessario trovare soluzioni per rallentare il declino dei rendimenti del secondo pilastro. Le parti sociali avevano raggiunto un compromesso per riformare il sistema di previdenza professionale, ma questo è stato completamente vanificato durante i dibattiti parlamentari. Questa sarà la nostra prossima battaglia.

Il fatto di avere un’età pensionabile differenziata è il residuo di un sistema molto patriarcale, in quanto l’argomentazione addotta dal Consiglio federale nel secolo scorso era che le donne avevano uno “svantaggio fisiologico” rispetto agli uomini. Perché questo modello antiquato andrebbe mantenuto?

Ciò che è antiquato e incostituzionale è il fatto che le donne continuano a subire una significativa discriminazione salariale. Guadagnano in media il 19% in meno degli uomini. La parità di retribuzione è sancita dalla legge, dalla Costituzione, ma continuiamo a non voler affrontare il problema. Eppure, se ponessimo fine a queste disuguaglianze, ciò che si vuole guadagnare sulle spalle delle donne con questa riforma andrebbe a finire nelle casse dell’AVS. Sarebbe più redditizio.

“Se ponessimo fine a queste disuguaglianze, ciò che si vuole guadagnare sulle spalle delle donne con questa riforma andrebbe a finire nelle casse dell’AVS”.

Molte donne sostengono però la riforma. Non è fuorviante per la sinistra e i sindacati usare questo come argomento per l’uguaglianza?

Forse le donne di destra che hanno lanciato la campagna per la riforma hanno stipendi elevati e non hanno problemi finanziari. Le avvocate o le docenti all’università potranno sicuramente far fronte a una riduzione della pensione di 26’000 franchi. Per contro, ciò avrà un impatto diretto sulle donne con redditi bassi e mezzi limitati. Inoltre, anche le pensioni delle coppie diminuiranno.

Chi sostiene la riforma ritiene che permettere alle donne di andare in pensione prima non sia una soluzione alla discriminazione di cui sono vittime. Non sarebbe meglio aumentare il loro reddito e migliorare l’assistenza all’infanzia, per esempio?

Da decenni lottiamo contro la discriminazione e per l’uguaglianza e continueremo a farlo. Non abbiamo avuto il sostegno delle donne che appoggiano questa riforma quando si è trattato di rivedere la legge sull’uguaglianza o di lottare per gli aumenti salariali nelle professioni a prevalenza femminile. Queste professioni continuano a essere scarsamente retribuite, nonostante la pandemia ne abbia evidenziato l’importanza. Tutto ciò ha implicazioni per le pensioni. Una donna su nove deve richiedere prestazioni complementari per vivere quando è in pensione. Dobbiamo iniziare a risolvere questo problema invece di chiedere loro di lavorare più a lungo per guadagnare meno.

La sinistra e i sindacati si oppongono anche alla seconda parte della riforma, ossia l’aumento dell’IVA dal 7,7 all’8,1%. Si tratta di una misura che porterebbe circa 1,4 miliardi all’anno per rafforzare l’AVS. Possiamo davvero fare a meno di questo patrimonio?

La popolazione svizzera è già alle prese con l’aumento dei prezzi e a settembre è previsto un forte incremento dei premi delle assicurazioni malattia. In questo contesto, un aumento dell’IVA sarebbe un onere troppo pesante per le famiglie. Vogliono che paghiamo di più e nello stesso tempo tagliarci le pensioni. Questo non è accettabile.

Traduzione dal francese di Daniele Mariani

Brenda Duruz McEvoy, esperta di previdenza presso il Centro padronale vodese, appoggia la riforma AVS 21. In questa intervista spiega le sue ragioni:

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