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«La libertà accademica non è in vendita»

Uno scorcio del Rolex Learning Center di Losanna, realizzato grazie al contributo di importanti sponsor privati. Keystone

Anche in Svizzera la ricerca universitaria cerca sempre nuove fonti di finanziamento. Tra queste figurano i contributi provenienti da mecenati o dall'economia privata. Ma quali sono i vantaggi concreti e i rischi per l'indipendenza accademica?

Gli esempi sono parecchi: nel 2008, la Fondazione Bertarelli e altri privati hanno annunciato il loro sostegno alla creazione di un nuovo centro dedicato allo studio delle neuroprotesi, presso il Politecnico federale di Losanna. Più recentemente, presso il medesimo ateneo è stato inaugurato il futuristico Rolex Learning Center, sponsorizzato tra l’altro da aziende quali Novartis, Credit Suisse, Nestlé, Logitech.

Non solo aziende, ma anche facoltosi privati forniscono il loro contributo. Alcuni giorni or sono, l’Università della Svizzera italiana ha presentato il suo nuovo Istituto di scienze computazionali: una realizzazione resa possibile anche grazie al contributo dell’imprenditore ticinese Sergio Mantegazza, che ha finanziato la cattedra del professor Michele Parrinello. Dal canto suo, Branco Weiss – oltre a sostenere una cattedra di storia ebraica presso l’Università di Basilea – ha donato 23 milioni al Politecnico di Zurigo per costruire parte della Science city.

La quota di finanziamento privato sul totale delle spese – comprendente le attività d’insegnamento, la ricerca e le prestazioni di servizi – degli atenei elvetici è di circa un sesto nel 2009 (un miliardo, contro i 5,5 circa versati da Confederazione e cantoni): anche se ampiamente minoritari rispetto al contributo pubblico, questi fondi sono in leggera crescita e oggetto di attenzioni sempre maggiori da parte degli atenei stessi.

Interessi diversi

Michelle Bergadaà, direttrice dell’osservatorio di vendita e strategia di marketing presso l’Università di Ginevra riassume: «Si tratta di una pratica nata in Nordamerica, dove non esiste una distinzione netta come in Europa tra ricerca intellettuale e industria». Le tipologie di sponsorizzazione accademica da parte di un’azienda – illustra la professoressa – sono di due tipi.

Se, per esempio, «un’azienda farmaceutica decide di sostenere una cattedra universitaria, essa può fornire – oltre ai fondi – anche le conoscenze in suo possesso per far evolvere la ricerca, e collaborare direttamente con gli scienziati su temi precisi. Ovviamente, i risultati ottenuti saranno utili all’impresa stessa», spiega Bergadaà.

Diverso è il concetto della cattedra sovvenzionata da Orange presso la Scuola politecnica di Parigi: «In questi casi l’azienda non influenza la ricerca, ma ne approfitta per essere al corrente degli ultimi sviluppi in ambito tecnologico. Nel contempo, i ricercatori dell’impresa hanno l’opportunità di restare aggiornati».

A queste considerazioni si aggiungono altri elementi: «Diversi dirigenti apprezzano lo scambio intellettuale con l’ambiente universitario, senza contare i vantaggi a livello d’immagine nell’associare il nome della ditta a un’istituzione accademica». Inoltre, sostenendo l’attività accademica, «le aziende aumentano la propria visibilità presso gli studenti».

Strategia chiara

Quando un benefattore decide di devolvere somme importanti alla ricerca, spesso dichiara di essere mosso da un sentimento di riconoscenza verso un particolare ateneo o una città, oppure è stato convinto dalla bontà di un progetto di ricerca. Il tornaconto personale non è necessariamente al primo posto tra le motivazioni.

«Di certo non lo faccio per ricavarne un beneficio, ma ritengo che la città di Lugano potrà approfittare dell’indotto creato da questo polo di competenze», ha affermato Sergio Mantegazza.

Ma con che spirito e con quali precauzioni gli atenei accolgono questi doni? Piero Martinoli, presidente dell’Università della Svizzera italiana, è molto chiaro: «La libertà accademica non è in vendita. Nel nostro caso, abbiamo dapprima elaborato un progetto valido concreto, e soltanto in seguito abbiamo contattato i possibili finanziatori. A mio parere, la via da percorrere è questa: ogni università deve identificare i propri settori di ricerca prioritari e lavorare seriamente. Se i risultati sono buoni si può in seguito tentare di convincere sponsor esterni ed eventuali mecenati».

La ricerca prima di tutto

«Uno dei compiti principali dell’università è quella di essere precursore delle innovazioni che poi cambiano la vita delle persone, partendo però dalla ricerca di base: basti pensare al laser, nato dalle riflessioni di Einstein sulle interazioni tra luce e materia. Per questo motivo, è fondamentale poter svolgere una ricerca libera, anche in assenza di rapide applicazioni industriali e di ritorni economici a corto termine», evidenzia il professor Martinoli.

Di conseguenza, aggiunge, «l’università non deve essere concepita come un’istituzione al servizio delle aziende, anche se sul lungo periodo la sua attività ha ricadute economiche importanti anche per loro».

Anticipare il futuro

Secondo Martinoli, è fondamentale ragionare anche in prospettiva futura: «Le nostre società sono confrontate a un problema di invecchiamento della popolazione. Pertanto, lo Stato dovrà occuparsi sempre di più di aspetti sociali legati alla salute: ciò graverà sulle finanze pubbliche, e non si sa fino a quando sarà possibile garantire una crescita dei fondi destinati alla formazione e alla ricerca».

Alla luce di questa considerazione, «è importante cercare in modo sempre maggiore di ottenere contributi da privati, per esempio coloro che hanno potuto avere carriere brillanti anche grazie a quanto appreso in ambito universitario».

Contributi che devono poi essere utilizzati senza distinzioni di sorta: «Anche se si ha forse l’impressione che sono le discipline tecniche ad avere l’impatto maggiore, in realtà le scienze umane sono a loro volta assai importanti poiché ci consentono di capire come evolvono le società. E oggigiorno l’università deve far progredire la società».

In Svizzera gli istituti d’insegnamento terziario si dividono in due gruppi: da un lato ci sono le dieci università cantonali e i due politecnici federali di Zurigo e Losanna, dall’altro le scuole universitarie professionali.

Presso le università e i Politecnici studiano circa 127’000 persone (2009/2010).

I due Politecnici federali rientrano nella sfera di competenza della Confederazione, che li finanzia quasi interamente. Le università – anche se sostenute a loro volta dalla Confederazione – sono invece pagate per la maggior parte dai cantoni in cui si trovano e, sulla base di un concordato intercantonale, dagli altri cantoni.

Tra le altre fonti di finanziamento figurano i fondi di ricerca – solitamente distribuiti su base competitiva da organizzazioni nazionali ed internazionali – e da fondi terzi.

A titolo di paragone, negli Stati Uniti i college e le università hanno raccolto oltre 6 miliardi di dollari grazie a donazioni esterne nel 2009. Inoltre, secondo alcuni studi, per ogni dollaro investito nel fund raising, se ne raccolgono sei in donazioni.

Piero Martinoli è presidente dell´Università della Svizzera italiana dal settembre del 2006. Dopo aver ottenuto un dottorato in fisica al Politecnico Federale di Zurigo, ha lavorato negli Stati Uniti presso la Iowa State University (1976-1977).

Le ricerche svolte oltreoceano gli hanno permesso di ottenere, al suo ritorno, la libera docenza al Politecnico federale di Zurigo e la cattedra di fisica sperimentale all’Università di Neuchâtel.

Piero Martinoli è stato anche ricercatore presso il al laboratorio di ricerca IBM di Zurigo e professore invitato all’Università di Ginevra.

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