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«La Chiesa ha voluto lavare i panni sporchi in famiglia»

Jacques Neirynck sui banchi della Camera bassa del Parlamento svizzero Keystone

Mentre la Conferenza episcopale svizzera fa il suo mea culpa sul modo in cui la Chiesa ha gestito le vicende di pedofilia, il deputato e scrittore Jacques Neirynck chiede che i religiosi colpevoli di tali atti vengano denunciati ed espulsi dalla Chiesa. Intervista.

Il problema dei casi di pedofilia all’interno della Chiesa cattolica ha assunto da qualche giorno una nuova dimensione. Le rivelazioni si moltiplicano e le autorità ecclesiastiche sono state obbligate a reagire, ad iniziare da Papa Benedetto XVI.

Le vicende dei preti pedofili hanno sollevato un polverone anche in Svizzera. Mercoledì, la Conferenza episcopale svizzera (CES) ha ammesso di aver «sottovalutato» la situazione, invitando le vittime a sporgere denuncia.

Per il deputato del Partito popolare democratico (partito di centro d’ispirazione cattolica) Jacques Neirynck, la Chiesa deve ora adottare misure concrete.

swissinfo.ch: Qual è la sua reazione dopo la dichiarazione della Conferenza dei vescovi svizzeri sugli abusi sessuali nel mondo ecclesiastico?

Jacques Neirynck: La reazione si è focalizzata un po’ troppo sul perdono e lo sconforto. Avrei preferito maggiore chiarezza da parte della CES e l’annuncio di misure più concrete.

I colpevoli devono essere espulsi dal clero e i vescovi devono avere l’obbligo di denunciare i casi alla giustizia. Nella dichiarazione non c’è invece alcun riferimento a queste due misure.

swissinfo.ch: La Chiesa si trova al centro di una bufera: bisognerebbe aspettare che lo scandalo si plachi oppure siamo di fronte ad una situazione estremamente grave?

J.N.: Non si placherà. Già qualche anno fa, negli Stati Uniti sono venuti alla luce centinaia di casi e ora l’epidemia si è diffusa in tutto il mondo. È un problema generale.

Adesso dobbiamo capire dove si situa il problema. Non si tratta di sapere se ci sono preti pedofili: ce ne sono, come esistono pedofili tra gli insegnanti, i medici o gli allenatori sportivi. Il vero scandalo è l’occultamento di questi casi da parte dei vescovi.

swissinfo.ch: Queste denunce non sono nuove. Non è stato intrapreso nulla per evitare che tali casi si ripetessero?

J.N.: La Domenica delle Palme, Benedetto XVI ha pubblicato una lettera in cui parla del suo dispiacere e chiede perdono. Ma non è ciò che la gente si aspetta: il popolo vuole dei fatti, delle azioni e in particolare vuole che la Chiesa definisca una sua politica interna per evitare il ripetersi degli atti di pedofilia.

Una tale politica dovrebbe, secondo me, articolarsi in tre parti. In primo luogo, tutti i casi devono essere comunicati alla giustizia. Una volta provata la colpevolezza, la seconda tappa dovrebbe prevedere l’esclusione della persona dal clero. La terza procedura deve infine evitare che un vescovo possa dissimulare i fatti alla giustizia. Altrimenti, quest’ultimo deve dare le dimissioni.

swissinfo.ch: La trasparenza non è mai stata il punto forte della Chiesa…

J.N.: No, siccome è un’eredità dell’epoca in cui c’era una giustizia civile e una ecclesiastica. Ma ciò appartiene al passato. La giustizia ecclesiastica non ha modo di costringere un testimone a testimoniare.

Se la Chiesa ha tentato di lavare i panni in famiglia, è perché ha voluto nascondere altre cose, non solo i casi di pedofilia. È per celare un’attitudine generalizzata della Chiesa cattolica nei confronti della sessualità e delle donne. È questa l’origine del problema.

swissinfo.ch: La questione del celibato è in questo caso importante?

J.N.: Non esiste una relazione comprovata tra celibato ecclesiastico e pedofilia. Non ci sono statistiche. Si constata però che ci sono apparentemente molti meno casi tra i rabbini, i pastori e gli imam.

Sappiamo inoltre che la stragrande maggioranza degli atti di pedofilia avviene all’interno delle famiglie. Quindi non c’è alcuna relazione, o perlomeno non è stata dimostrata. A forza di leggere articoli sul tema, l’opinione stabilisce un rapporto univoco: tutti i preti sono pedofili e tutti i pedofili sono preti. Ma queste due affermazioni sono assolutamente false.

swissinfo.ch: Le critiche non hanno risparmiato nemmeno il Papa. Lei cosa ne pensa?

J.N.: C’è stata un’accusa estremamente grave concernente il periodo in cui era arcivescovo di Monaco. Sembra che nella sua diocesi ci siano stati casi molto gravi. Casi di cui Benedetto non ha mai riferito alla giustizia. Un errore estremamente grave.

Ci sono poi dei rimproveri più generali. In quanto prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, riceveva denunce da tutto il mondo. Avrebbe potuto agire a quel momento, ma a quanto pare non l’ha fatto. In ogni caso, non ha raccomandato ai vescovi di denunciare sistematicamente i colpevoli e di espellere i preti pedofili.

swissinfo.ch: In Svizzera, i vescovi sembrano più propensi a denunciare i casi di pedofilia. C’è qualcosa di particolare nella Chiesa svizzera?

J.N.: La Chiesa svizzera non ha nulla di particolare ed è organizzata come tutte le altre. Non esiste tuttavia il titolo di “primate”: i vescovi assumono la presidenza a rotazione. Si tratta quindi di una Chiesa profondamente impregnata della democrazia che caratterizza la politica e la vita di tutti i giorni.

swissinfo.ch: Tra i vescovi svizzeri vi sono divergenze sulla questione di una lista nera per i preti pedofili. Secondo Lei è utile disporre di tale registro?

J.N.: L’idea di una lista è difesa dall’abate di Einsiedeln, il quale ha confessato che sette dei suoi monaci hanno commesso atti di pedofilia. Non ha precisato se sono stati espulsi. Se vogliamo seguire la pratica di non allontanare le persone che hanno commesso errori così gravi, allora è necessario avere una lista per evitare che queste persone abbiano funzioni che prevedono contatti con bambini.

Al contrario, il presidente del Consiglio dei vescovi svizzeri ritiene che tale misura non serva a nulla. Credo però che condivida, così come la maggior parte dei vescovi elvetici, l’idea che tutti i pedofili debbano essere espulsi automaticamente. In questo caso, non serve a nulla fare una lista di persone che non sono più preti.

Claudinê Gonçalves, swissinfo.ch
(traduzione e adattamento di Luigi Jorio)

Jacques Neirynck nasce il 17 agosto 1931 a Uccle, in Belgio.

Segue degli studi in ingegneria elettronica all’Università cattolica di Louvain, dove ottiene un dottorato in scienze applicate nel 1958.

All’inizio degli anni ’60 insegna elettronica all’Università Lovanium di Kinshasa, nell’ex Zaire.

Nel 1972 ottiene una cattedra al Politecnico federale di Losanna (Circuiti e Sistemi), di cui è oggi professore emerito.

A lungo attivo nel settore della protezione dei consumatori, è entrato in politica nei ranghi del Partito popolare democratico (centro).

È stato deputato federale dal 1999 al 2003 (Camera del popolo); dopo una pausa di quattro anni, è ritornato sotto la cupola di Palazzo federale nel 2007.

Neirynck è pure noto per il suo talento letterario. Oltre a un trattato sull’elettricità in 22 volumi, ha scritto libri di economia, romanzi gialli e storici.

La controversa creazione di un registro dei preti pedofili verrà approfondita dalla Conferenza episcopale svizzera (CES), in vista della sua prossima assemblea ordinaria, prevista in giugno.

In una dichiarazione pubblicata mercoledì, i vescovi auspicano una miglior collaborazione tra Diocesi e Ordini religiosi, anche a livello internazionale.

La conferenza episcopale intende inoltre puntare sulla prevenzione e sulle denunce spontanee: incoraggia quindi coloro che hanno subito abusi a farsi avanti presso i centri diocesani e di consultazione per le vittime.

Per quanto riguarda le denunce automatiche da parte della Chiesa, esse continueranno momentaneamente a scattare soltanto quale “ultima ratio”, ossia nei casi gravi e di recidiva.

Sul numero complessivo di abusi venuti alla luce in Svizzera, la CES non ha fornito precisazioni, limitandosi a ripetere (senza confermare) quanto scritto da un giornale, secondo cui i casi ripartiti su più anni sono una sessantina.

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