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«Il fascino della Svizzera è nelle sue contraddizioni»

I due protagonisti del film di Ursula Meier, il 12 enne Simon (Kacey Mottet Klein) e la sorella Louise (Léa Seydoux). diaphana.fr / Roger Arpajou

Con il suo ultimo lungometraggio, "L'enfant d'en haut", la regista franco-svizzera Ursula Meier ha ricevuto l'Orso d'argento alla Berlinale 2012. Un film fuori dagli schemi, politico a modo suo, che mostra una Svizzera tra emarginazione e ricchezza. Intervista.

“L’enfant d’en haut” racconta la storia di un ragazzino di 12 anni, Simon, che vive rubando materiale da sci nelle stazioni turistiche del Vallese. Il bottino, rivenduto al miglior offerente, gli permette di sopravvivere e di dare una mano alla sorella maggiore Louise, rimasta senza lavoro.

Questo ritratto sorprendente di una Svizzera a due velocità è valso a Ursula Meier l’Orso d’Argento all’ultima edizione del Festival del film di Berlino, con una menzione speciale della giuria. Erano tredici anni che una pellicola elvetica non veniva selezionata per la competizione internazionale. La regista franco-svizzera si racconta.

swissinfo.ch: Era dal 1981 quando “La barca è piena” di Markus Imhoof era stato nominato agli Oscar, che la Svizzera non otteneva un riconoscimento così importante nei festival internazionali. Questo Orso d’Argento potrà dare nuova visibilità al cinema svizzero?

Ursula Meier: Questo premio farà sicuramente crescere l’interesse dei grandi festival nei confronti dei giovani registi svizzeri. Per quel che mi riguarda, la presentazione a Cannes del mio precedente lungometraggio “Home” ha dato un impulso importante al mio lavoro.

Non saprei dire se anche i miei colleghi potranno beneficiare di questo Orso d’Argento. Ma posso garantire che il lavoro di giovani cineasti svizzeri come Lionel Baier, Frédéric Mermoud o Stéphane Bron sta suscitando molto entusiasmo. Lo dimostra la loro presenza – così come la mia – a IndieLisboa 12, un festival internazionale indipendente che si terrà in Portogallo ad aprile. Ci sarà un’intera sezione, A Band Apart, consacrata al cinema svizzero emergente.

swissinfo.ch:  Questa iniziativa fa pensare all’unione dei grandi registi svizzeri negli  sessanta. da Alain Tanner a Claude Goretta e Michel Soutter. Si sente vicina al loro lavoro?

U. M.: Fino a qualche anno fa c’era una specie di rifiuto nei confronti di questi maestri. Bisognava prendere le distanze dal loro lavoro. Io ho sempre provato una grande ammirazione per registi come Jean-Luc Godard e Daniel Schmid. Non credo che per differenziarsi sia necessario negare l’influenza che un Tanner o un Goretta hanno avuto sulla mia generazione.

Non voglio vantarmi, ma credo che “L’enfant d’en haut” sia a metà strada tra il celebre film di Alain Tanner “La Salamandra” e il capolavoro di Fredi Murer “Il falò”. In entrambi i casi, si tratta di personaggi che vivono al margine della società. Persone abbandonate a loro stesse.

swissinfo.ch:  Alla Berlinale ha descritto “L’enfant d’en haut” come un film politico. Che accezione dà a questo termine?

U. M.: Il mio film mette in evidenza una scenografia, non nel senso estetico del termine, ma in quello topografico. La Svizzera viene presentata in questo va e vieni tra la pianura industriale dove vivono, senza un soldo, Simon e sua sorella, e le stazioni di sci dove la ricchezza fa bella mostra di sé. L’immagine da cartolina utilizzata sui calendari per illustrare la Svizzera non mi interessa. Per me, la bellezza di questo paese sta nelle sue contraddizioni: l’alto e il basso. Il va e vieni tra questi due mondi regala al film una natura politica.

A mio parere, questa colorazione politica è molto più espressiva dei pascoli celebrati nei cosiddetti “Heimat film”. Attualmente questi film legati al territorio hanno un grande successo nella Svizzera tedesca e d’altronde erano sovrarappresentati alle ultime Giornate del cinema di Soletta.

swissinfo.ch: Il suo primo lungometraggio “Home” poteva essere visto come la metafora di una Svizzera isolata al centro dell’Europa. Mentre “L’enfant d’en haut” si svolge in uno dei luoghi più belli al mondo, ma molte scene sono state girate nei bagni pubblici. È ossessionata dall’idea di sfatare il mito di una Svizzera idilliaca? 

U. M.: No, per niente. Direi piuttosto che ho un legame bizzarro con la Svizzera. Sono cresciuta a Ferney-Voltaire, alla frontiera franco-ginevrina. Ginevra è sempre stata la mia città, senza esserlo mai stata davvero. Mio padre è svizzero-tedesco. Sono cresciuta a pane e cinema svizzero. Oggi vivo a Bruxelles. Forse si tratta di una fuga. Torno spesso in Svizzera, ma ho comunque bisogno di una certa distanza per scrivere i miei film.

Forse è proprio questa distanza che mi fa vedere la Svizzera diversamente da un mucchio di cime che avvicinano l’uomo a Dio. Ho cercato di mostrare la montagna come un luogo turistico un po’ selvaggio, un crocevia di stranieri che cambiano il nostro rapporto alla lingua e al mondo. È precisamente questa relazione che viene raccontata nel film “L’enfant d’en haut”.

swissinfo.ch: Il suo prossimo film di cosa parlerà?

U. M.: Ho già dei progetti in mente, ma preferisco non parlarne. Devono ancora maturare. Nell’attesa approfitto della vita e mi lascio prendere da questi attimi di felicità che un riconoscimento di questo tipo può regalare.

Nata a Besançon (Francia) nel 1971, Ursula Meier è figlia di madre francese e padre svizzero.

È cresciuta tra Ginevra e la città francese di Gex.

Formatasi all’Istituto d’arte di Bruxelles, dove vive attualmente, ha lavorato inizialmente come attrice, assistente di regia e stagista nella produzione di diversi lungometraggi.

Dopo aver realizzato diversi corti e documentari, nel 2009 ha vinto l’Oscar svizzero con “Home”. Il suo primo lungometraggio è stato presentato in diversi festival, tra cui quello di Cannes.

Nel 2012 il film “L’enfant d’en haut” (“Sister”, nella sua versione internazionale) ha ricevuto l’Orso d’argento alla Berlinale.

“Giochi d’estate” di Rolando Colla è stato designato a sorpresa film svizzero dell’anno 2012.

Il regista italo-svizzero – nato nel 1957 a Sciaffusa da immigrati italiani – è stato pure premiato per la migliore sceneggiatura e la migliore fotografia.

Miglior documentario: “Vol spécial” di Fernand Melgar

Migliore interprete femminile:Carla Juri (“Eine wen iig, dr Dällebach Kari”)

Migliore interprete maschile:Max Hubacher (“Der Verdingbub”)

Premio d’onore: regista Rolf Lyssy

(Traduzione dal francese, Stefania Summermatter)

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