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«Il 2006 deve essere l’anno della ricostruzione»

A Banda Aceh, l'aiuto umanitario è affluito in modo massiccio Keystone

Un anno dopo lo tsunami che ha devastato le coste dell'Oceano indiano, la riabilitazione delle zone sinistrate è lungi dall'essere terminata.

Autore di una vasta inchiesta condotta durante tutto il 2005, il giornalista ginevrino Richard Werly evidenzia le «debolezze del bazar umanitario» che ha fatto seguito alla catastrofe.

Ex corrispondente dall’Asia e attuale responsabile della rubrica internazionale del quotidiano romando «Le Temps», Richard Werly si è recato a più riprese nelle zone devastate dallo tsunami del 26 dicembre 2004.

Il giornalista ne ha tratto un libro-inchiesta intitolato «Tsunami, la verità umanitaria», nel quale stila un quadro contrastato dell’azione delle ONG (organizzazioni non governative) e degli Stati, sommersi da una pioggia di donazioni (9 miliardi di franchi svizzeri).

swissinfo: La ministra degli affari esteri Micheline Calmy-Rey ha recentemente stilato un bilancio positivo dell’azione della Svizzera. Condivide questa valutazione?

Richard Werly: L’aiuto svizzero, ONG e governo, non ha evitato alcuni errori commessi ugualmente dagli altri operatori internazionali.

Quattro mesi fa, ho ad esempio visitato un villaggio ricostruito da Caritas Svizzera in Indonesia. Ricostruito troppo velocemente nel posto sbagliato, il villaggio era sommerso al momento della mia visita.

L’aiuto svizzero ha comunque saputo muoversi in fretta in direzioni audaci e innovative. Meglio di molti altri, ha dato vita a progetti integrati al servizio della collettività, mettendo mezzi a disposizione degli operatori locali.

Un’altra via innovativa seguita dalla Svizzera è stata la rapida distribuzione di denaro alle famiglie che hanno accolto le vittime dello tsunami nella provincia di Aceh.

La Direzione dello sviluppo e della cooperazione è stata la prima agenzia a mettere in atto questo programma, di cui hanno beneficiato 9’000 famiglie.

Questo aiuto diretto è stato trascurato dagli altri operatori, i quali hanno preferito focalizzarsi sulla ricostruzione. Un intervento questo, che necessita di parecchio tempo per essere portato a termine.

Nell’insieme, direi che nel campo dell’aiuto umanitario la Svizzera può vantare un certa competenza. Per questa ragione, l’aiuto svizzero ha saputo valutare in modo rapido i bisogni reali della popolazione colpita dalla catastrofe.

swissinfo: Quali sono state le principali lacune dell’aiuto internazionale?

R. W.: Molti operatori umanitari si sono mobilitati pensando che l’emergenza medica, alimentare e sanitaria si sarebbe prolungata per parecchi mesi.

Si è però trattato di una cattiva diagnosi: persino nelle zone più sinistrate a Aceh o in Sri Lanka, dopo un mese ci si è accorti che le infrastrutture mediche erano state ristabilite dai governi locali. Inoltre, lo tsunami ha causato la morte di numerose persone, ma il numero di feriti è stato relativamente basso e le epidemie annunciate non si sono verificate.

Infine, le numerose persone che sono state allontanate dalle loro abitazioni non hanno dovuto rifugiarsi a decine di chilometri dal loro villaggio.

Ci si è così resi conto che il disastro rappresentava innanzitutto una sfida in termini di ricostruzione, più che di emergenza medica.

swissinfo: Quale è stato il problema più grande della crisi: la competizione tra i vari operatori umanitari o l’incapacità di valutare i reali problemi?

R. W.: Entrambi. All’inizio c’è stata una grande confusione umanitaria con l’arrivo dei soccorsi da ogni angolo del globo. Una situazione che d’altronde si ripete dopo ogni grande crisi di questo genere.

Il problema del maremoto è che questo scompiglio è perdurato. Solitamente, dopo qualche settimana, un certo numero di ONG abbandona il terreno una volta terminato l’intervento di emergenza. Qui invece sono rimaste, visto le immense somme di denaro che hanno ricevuto sin dall’inizio. E questo nonostante le azioni ancora da svolgere non rientravano nelle loro competenze.

Una cosa è certa: una anno dopo lo tsunami, la ricostruzione è lungi dall’essere terminata. E questo anche a causa del protrarsi dell’intasamento umanitario. Oltre a ciò, gli operatori internazionali non hanno creduto nelle capacità delle organizzazioni locali.

Speriamo quindi che il 2006 sarà l’anno della ricostruzione.

swissinfo, intervista di Frédéric Burnand, Ginevra
(traduzione: Luigi Jorio)

«Tsunami, la verità umanitaria» di Richard Werly (Ed. du Jubilé) è stato pubblicato nel 2005.

Il 26 dicembre 2004, un terremoto al largo dell’isola di Sumatra (magnitudo 9 sulla scala Richter) ha provocato uno tsunami.

L’onda anomala ha colpito principalmente l’Indonesia, lo Sri Lanka, l’India, la Thailandia, ma non ha risparmiato la Somalia, la Tanzania e il Kenya.

I morti e i dispersi sono stati circa 230’000.

A sostegno delle vittime sono giunti, da tutto il mondo, aiuti per quasi 9 miliardi di franchi.

Le donazioni del popolo svizzero sono ammontate a 226 milioni di franchi, mentre il governo elvetico ha offerto 35 milioni di franchi.

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