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“Godard è un continente, Tanner è un Paese”

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Godard, un'icona? "Meglio, una rockstar". Roland Allard/agence Vu

Scomparsi con un intervallo di due giorni l'uno dall'altro, Jean-Luc Godard e Alain Tanner lasciano un grande vuoto nel mondo del cinema svizzero. Entrambi hanno segnato profondamente la loro epoca. Godard era una figura imprescindibile della Nouvelle Vague in Francia e Tanner un artigiano del nuovo cinema elvetico. La loro statura internazionale – gigantesca nel caso di Godard – ha ampliato le frontiere elvetiche. Omaggio.

Sembrerebbe che uno abbia chiamato l’altro in paradiso. Alain Tanner ha lasciato questo mondo domenica 11 settembre seguito da Jean-Luc Godard il martedì successivo. Si direbbe che il primo cominciasse già ad annoiarsi lassù. Che staranno facendo ora? Mi piace pensare che stiano preparando delle sceneggiature per sorprendere Dio e i suoi angeli. Sì, sorprendere! Perché l’inatteso caratterizzava i due artisti, unici ciascuno a suo modo.

Tanner, nato a Ginevra nel 1929, è stato l’iniziatore del “Groupe 5”, un’associazione creata nel 1968 con i suoi amici cineasti della Svizzera francese: Jean-Louis Roy, Claude Goretta, Michel Soutter e Jean-Jacques Lagrange. I “5” sono all’origine di quello che chiamiamo ancora oggi il “nuovo cinema svizzero” che si è fatto conoscere al di là dei confini della Confederazione.

Jean-Luc Godard (JLG), nato a Parigi nel 1930, è una figura imprescindibile della Nouvelle Vague, grande movimento artistico del cinema francese che, all’inizio degli anni Sessanta, ha tradotto le turbolenze di un’epoca e ha scosso il mondo intero.   

Un aspetto in comune

“Un aspetto accomuna i due cineasti: l’humor. Intelligenza leggera per Tanner, poesia critica per Godard. Le nostre società sono colpite da troppa serietà, purtroppo. La voce di Tanner è una boccata d’aria, intessuta di scherno; una voce che ritrovo anche in Godard”, dice Frédéric Bas, cineasta francese, storico e critico cinematografico. I due non hanno però la stessa fama internazionale. “Godard è un continente, Tanner è un Paese”, afferma il nostro interlocutore che vede nella scomparsa quasi simultanea dei due artisti “una folle ironia”.

Proprio l’ironia era uno strumento che entrambi maneggiavano con molta destrezza. Lo testimoniano Fino all’ultimo respiro (À bout de souffle) , Il disprezzo (Le Mépris), Il bandito delle 11 (Pierrot le fou), Je vous salue Marie… da parte di Godard. Charles mort ou vif, Jonas che avrà vent’anni nel 2000 (Jonas qui aura 25 ans en l’an 2000) , La salamandra (La salamandre)… da parte di Tanner. Film sicuramente seri, ma mai pesanti.

La cinepresa non è un fucile

“Tanner non ha mai considerato la cinepresa come un fucile”, dice Bas. “È il solo cineasta francofono ad aver catturato lo spirito del maggio ’68 con leggerezza. Rapidamente ha compreso la vanità delle ideologie. Ho spesso parlato con lui di Charles mort ou vif [film-manifesto del 1969]; mi diceva che si potevano descrivere con scherno le utopie, anche senza rinnegarle”.

Tanner Locarno
Alain Tanner con il Pardo d’onore alla 63esima edizione del Locarno Film Festival, nell’agosto del 2010. Jean-Christophe Bott/Keystone

Rimasto in Svizzera, Tanner non ha avuto la carriera folgorante di JLG, il quale ha vissuto per molto tempo a Parigi prima di stabilirsi a Rolle, nel Cantone Vaud, circa 40 anni fa. Il soggiorno francese, la partecipazione alla Nouvelle Vague e il lavoro accanito hanno dato uno slancio formidabile alla sua fama. “Per decenni, Godard si è sempre rinnovato. Ha addirittura trasceso lo statuto di cineasta della Nuovelle Vague. Fintanto che ne ha avuto l’energia, ha lavorato”, osserva Bas.

Una rockstar

Godard, un’icona? “Meglio, una rockstar”, mi corregge Bas. Il cineasta si recava volentieri nelle università negli Stati Uniti, dove era molto conosciuto e affascinava la gioventù. Ha lasciato un profondo segno nel cinema europeo e americano, per esempio quello di Quentin Tarantino, il quale ha dato alla sua casa di produzione il nome di una pellicola di Godard: Band à part.

Alla fine della sua vita, JLG incontrava la gente a casa sua a Rolle. “Dei giornalisti e delle giornaliste lo andavano a trovare, un po’ come si andava a trovare Voltaire a Ferney [piccola città in Francia, non lontano da Ginevra]”, dice sorridendo Bas.

Tenero e severo, divertente e malinconico, affabile e solitario, fantasioso e razionale, insolito e coerente; Godard aveva tutte le contraddizioni dei grandi personaggi della letteratura. Poteva attirare come riusciva ad allontanare. C’era in lui qualcosa di Alceste, il “misantropo” che Molière ha immortalato nella sua opera omonima. Godard aveva il senso dello spettacolo. Si divertiva a interpretare dei ruoli.

Godard con sigaro
“L’artigiano-filosofo geniale” in posa con il suo immancabile sigaro. Keystone/Richard Dumas/Vu

Artigiano-filosofo geniale

“La sua morte è la fine di un mondo, come è stato con la morte di Picasso. Per il cinema era un artigiano-filosofo geniale”, sostiene Bas. In teatro sarebbe stato un eroe tragicomico straordinario. Una contraddizione in più! Su questo terreno scivoloso, Godard restava però in perfetto equilibrio. Tuttavia, disorientava il grande pubblico che non ha mai compreso i suoi film, i quali però appassionano ancora gli amanti e le amanti del cinema, in cui suscita reazioni infuocate.

Traduzione: Zeno Zoccatelli


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