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«Essere rom significa essere nomade e ladro»

Nel 2007 la polizia ginevrina ha proceduto all'evacuazione di alcune decine di rom Keystone

Cifre ufficiali non ve ne sono, ma in Svizzera i rom sarebbero tra 50'000 e 60'000, stando alla fondazione Rroma. La maggior parte di loro è ben integrata. I cliché hanno però vita dura.

L’immagine dei rom in Svizzera non è sicuramente migliore di quella che regna in Francia, spiega Cristina Kruck, della fondazione Rroma di Zurigo.

«Per uno svizzero, essere rom significa essere un nomade e un ladro», sottolinea la donna, estone di origine ma cresciuta in Svizzera.

I cliché nascondono però una realtà ben diversa: la maggior parte dei Rom che vive in Svizzera è ben integrata e non viaggia affatto, afferma Cristina Kruck.

In Europa, questa comunità è costituita da circa 12 milioni di persone. Da quando la Francia nelle scorse settimane ha espulso 1’000 di loro verso la Romania e la Bulgaria, i rom si sono ritrovati ancora una volta al centro dei dibattiti.

Le Nazioni Unite e parte della comunità internazionale non hanno risparmiato le critiche al presidente francese Nicolas Sarkozy e al suo governo.

Lo storico zurighese Thomas Huonker, specialista delle comunità nomadi, spiega che tra tutti questi gruppi i rom giunti di recente in Francia sono i più poveri.

Provengono da paesi come la Slovacchia, l’Ungheria, la Romania e la Bulgaria e preferiscono vivere nelle periferie di Parigi, Milano o Roma piuttosto che nei ghetti delle città dell’est.

Attenzione alle derive razziste

«Vivono in situazioni di estrema povertà e sono bersaglio della violenza di parte della popolazione, violenza attizzata dai discorsi delle organizzazioni razziste, antisemite e antizingari», sostiene Huonker.

Le stesse accuse che molti gruppi dell’Europarlamento hanno mosso alla Francia. Il leader del gruppo liberale, il belga Guy Verhofstadt, ha messo in guardia contro «le insidie populiste o addirittura razziste», mentre il suo omologo socialista, il tedesco Martin Schultz, ha definito il modo d’agire francese «una caccia alle streghe».

La comunità Rom difficilmente troverà rifugio nella Confederazione. «La politica svizzera nei confronti di queste comunità europee povere è molto simile a quella francese, anche se più discreta», osserva Huonker.

«La Svizzera espelle i mendicanti, i venditori di rose e i musicisti di strada. L’esempio più conosciuto è quello di Ginevra nel 2007, quando la polizia evacuò diverse decine di rom».

Nessun incremento dei rom

«Finora non abbiamo costatato un aumento del numero di rom che entrano in Svizzera e non siamo a conoscenza di problemi in questo senso», afferma dal canto suo Marie Avet, dell’Ufficio federale delle migrazioni.

Del resto una forte progressione è più che improbabile, poiché per i cittadini con il passaporto rumeno e bulgaro «esiste ancora il sistema del contingentamento per entrare in Svizzera e quindi il numero delle persone che possono cercare lavoro è limitato. Questi contingenti – precisa Marie Avet – sono applicati a tutti i cittadini di questi due paesi, indipendentemente dalla loro origine etnica».

L’unica possibilità per entrare in Svizzera è come turista, ma in questo caso non è possibile lavorare e dopo tre mesi bisogna lasciare il paese.

La maggior parte ben integrati

L’emigrazione rom in Svizzera non appartiene solo alla storia recente. Una prima ondata arrivò dopo la Seconda guerra mondiale. Oggi la maggior parte di questi rom sono ben integrati, parlano una o più lingue nazionali e hanno un lavoro.

Il secondo movimento migratorio risale agli anni ’90, con lo scoppio delle guerre in Bosnia e in Kosovo. Oggi solo 20’000 rom vivono in Kosovo, mentre prima del conflitto erano circa 300’000, secondo la fondazione Rroma.

La comunità rom che vive in Svizzera è estremamente eterogenea, precisa Cristina Kruck. Alcuni rom sono dottori o possiedono dei ristoranti e sono così ben integrati che nessuno li nota. La maggior parte di loro ha un passaporto svizzero e sono in pochi quelli che ancora viaggiano.

Vi sono poi i rom rifugiati del Kosovo, quelli che varcano la frontiera con la Francia accusati dagli Jenisch di invadere il loro territorio e i rom rumeni, «che vengono a Ginevra per uno o due giorni per mendicare e poi ripartono».

«Quelli ‘visibili’ sono i più poveri, mentre gli ‘invisibili’ sono quelli ben integrati, che però preferiscono non dire chi sono».

Le comunità romanès (dal nome della lingua romanì) sono composte da diversi gruppi etnici: rom, sinti, kalé… spesso accomunati sotto lo stesso termine di ‘zingari’.

L’ipotesi più accreditata è che queste popolazioni siano originarie del nord dell’India e che iniziarono a emigrare verso occidente attorno all’anno Mille, in seguito a dei conflitti che scossero la regione.

La storia degli zingari è costellata da un’infinita serie di drammi. Nel Basso Medioevo furono varati tutta una serie di decreti contro tutte le categorie di erranti, con pene come, nel migliore dei casi, l’allontanamento immediato oppure la fustigazione pubblica, il marchio a fuoco, la galera o la morte.

Nei Balcani le comunità romanès furono spesso ridotte in schiavitù. La loro particolare abilità a lavorare i metalli, faceva di loro una manodopera molto ambita dai principi e dai signori. In Romania, tale schiavitù fu abolita completamente solo nel 1856.

A partire dal XVIII secolo, si tentò di trasformare i membri delle comunità romanès in cittadini come tutti gli altri, con interventi volti a sedentarizzarli e a distruggere la loro cultura.

Le persecuzioni nei loro confronti raggiunsero l’apice durante il Terzo Reich, che creò anche un Ufficio centrale per la lotta alla piaga zingara. Considerati geneticamente ladri, truffatori e nomadi, i rom furono sterilizzati, utilizzati per esperimenti medici e sterminati nei campi di concentramento nazisti. Il genocidio degli zingari è conosciuto con il nome Porajmos («devastazione», «grande divoramento» in lingua romanì).

Non si sa esattamente quanti zingari morirono ad opera dei nazisti. Le stime variano da 220’000 a 1,5 milioni di vittime. Al momento della liberazione di Auschwitz, il 17 gennaio 1945, risultano sopravvissuti solo quattro uomini rom.

Anche in Svizzera la storia dei nomadi è spesso stata tragica. Nel 1926, l’organizzazione per la protezione della gioventù Pro Juventute diede il via all’opera d’assistenza «Bambini della strada». Fino al 1973 oltre 600 bimbi jenisch furono tolti ai loro genitori e dati in affidamento ad altre famiglie o piazzati in istituti.

(Traduzione ed adattamento di Daniele Mariani)

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