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“C’è vita altrove nell’universo”

Una bocca vulcanica sottomarina
Per cercare la vita su altri pianeti, gli scienziati devono capire meglio come si è sviluppata sulla Terra. Si pensa che alcuni organismi trovati in bocche vulcaniche sottomarine possano essere rappresentativi delle prime forme di vita. Imagebroker / Alamy Stock Photo

Il premio Nobel per la fisica svizzero Didier Queloz e l'astrofisico svizzero e tedesco Sascha Quanz studieranno le origini della vita in un nuovo istituto di ricerca a Zurigo. Cosa si aspettano di scoprire?

È in programma per il prossimo anno l’apertura del ‘Centre for the origin and prevalence of life’ (istituto di ricerca sull’origine e la prevalenza della vita) al Politecnico federale (ETH) di Zurigo. SWI swissinfo.ch ha incontrato le due menti del progetto.

Ritratto a mezzobusto di Didier Queloz
Didier Queloz. swissinfo.ch

SWI swissinfo.ch: Didier Queloz, lei è stato insignito del Nobel per aver scoperto il primo esopianeta. Che possibilità ci sono che la vita esista anche lontano dalla Terra, magari su un pianeta extrasolare o su Marte?

Didier Queloz: Sono assolutamente convinto che ci sia vita altrove nell’universo, per la semplice ragione che ci sono troppe stelle e troppi pianeti. Che la vita sia qualcosa di unico, esistente solo sulla Terra, è troppo eccezionale per essere possibile.

SWI: Come scienziato, quale definizione darebbe della vita?

D.Q.: (ride) Quando si parla dell’origine della vita, questa è la domanda più ovvia da cui partire. Ci sono due modi di affrontare la questione. In primo luogo, conosciamo la vita com’è sulla Terra e possiamo prenderla come riferimento. E questo è legittimo perché la chimica che abbiamo qui potrebbe essersi sviluppata anche su altri pianeti. Quindi il primo modo è cercare qualcosa sulla base di quel che abbiamo appreso dalla Terra.

Nato nel 1966, l’astronomo svizzero scoprì il primo esopianeta (51 Pegasi b) insieme al relatore della sua tesi di dottorato Michel Mayor nel 1995. Un esopianeta è un pianeta che ruota attorno a una stella diversa dal Sole.

Secondo gli esperti, fu una delle più importanti scoperte del XX secolo in astronomia. Ha aperto nuovi ambiti di ricerca volti a capire che posto abbiamo nell’universo e fatto crescere enormemente le possibilità di trovare la vita extraterrestre.

Nell’ottobre 2019, per la loro scoperta, i due svizzeri sono stati insigniti del Premio Nobel per la fisica.

Queloz, già professore di astronomia alle Università di Ginevra e Cambridge, si è ora trasferito a Zurigo per impostare il nuovo centro di ricerca all’ETH, di cui assumerà la direzione.

Poi c’è l’ignoto: come puoi identificare la vita senza sapere cos’è? La risposta più sensata è che sia parte del sistema planetario, ovvero che a un certo punto giochi un ruolo nella storia di un pianeta così come ce l’ha sulla Terra, dove l’ossigeno non è che il risultato della vita.

Ci si aspetta insomma che la chimica di un corpo celeste sia in qualche modo condizionata dalla vita. La sfida sarà identificare questa presenza. Si potrebbe scoprire che esiste una caratteristica che non riusciamo a spiegare e decidere di chiamarla “altra vita”.

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SWI: Quali sono le condizioni necessarie affinché affiori la vita?

Sascha Quanz: Non conosciamo davvero la risposta. Sappiamo come la vita funziona sulla Terra e cominciamo a comprendere le condizioni che le hanno consentito di apparire qui. Ma la domanda è: si possono immaginare condizioni iniziali diverse? È uno dei quesiti che affronteremo nel nuovo centro.

Nato nel 1979 in Germania, di doppia nazionalità svizzera e tedesca, l’astrofisico ha conseguito il suo dottorato di ricerca all’Istituto Max Planck di Astronomia ad Heidelberg, nel Baden-Württemberg.

È approdato all’ETH di Zurigo nel 2009. Nel 2019, è stato nominato professore associato all’Istituto di fisica della particelle e astrofisica, dove tiene corsi sugli esopianeti e l’abitabilità planetaria.

Il suo gruppo di ricerca è coinvolto nello sviluppo di strumenti per i più grandi osservatori terrestri e spaziali, destinati allo studio delle proprietà fisiche e chimiche dei pianeti extrasolari e del loro processo di formazione.

SWI: Dite che abbiamo bisogno di sapere di più sull’origine della vita sulla Terra. Non è possibile ricrearla in una capsula da laboratorio?

D.Q.: Tecnicamente, si potrebbe fare quel che noi chiamiamo “ingegneria inversa” dell’origine della vita. Si può tentare di risalire all’inizio, come quando smonti un’automobile per imparare a riassemblarla. Fino a quando qualcuno non riesce a ricreare una qualche forma di vita in laboratorio, non capiremo davvero quale ne sia l’origine.

Ritratto a mezzobusto di Sascha Quanz
Sascha Quanz swissinfo.ch

SWI: Perché il tema della vita altrove è così interessante per l’umanità?

S.Q.: Credo sia una delle domande fondamentali che l’umanità si pone letteralmente da secoli. Ci si potrebbe anche chiedere: perché è così importante proprio adesso?

Ci sono diversi atenei nel panorama universitario internazionale in cui si stanno unendo le forze per affrontare la questione della vita altrove. Si combinano i progressi raggiunti in diversi campi di ricerca. C’è voluto tempo, ma abbiamo stabilito alcuni dei concetti base in modo adeguato. Ora credo sia il momento di dare il via alla ricerca interdisciplinare, perché resteremo bloccati se non lavoreremo insieme ai colleghi di altre discipline scientifiche.

SWI: Nel giugno del prossimo anno, l’ETH e l’Università di Cambdridge apriranno nuovi centri di studi, ideati da voi due. L’interdisciplinarietà sarà una caratteristica chiave di questi istituti.

S.Q.: Chiunque sia interessato al tema è invitato a unirsi a noi. Partiremo da quelle che direi sono le discipline più ovvie: chimica, biologia, scienze della Terra e astrofisica.

Siamo però anche in contatto con ricercatori delle scienze ambientali, gente che capisca il clima di questo pianeta, ad esempio. La loro presenza sarebbe molto utile a guidare alcune riflessioni, alcune idee. Vedremo chi mostrerà interesse. Direi che più siamo, meglio è.

SWI: Vuol dire che nel nuovo istituto le idee scaturiranno da persone di diversa estrazione che discutono davanti alla macchina del caffè?

S.Q.: (ride) Sì, discipline diverse affrontano la questione dell’origine o della prevalenza della vita da una prospettiva diversa. A volte nella ricerca capita di incappare in un blocco: non puoi continuare perché ti mancano le competenze, la conoscenza o i dati che possono essere forniti da altre discipline scientifiche.

La macchina del caffè sarà un mezzo per garantire sufficiente interazione e dialogo. Quando intraprendi un incarico interdisciplinare, devi fare in modo che le persone che vi prendono parte si parlino. Devi sbarazzarti del linguaggio specialistico e cercare di portarlo a un livello che chiunque possa capire: è solo in quel momento che scaturiscono nuove idee e puoi davvero sviluppare nuova ricerca.

SWI: Didier Queloz, Lei sarà il direttore del centro dell’ETH. Ci anticipa qualche suo progetto concreto?

D.Q.: Abbiamo un’infinità di progetti concreti, è questo il problema. La nostra creatività e le nostre intenzioni sono in un certo senso troppo grandi rispetto al numero di collaboratori che abbiamo. Un solo esempio: prevediamo di destinare risorse allo studio di rocce che saranno riportare sulla Terra da Marte.

Quel che stiamo cercando di fare non è solo creare infrastrutture e darvi accesso. Si tratta di avviare un nuovo ambito di ricerca scientifica, dando ai giovani ricercatori la possibilità di evolvere per poi andare altrove e fondare nuovi gruppi.

SWI: Quanto è grande l’interesse a lavorare con voi?

D.Q.: Ci sono molte persone parecchio curiose di sapere cosa succederà. Faremo del nostro meglio per garantire un sufficiente slancio. A un certo punto sarà anche una questione di soldi. Quindi dobbiamo offrire qualcosa a questi giovani ricercatori. Non è facile portare le persone fuori dalla loro ‘zona di comfort’, ma c’è così tanto da scoprire, dunque: divertiamoci e facciamolo insieme!

SWI: Che importanza avrà questo centro per il panorama scientifico svizzero?

D.Q.: In termini di qualità scientifica, la Svizzera è notevolmente ben piazzata a livello mondiale. Ci si aspetta quindi che miri ai temi più importanti. E questo è uno di essi. La Confedeazione ha università di alto livello, nonché finanziamenti e qualità della ricerca che non si trovano ovunque.

Credo che studiare l’origine della vita in Svizzera attrarrà persone dall’estero, studenti e dottorandi, persone che potrebbero non averci mai considerato come prima destinazione. Credo che questo avrà delle ricadute positive per il Paese, perché queste persone insegneranno e costruiranno la conoscenza che prima o poi sarà trasferita all’industria.

Persino ora, in un momento in cui la Svizzera sta faticando per impostare una precisa relazione con l’Unione Europea, credo che perseguire uno straordinario obiettivo scientifico aiuti a creare connessioni con le industrie, altre università e altri Paesi. Quindi porteremo ispirazione nella società, una cosa da non trascurare. Perché l’ispirazione rende una società felice e viva.

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