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«Aggredire i capitali» per colpire la mafia

Una bomba alla procura di Reggio Calabria nel 2010: gli inquirenti sospettano la 'Ndrangheta Keystone

Il procuratore federale Pierluigi Pasi lo afferma chiaramente: la lotta efficace contro le mafie è possibile soltanto privandole dei loro capitali. Per farlo, occorre però adeguare gli strumenti legislativi.

Il rapporto 2010 della polizia federale ha evidenziato ancora una volta la presenza in Svizzera di infiltrazioni mafiose, in particolare nei cantoni di frontiera. In queste regioni la criminalità cerca infatti di mettere a punto strutture di riciclaggio – dal semplice acquisto di un’attività commerciale fino a complesse operazioni finanziarie – per dare una parvenza di legalità ai proventi illeciti.

Le cifre in gioco sono enormi: in Italia a titolo di esempio, tra la primavera del 2008 e l’autunno del 2010 le autorità hanno confiscato beni pari a 18 miliardi di euro. Inoltre, per il solo 2008 il giro d’affari della ‘Ndrangheta era valutato a 36 miliardi di euro.

Il procuratore federale Pierluigi Pasi conosce bene questa situazione, in quanto responsabile dell’antenna ticinese del Ministero pubblico della Confederazione. Intervista.

swissinfo.ch: È corretto affermare che per molte organizzazioni mafiose la Svizzera costituisce una sorta di piattaforma logistica?

Pierluigi Pasi: Per certi versi sì. La Svizzera attrae i capitali criminali né più né meno di altri Stati dotati di piazze finanziarie efficienti, in cui vi sono possibilità d’investimento redditizie in svariate attività o settori di facciata lecita: è sempre stato così.

È però naturale che – vista la sua vicinanza fisica all’Italia – il nostro paese rappresenti per le organizzazioni criminali con base nella Penisola una piattaforma privilegiata rispetto ad altri luoghi.

La novità, pur non recentissima, è la presenza fisica più marcata in Svizzera di persone vicine alle organizzazioni mafiose, probabilmente indotta dalla pressione esercitata da forze dell’ordine e magistratura italiane.

Anche la Confederazione, con i suoi Cantoni di confine ed i grandi centri urbani, in quest’ottica può effettivamente essere utilizzati come rifugio. È però anche vero che in alcuni casi queste persone tendono qui a riorganizzarsi oppure anche a fungere da cerniera o da contatto con le organizzazioni italiane.

swissinfo.ch: Gli strumenti giuridici a disposizione nella Confederazione sono adeguati per lottare contro il riciclaggio e colpire le organizzazioni mafiose a livello economico?

P. P.: Sul piano interno sostanzialmente sì. Ma le organizzazioni criminali mafiose hanno da tempo una dimensione internazionale e transnazionale: della stessa dimensione deve quindi essere la risposta che ogni singolo Stato della comunità internazionale dà al fenomeno criminale.

Per battere le mafie occorre privarle dei loro capitali: ovunque tali capitali si trovino. Secondo me, per partecipare attivamente a questa lotta internazionale dobbiamo affinare gli strumenti che appunto permettono di aggredire i capitali che da noi trovano solo rifugio.

Ad esempio rimodellando lo strumento della confisca stabilito dal Codice penale, rendendolo simile a quello contenuto nella legge sugli stupefacenti, che semplicemente permette d’impadronirsi degli utili che i trafficanti di stupefacenti conseguono all’estero e trasferiscono in Svizzera.

swissinfo.ch: La Polizia federale evidenzia la necessità di collaborazione tra i vari attori nazionali e internazionali per poter combattere efficacemente la criminalità. Può indicare un esempio di collaborazione riuscita?

P. P.: Di esempi di collaborazione riuscita ve ne sono in abbondanza. Il rapporto 2010 fa riferimento a casi in cui la collaborazione ha portato all’arresto in Svizzera e quindi all’estradizione in Italia di persone condannate per appartenenza ad organizzazioni mafiose.

La collaborazione che abbiamo prestato e che prestiamo dà però anche un contributo più silenzioso ma non per questo meno importante: penso qui a tutte le rogatorie che eseguiamo dietro richiesta delle autorità antimafia italiane e che permettono di raccogliere prove e informazioni essenziali. Queste confluiscono poi in procedimenti e processi dai risultati importanti.

swissinfo.ch: Quali sono invece gli aspetti da migliorare?

Per contrastare la criminalità organizzata, la raccolta, l’analisi e lo scambio d’informazioni fra tutti i partner – nazionali e internazionali – sono vitali: in questo campo a mio parere vi è effettivamente margine di miglioramento. Concordo in particolare con chi sostiene che la collaborazione a livello di polizia deve essere migliorata; magari attraverso la rivisitazione del relativo trattato con l’Italia.

swissinfo.ch: Il settore immobiliare, la ristorazione, i grandi eventi come Expo 2015 a Milano: in che modo è possibile lottare contro l’infiltrazione mafiosa in questi ambiti economici?

P. P.: Evidentemente non soltanto con norme giuridiche adeguate di tipo preventivo e repressivo, di cui peraltro siamo sostanzialmente ben dotati. Anche qui occorre prima di tutto sensibilizzare gli attori in campo sul fatto che il rischio esiste davvero.

Chiunque dovrebbe poi insospettirsi di fronte a grosse disponibilità di denaro unite alla ritrosia nel discutere sulla provenienza, all’inclinazione non spiegabile ad accontentarsi di esigui margini di guadagno o ad investire in attività o imprese con alti margini di rischio.

Per i grandi eventi e i cantieri il discorso è comunque più ampio: forse la politica e il legislatore potrebbero fare alcune ulteriori riflessioni sulla base di quanto si sta facendo all’estero e soprattutto in Italia; ma non ho oggi motivi per credere che qui vi sia un’emergenza.

swissinfo.ch: Il rapporto 2010 evidenzia il ricorso, da parte delle organizzazioni malavitose, a figure professionali sempre più specializzate in ambito economico ed informatico. La polizia riesce a tenere il passo?

P. P.: È senz’altro vero: si fa ricorso alla specializzazione e a strutture complesse. Anche se, come constatiamo nelle nostre indagini, ancora oggi criminalità ordinaria e organizzata per riciclare fanno spesso capo – in una prima fase almeno – alle transazioni e al traffico di denaro contante.

L’uso dell’informatica, dei mezzi di comunicazione elettronici e di Internet in particolare gioca un ruolo di primo piano, anche nella comunicazione: ne consegue, da parte nostra, l’uso di tecniche investigative e d’analisi altrettanto specialistiche e particolari.

Stare al passo è difficile ma evidentemente necessario: la Polizia giudiziaria federale fa grossi sforzi in questo senso ma devo dire, usando un eufemismo, che con più risorse saremmo più efficaci.

I clan mafiosi in Svizzera non controllano in modo capillare un territorio circoscritto, come invece fanno nelle loro zone di origine in Italia e più precisamente a Napoli o in certe località della Sicilia.

Vi sono però all’interno delle organizzazioni presenti nella Confederazione alcuni indizi di accordi che regolano le competenze regionali. I clan sono inoltre attivi innanzitutto a livello internazionale e questo è dovuto anche alle dimensioni relativamente ridotte e alle diverse regioni linguistiche del paese.

In Svizzera l’omertà, la legge del silenzio, viene comunque rigorosamente applicata come altrove. Sono quindi rare le testimonianze e di conseguenza la raccolta delle prove è difficile. Inoltre, a causa delle strutture familiari, è estremamente complicato infiltrarsi nelle organizzazioni mafiose.

Per rafforzare la loro presenza in Svizzera, le organizzazioni mafiose italiane cercano per le loro attività nell’ambito della criminalità economica di collaborare specificatamente con esperti del mondo finanziario e bancario.

Nel quadro di inchieste nazionali o su rogatoria di partner stranieri, nel 2010 in Svizzera sono stati compiuti vari arresti. Molte persone appartenenti ad organizzazioni criminali italiane, tra cui la ’Ndrangheta, sono state estradate in Italia, dove erano già state condannate a lunghe pene detentive.

Alcune di loro avevano compiuto dei reati anche nella Confederazione, soprattutto trafficando stupefacenti. Altre invece avevano svolto per lunghi periodi un lavoro normale in Svizzera senza dare nell’occhio.

Fonte: Rapporto 2010 della Polizia federale

Il Ministero pubblico della Confederazione è l’autorità preposta al perseguimento penale della Confederazione. Persegue determinati reati diretti contro la Confederazione o pregiudizievoli per i suoi interessi.

Altri compiti del MPC sono l’esecuzione dell’assistenza giudiziaria chiesta da autorità di perseguimento penale straniere e la promozione della collaborazione internazionale e intercantonale nella lotta contro la criminalità.

In caso di domanda di assistenza giudiziaria di autorità estere, il MPC raccoglie in Svizzera il materiale probatorio necessario per i loro procedimenti penali.

L’assistenza giudiziaria comprende tra l’altro l’interrogatorio di persone, il sequestro conservativo, la consegna di materiale probatorio, documenti, oggetti e valori patrimoniali, la perquisizione domiciliare e il sequestro.

La sede centrale si trova a Berna e le sedi distaccate sono ubicate a Losanna, Lugano e Zurigo. Il MPC occupa circa 150 collaboratori.

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