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«È prematuro occuparsi dei flussi migratori»

Una barca carica di immigrati arriva al porto di Ragusa in Sicilia. Keystone

I ministri dell'interno dell'UE e della Svizzera si sono incontrati giovedì a Bruxelles per discutere dei flussi migratori in provenienza del sud del Mediterraneo. Per l'esperta di migrazione Denise Efionayi-Mäder è troppo presto per allarmarsi.

I disordini nei paesi arabi, in particolare in Tunisia e in Libia, hanno già causato un aumento dei rifugiati in Europa. Soprattutto il Sud Italia si vede confrontato con l’arrivo di diverse imbarcazioni provenienti dal Nord Africa sulle sue coste.

Secondo Denise Efionayi-Mäder, vicedirettrice del Forum svizzero per lo studio delle migrazioni e della popolazione dell’Università di Neuchâtel, prima di elaborare scenari allarmistici ci si dovrebbe preoccupare della situazione nei paesi interessati.

swissinfo.ch: Ci si deve aspettare un grande aumento della migrazione proveniente dal Nord Africa?

Denise Efionayi-Mäder: Per ora è molto difficile rispondere. Tutto dipende da come si evolve la situazione e dalle prospettive. Ritengo che l’allarme sia stato diffuso un po’ troppo in fretta.

L’arrivo di rifugiati non è di per sé una situazione eccezionale. In considerazione di quanto accade in Libia, però, è molto difficile, prevedere come le cose muteranno. Occorre attendere gli sviluppi per poter definire meglio la situazione.

swissinfo.ch: Condivide le paure dell’Unione europea?

D. E.-M.: Sono un po’ stupita dal fatto che ora si parli quasi unicamente di rifugiati quando in realtà la situazione è molto grave in Tunisia, in Egitto e ancor più in Libia. Stanno avvenendo dei massacri, ci sono molti morti e feriti. Ritengo che sia troppo presto per occuparsi unicamente dei flussi migratori, anche se lo svolgimento dei fatti potrebbe evolvere in questa direzione.

Penso che l’Europa sia in grado di affrontare questi flussi migratori. In tale contesto, tengo a ricordare che i paesi africani, per esempio il Kenia, sono riusciti a gestire grandi flussi migratori provenienti dalla Somalia in un lasso di tempo molto breve.

swissinfo.ch: Le cifre diffuse per esempio dall’Italia sarebbero dunque esagerate?

D. E.-M.: Si tratta di una reazione allarmista e sproporzionata perché distoglie l’attenzione dal vero problema. Se si segue l’attualità, l’impressione che emerge è quella di un problema nei paesi attorno al Mediterraneo. Visto così sembra piuttosto un problema europeo e non nordafricano.

swissinfo.ch: Siamo di fronte a una crisi temporanea o gli effetti si protrarranno a lungo termine?

D. E.-M.: Credo che per ora sia difficile valutare gli sviluppi futuri dato che nessuno aveva previsto il momento dello scoppio di questa crisi né la sua ampiezza.

Attualmente assistiamo a fatti molto gravi, soprattutto in Libia. Ma spero che questo apra anche delle prospettive a lungo termine. Nei paesi interessati ciò potrebbe comportare la nascita governi più aperti, più democratici e forse anche delle politiche economiche più sostenibili.

swissinfo.ch: E che influenza potrebbe avere uno sviluppo di questo tipo sulla migrazione?

D. E.-M.: Evidentemente ciò non arresta il flusso di immigrati in caso di crisi. Ma a corto termine, tale flusso può essere più o meno reversibile.

A lungo termine, se le popolazioni locali hanno delle prospettive valide in termini di qualità di vita, il flusso migratorio può essere diminuito. Finora, la migrazione era comunque stata contenuta tramite mezzi spesso repressivi.

swissinfo.ch: Fino a che punto la Svizzera deve partecipare a un’azione globale?

D. E.-M.: Ritengo che la Svizzera debba partecipare perché è integrata nell’Europa a livello geografico ed economico. È indispensabile che la Confederazione segua molto da vicino gli sforzi dell’UE. Occorre coordinare i mezzi e ogni paese deve agire in funzione delle proprie capacità.

Sono comunque fiduciosa che la Svizzera sia in grado di associarsi agli sforzi UE. Anche se, a livello europeo, non sarà per niente facile coordinare il tutto a causa del grande numero di paesi implicati.

swissinfo.ch: Esiste un futuro in Svizzera per i cittadini dei paesi del Nord Africa?

D. E.-M.: Dipende tutto dalla situazione di partenza. Ci possono essere delle persone in fuga per ragioni che rientrano nel quadro della Convenzione sui rifugiati. Queste persone hanno una ragione reale per ottenere l’asilo in un paese come la Svizzera.

Per gli altri, non ci sono delle prospettive a lungo termine, perché le persone che non provengono da un paese dell’UE o dell’AELS hanno poche possibilità di trovare un impiego in Svizzera a meno che esercitino una professione molto ricercata sul mercato del lavoro.

Evidentemente la Svizzera non rinvierà un abitante di Tripoli nella situazione attuale. Ma quando si saranno calmate le acque, se non è stato loro riconosciuto lo statuto di rifugiato, è possibile che queste persone saranno rimpatriate.

Per fronteggiare un eventuale ondata di immigrati, la Confederazione elaborerà diverse misure in funzione dei diversi scenari possibili.

In un incontro tenutosi tra rappresentanti, è già stato deciso l’immediato rafforzamento delle Guardie di confine a Ginevra e in Ticino.

Attualemnte la Svizzera dispone di strutture per rispondere a 15 000 domande d’asilo all’anno. Cinque Centri di registrazione e procedura (CRP) sono in grado di trattare complessivamente fino a 1 300 richieste al mese, capacità che potrebbe essere portata a 1 800.

Denise Efionayi-Mäder è vice direttrice del Forum svizzero per lo studio delle migrazioni e della popolazione dell’Università di Neuchâtel.

L’istituto è stato fondato nel 1995 e si occupa di insegnamento e di ricerca a livello nazionale e internazionale in ambito di flussi migratori, rifugiati e richiedenti d’asilo, demografia, razzismo e discriminazione.

Dal 1995, l’istituto ha realizzato più di 200 studi finanziati dal Fondo nazionale di ricerca scientifica (FNS) oppure su incarico di diversi organi federali, cantonali, comunali o privati.

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