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La Svizzera e il colonialismo

Come i mercenari svizzeri hanno contribuito a diffondere il colonialismo

Fort Willem
Fort Willem sull'isola di Giava: qui sono finiti molti mercenari svizzeri partiti alla volta delle Indie orientali olandesi (litografia basata su un disegno originale di F.C Wilsen, 1849). Tropenmuseum, Netherlands

Nel XIX secolo, giovani svizzeri di origini modeste hanno svolto parte del lavoro sporco delle forze coloniali straniere in Asia e in Africa. Mentre il ruolo dei mercenari svizzeri in Europa è ben noto, alcuni documenti scoperti di recente raccontano delle malefatte che hanno commesso in terre lontane.

Dopo una dura giornata di lavoro in fattoria, Thomas Suter*, 19enne di un villaggio dell’Emmental, è pronto per andare alla taverna per bere un bicchiere. C’è una certa emozione nell’aria. Tutti parlano di Jürg Keller*, il ragazzo che l’anno scorso ha lasciato il villaggio vicino per unirsi all’esercito coloniale olandese (Koninklijk Nederlandsch-Indisch Leger o KNIL).

Di recente, Keller ha inviato una lettera alla sua famiglia da Lombok, nelle Indie orientali olandesi (l’attuale Indonesia), lamentandosi del caldo, del cibo e dei nativi. Tutto appare molto esotico ed emozionante agli occhi di Suter e degli altri frequentatori di taverne, abituati a una vita semplice lavorando nei campi e allevando bestiame.

Alcuni giovani sperano segretamente di emulare Keller e di lasciare la valle addormentata, abbandonando le loro esistenze prevedibili per diventare dei mercenari in terre tropicali.

Per questo basta aspettare che un reclutatore illegale – le autorità federali non sono entusiaste del fatto che degli svizzeri siano al soldo di potenze straniere – faccia un giro nella loro valle. Viaggerebbero lungo il fiume Reno fino ad Harderwijk, nei Paesi Bassi, dove ha sede l’ufficio di reclutamento della KNIL. Una volta sul posto, potrebbero alloggiare all’Hotel Helvetia o al Café Suisse, gestiti da ex mercenari svizzeri, i quali li potrebbero anche aiutare, in cambio di denaro, a espletare le formalità di reclutamento. Poi la partenza in nave per le Indie orientali olandesi, dove rimarrebbero per almeno sei anni.

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Ritratto della recluta svizzera Josef Arnold Egloff a Harderwijk, nei Paesi Bassi, sede dell’esercito coloniale olandese (1889). Courtesy Egloff family

Scatole di documenti

“A loro, le colonie apparivano come un’opportunità per salire la scala sociale e vivere il sogno di una vita borghese”, spiega a swissinfo.ch Philipp Krauer, ricercatore di storia moderna presso il Politecnico federale di Zurigo.

Krauer e i suoi colleghi hanno recentemente messo le mani su 20 scatole di documenti dell’Archivio federale di Berna relativi alla vita mercenaria nell’esercito coloniale olandese, che finora non erano state aperte. Mentre il ruolo dei mercenari svizzeri in Europa è ben conosciuto, non esistono molte informazioni sulle loro azioni in terre esotiche.

Nella seconda metà del XIX secolo, il reclutamento di mercenari non era più così in voga in Europa, ma i giovani svizzeri avevano sempre la possibilità di combattere altrove per conto delle potenze coloniali. Tra il 1815 e la Prima guerra mondiale, circa 8000 mercenari svizzeri sono entrati a fare parte dell’esercito coloniale olandese in Indonesia e a un certo punto rappresentavano il 10% delle truppe europee. Si stima inoltre che tra il 1830 e il 1960, 40’000 uomini si siano uniti alla Legione straniera francese partecipando a operazioni in Nord Africa e in Vietnam.

Svizzera miserabile

A metà del XIX secolo, rammenta Philipp Krauer, la Svizzera era tra le nazioni europee più povere. Fino alla fine degli anni 1880, era un Paese prevalentemente di emigrazione. All’epoca, il governo elvetico concedeva prestiti a persone che volevano emigrare negli Stati Uniti o in Sudamerica, per cui il fatto di permettere a giovani irrequieti di famiglie modeste di partire per una vita mercenaria era considerato una politica economicamente conveniente.

“Molti politici e funzionari delle forze dell’ordine sapevano del reclutamento illegale di mercenari nel territorio svizzero, ma hanno chiuso un occhio. Ritenevano che fosse meglio che gli indesiderabili e i poveri fossero fuori dal Paese piuttosto che causare disordini civili”, indica Krauer.  

Tuttavia, non sono state solo le difficoltà economiche a spingere gli svizzeri ad unirsi agli eserciti coloniali. Molti sognavano una vita più avventurosa.

“Ho letto una lettera di un mercenario a sua madre in cui dice che ogni volta che vedeva il treno passare nel suo villaggio, gli veniva questa voglia di andarsene. Non sopportava il pensiero di dover rimanere nel piccolo villaggio e di diventare un contadino come suo padre e suo nonno”, afferma Krauer.

vecchio manoscritto
Lettera che un mercenario svizzero in Indonesia ha spedito alla sua famiglia. Courtesy Egloff family

A questo si aggiungevano i racconti popolari che glorificavano la vita mercenaria di chi aveva osato fare il grande passo. Gottfried Keller, uno dei più famosi autori svizzeri della metà del XIX secolo, scrisse di un giovane ragazzo che lasciò la sua casa per unirsi alla Compagnia britannica delle Indie orientali in India e più tardi alla Legione straniera francese nel Nord Africa dove divenne colonnello, uccise un leone e si arricchì.

Gli svizzeri erano benvenuti nell’esercito coloniale olandese poiché la maggior parte di loro aveva già svolto un addestramento militare di base. Erano anche considerati buoni tiratori. Una reputazione che è però peggiorata dopo l’ammutinamento svizzero del 1860 a Semarang a causa dell’insoddisfazione per le condizioni di lavoro in Indonesia.

Vita dura

Arrivare in Indonesia era uno choc, soprattutto a causa del clima tropicale. Le reclute trascorrevano i primi tre mesi a fare addestramento e i contatti con gli europei al di fuori della caserma erano pochi. Malattie quali la malaria e il colera erano una grave minaccia, soprattutto fino ai progressi della medicina tropicale.

“Prima che fosse disponibile il chinino nel 1850, la maggior parte di loro moriva entro i primi tre mesi a causa di malattie tropicali”, spiega Philipp Krauer.

La vita di tutti i giorni era piuttosto noiosa. Dovevano fare molte esercitazioni e allenarsi per maneggiare il fucile. Dalle annotazioni sui diari risulta che non vedevano l’ora di lasciare la caserma per pattugliare le piantagioni. La loro presenza ha contribuito a creare un regime di paura tra la gente del posto e ha fatto sì che nelle piantagioni si lavorasse diligentemente.

L’alimento di base era il riso e bevevano soprattutto gin olandese Jenever, siccome la birra doveva essere importata. Potevano avere concubine e persino mettere su famiglia con esse.

Tuttavia, ai mercenari era richiesto di essere spietati al momento dovuto. Il conflitto più grande in cui sono stati coinvolti è stata la guerra di Aceh, durata quasi 40 anni (è iniziata nel 1873). In quel periodo, circa 8’000-10’000 soldati erano dispiegati nel nord di Sumatra.

“In Indonesia, gli svizzeri – insieme ad altri europei e a gente del posto – commettevano massacri”

Philipp Krauer, storico

I mercenari svizzeri facevano anche parte di unità speciali che pattugliavano l’arcipelago e soggiogavano i leader locali attraverso tattiche di terra bruciata. Le rappresaglie erano particolarmente spietate dopo l’uccisione di loro compagni in un’imboscata o in battaglia.

“Sono stati uccisi migliaia di nemici, le loro case e altre proprietà sono state date alle fiamme, il rajah di Lombok è stato catturato e la maggior parte dei leader rivali è stata trasportata verso un altro mondo”, si legge in una lettera del 1895 scritta dal mercenario Emil Häfeli al padre del suo defunto compatriota Egloff.

I discendenti dei superstiti delle operazioni di queste unità speciali sull’isola indonesiana di Flores hanno raccontato agli antropologi di come sono sopravvissuti nelle grotte nascondendosi sotto i cadaveri dei loro parenti. I soldati dell’esercito coloniale non facevano alcuna distinzione tra civili e combattenti.

“In Svizzera, esisteva già il Comitato internazionale della Croce Rossa e all’epoca si discuteva su come condurre guerre etiche. Ma in Indonesia, gli svizzeri – insieme ad altri europei e a gente del posto – commettevano massacri nel nord di Sumatra, Aceh, Flores e su altre isole”, rammenta Krauer.

foto in bianco e nero di uomini in uniforme su un terreno con dei cadaveri
Soldati della polizia militare coloniale olandese in posa accanto ai cadaveri degli abitanti del villaggio di Koeto Reh, sull’isola di Sumatra (1904). Tropenmuseum, Netherlands

Ritorno a casa

I mercenari potevano tornare a casa solo dopo aver prestato servizio in Indonesia per almeno sei anni. Non potevano scappare poiché erano circondati dall’oceano.

“Dovevano pagare 2’000 franchi, una somma enorme all’epoca, se volevano andarsene prima di aver completato i sei anni di servizio. Dovevano anche trovare un sostituto”, spiega lo storico.

Non potevano mettere molto da parte, ma dopo dodici anni di servizio ricevevano una rendita annuale compresa tra i 200 e i 2000 franchi. In patria, non erano accolti come degli eroi siccome i mercenari avevano una cattiva reputazione tra la popolazione. Servire un altro Paese durante l’ondata di nazionalismo nel giovane Stato federale non era visto di buon occhio. C’era inoltre il timore che avrebbero portato in patria cattive abitudini, dal momento che erano visti come delle persone moralmente corrotte.

Molti avevano subito un trauma a causa dei massacri a cui avevano partecipato e non sono riusciti a reintegrarsi nella società. Dovevano anche scontrarsi con chi si opponeva al loro rientro in Svizzera assieme a figli e concubine.

A differenza dei mercanti e dei missionari svizzeri che hanno partecipato all’impresa coloniale, i mercenari non hanno lasciato grandi tracce sotto forma di libri o di musei riempiti di oggetti esotici. Hanno però avuto una forte influenza sull’atteggiamento svizzero nei confronti degli stranieri.

“Le loro descrizioni degli indigeni nelle loro lettere hanno contribuito a diffondere gli stereotipi di altre razze nelle piccole valli e nei villaggi della Svizzera. Alcuni di questi stereotipi esistono ancora oggi”, rileva Krauer.

Per molto tempo non è stato chiaro se agli svizzeri fosse permesso di svolgere attività mercenarie. Questa zona grigia ha contribuito a perpetuare il fenomeno fino alla Seconda guerra mondiale.

Con la creazione di un moderno Stato federale nel 1848, la Costituzione ha vietato ai funzionari svizzeri di stipulare contratti con altre parti quali i re francesi o italiani. Ciò significa che le autorità locali non potevano concludere accordi per fornire truppe svizzere ad eserciti stranieri. Tuttavia, i singoli potevano comunque aderirvi di propria iniziativa.

Qualche anno più tardi sono stati proibiti anche la promozione del lavoro mercenario e il reclutamento su suolo svizzero.

Nel 1859 una nuova legge ha proibito la partecipazione a “truppe non nazionali”. Una definizione ambigua poiché gli olandesi insistevano sul fatto che il loro esercito coloniale faceva parte di quello nazionale.

Solo nel 1928 il codice militare ha stabilito esplicitamente che un cittadino svizzero non può prestare servizio in un esercito straniero. Tuttavia, molte persone hanno continuato ad unirsi alla Legione straniera francese.

Traduzione dall’inglese: Luigi Jorio

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