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Arrestato Julien Assange

camionetta della polizia davanti a un edificio
È in questo palazzo che Julien Assange ha vissuto negli ultimi sette anni. Keystone / Rebecca Brown

Il fondatore di WikiLeaks Julian Assange è stato arrestato all'ambasciata dell'Ecuador a Londra dopo che Quito ha revocato la concessione dell'asilo al giornalista australiano.

Julien Assange era rifugiato nell’edificio che ospita l’ambasciata ecuadoriana nella capitale britannica dal 19 giugno 2012. Travestito da corriere, il giornalista australiano era riparato qui per sfuggire a un mandato di arresto per accuse di stupro e violenza sessuale in Svezia. Accuse che ha sempre respinto, difendendo la teoria di un complotto. 

I tribunali svedesi hanno infine chiuso il caso, ma Julian Assange, 47 anni, si è rifiutato di andarsene, temendo che sarebbe stato arrestato dalle autorità britanniche e poi estradato e processato negli Stati Uniti per la diffusione nel 2010 di oltre 700’000 documenti sulle attività militari e diplomatiche statunitensi.

Dopo l’arresto eseguito giovedì da Scotland Yard, il presidente ecuadoriano Lenin Moreno ha dichiarato che Assange non sarà estradato in un paese che applica la pena di morte.

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Cambio di linea

Garantendo protezione al fondatore di WikiLeaks, l’Ecuador, con alla sua testa nel 2011 Rafael Correa, figura della sinistra sudamericana, aveva trovato un’occasione d’oro per deridere Washington. Ma tutto è cambiato nel 2017, con l’arrivo al potere di Lenin Moreno, per il quale la presenza di Julian Assange è diventata un “problema”.

Il capo di Stato ecuadoriano ha accusato l’australiano di “ripetute violazioni” delle regole stabilite con Assange. Da ottobre, Quito ha applicato un protocollo che disciplina, tra l’altro, le visite ricevute da Assange e le sue comunicazioni, in risposta a quella che considerava un’interferenza costante di Assange negli affari interni dell’Ecuador e di altri paesi.

Julien assange su un balcone dell ambasciata ecuadoriana
In questa foto del maggio 2017, Julien Assange si rivolge ad alcuni suoi sostenitori da un balcone dell’ambasciata ecuadoriana a Londra. Keystone / Andy Rain

Il cambio di linea a Quito coincide anche con il declino della popolarità di colui che alcuni considerano un “cyber-guerriero”. L’immagine di Assange è stata particolarmente appannata dalla trasmissione da parte della sua piattaforma nel 2016, in un momento chiave della campagna presidenziale americana, di migliaia di email hackerate del Partito democratico e dal team di Hillary Clinton, che hanno contribuito a screditare la candidata.

Queste rivelazioni hanno poi suscitato lodi da parte del candidato Donald Trump. “Adoro WikiLeaks”, ha affermato. Secondo la CIA, questi documenti sono stati ottenuti da WikiLeaks da agenti russi, cosa che la piattaforma nega.

“Liberare la stampa”

Nato e cresciuto in Australia, durante la sua infanzia Assange è stato sballottato un po’ in tutto il paese dalla madre, un’artista teatrale separatasi dal padre ancor prima della nascita del figlio.

Il fondatore di Wikileaks ha spesso paragonato la sua infanzia a quella di Tom Sawyer. All’età di 15 anni si è finalmente stabilito a Melbourne, dove ha studiato matematica, fisica e informatica. Molto dotato, è entrato nella comunità degli hacker e ha iniziato ad accedere ai siti della Nasa o del Pentagono, usando il soprannome ‘Mendax’.

Quando ha lanciato WikiLeaks con l’obiettivo di “liberare la stampa” e “smascherare segreti di Stato e abusi”, è diventato, secondo uno dei suoi biografi, “l’uomo più pericoloso del mondo”.

Si è fatto conoscere al grande pubblico nel 2010 con la pubblicazione di centinaia di migliaia di documenti americani. Un colpo brillante che ha fatto guadagnare a quest’uomo alto e snello, dalla carnagione diafana, la reputazione di campione della libertà di informazione.

Ma, man mano che la sua notorietà cresceva, crescevano anche le critiche. Nel 2011, cinque giornali (tra cui The New York Times, The Guardian e Le Monde) associati a WikiLeaks hanno condannato i metodi della piattaforma, che rende pubblici i telegrammi del Dipartimento di Stato americano, ritenendo che questi documenti possano “mettere in pericolo determinate fonti”.

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