La televisione svizzera per l’Italia

No Billag, la sfida in Ticino sulla radiotivù pubblica

Mauro Baranzini e Alain Bühler al dibattito organizzato da Tvsvizzera/Swissinfo
Mauro Baranzini e Alain Bühler al dibattito organizzato da Tvsvizzera/Swissinfo tvsvizzera

La votazione federale del 4 marzo sul servizio pubblico radiotelevisivo è particolarmente sentita nella Svizzera italiana dove ha sede la RSI, che costituisce uno dei principali datori di lavoro e crea un indotto economico importante. Sulla proposta di abolizione del canone radiotelevisivo si sono confrontati per Swissinfo/Tvsvizzera.it Mauro Baranzini (Associazione Amici della RSI) e Alain Bühler (presidente No Billag Ticino).   

Il servizio pubblico radiotelevisivo conosce un radicamento particolare a sud delle Alpi, dove impiega circa 1’100 persone e affluiscono, grazie alla generosa chiave di riparto del canone radiotelevisivo (che tiene conto però non solo dei 360’000 ticinesi ma anche degli oltre 700’000 italofoni complessivi residenti nella Confederazione), 200 milioni di franchi all’anno dal resto del paese per i suoi programmi multimediali. Nel mondo politico l’iniziativa è sostenuta solo dalla Lega dei Ticinesi (con le defezioni però di importanti esponenti istituzionali, come i consiglieri di Stato Norman Gobbi e Claudio Zali e il sindaco di Lugano Marco Borradori) mentre l’Unione democratica di centro (UDC), il cui vicepresidente Alain Bühler presiede il comitato cantonale di sostegno agli iniziativisti, lascia libertà di voto ai suoi elettori. Per tutti gli altri partiti ticinesi la proposta di abolizione del canone e del finanziamento pubblico delle emittenti radiotelevisive (anche private) è troppo radicale e avrebbe pesanti ricadute sociali ed economiche nella Svizzera italiana.     

Su cosa si voterà concretamente il 4 marzo: abolizione del canone o del servizio pubblico radiotelevisivo?

Alain Bühler: I cittadini andranno a votare sulla libertà di scelta in ambito mediatico, cosa che oggi non è concessa perché vengono chiamati alla cassa per pagare un canone per un servizio di cui magari non vogliono neanche fruire. Vengono chiamati anche al voto per la libertà mediatica, quindi per maggior concorrenza all’interno del mercato e quindi anche per l’abolizione dei finanziamenti alle emittenti radiotelevisive e per evitare in futuro l’influsso dello Stato e soprattutto della politica su questi enti, questo è il succo dell’iniziativa.

Il professor Mauro Baranzini difende le ragioni del No all iniziativa NoBillag
Mauro Baranzini, 74 anni di Bellinzona, già decano della facoltà di Scienze economiche dell’USI a Lugano, è presidente dell’Associazione amici della RSI e in tale veste difende le ragioni del No all’iniziativa NoBillag. tvsvizzera

Mauro Baranzini: Non è vero, l’articolo costituzionale proposto dall’iniziativa prevede innanzitutto la privatizzazione della Radiotelevisione pubblica svizzera. La seconda cosa è che questa privatizzazione passerà per le aste che evidentemente interesseranno soprattutto i grossi gruppi stranieri. Questo vuol dire che i posti di lavoro se ne andranno dalla Svizzera e che i prezzi aumenteranno e dunque il canone di 365 franchi all’anno ce lo sogneremo. Il risultato sarà che i nostri anziani non avranno più una radiotelevisione. Il 5 marzo, se passa l’iniziativa No Billag, lei accende la radio nell’automobile o a casa e non c’è più niente. Saranno gli anziani a soffrire, così come le valli e le zone discoste che adesso sono servite. Sarà la Svizzera italiana che perderà 220 milioni di franchi e alla fine saremo tutti noi a farne le spese perché non avremo più un’informazione completa e oggettiva.

Alain Bühler
Alain Bühler, 35 anni di Sorengo, è presidente del comitato cantonale a sostegno dell’iniziativa No Billag. È inoltre consigliere comunale a Lugano per l’UDC, partito nel quale ricopre la carica di vicepresidente cantonale. tvsvizzera

Alain Bühler: Non vedo tutto questo catastrofismo. Per quanto concerne la questione delle aste, come confermato all’interno del messaggio 16.071 della consigliera federale Doris Leuthard, sarà il legislatore che dovrà dettare le condizioni di partecipazione e i criteri di attribuzione. Quindi il parlamento avrà la possibilità di evitare quelle derive che paventano i contrari. Tra l’altro, parlano di famelici gruppi stranieri che vogliono venire in Svizzera, ma nel contempo insistono che in Svizzera non c’è spazio per fare televisione a livello privato. Diciamo che c’è una sorta di schizofrenia all’interno di queste prese di posizione. Quello che si chiede chiaramente è l’abolizione del canone e la liberalizzazione del mercato. Si parla di costi più elevati? È opinabile, se tutti i servizi a pagamento – che oggi coinvolgono il 5-10% del popolo svizzero (come Netflix per esempio che costa 19,90 franchi al mese) – aumenteranno in futuro la loro diffusione, i prezzi sono destinati a scendere.

Considerate le dimensioni del mercato pubblicitario in Svizzera, ci sono le condizioni per la SSR privatizzata di sopravvivere senza canone?

Mauro Baranzini: La schizofrenia la rimando al mittente, in effetti gli iniziativisti sono schizofrenici al massimo livello, poiché hanno fatto elaborare dall’Unione svizzera delle arti e mestieri (USAM) un progetto secondo cui la SSR riuscirebbe ad andare avanti solo con la pubblicità che oggi copre unicamente il 20-25% delle entrate. Diverse aziende si stanno già tirando indietro visto come vanno le cose. Si propone in alternativa che il normale telespettatore acceda a varie offerte personalizzate (abbonamenti specifici, acquisti di pacchetti o on demand, pay per view). Ma immaginiamoci le conseguenze per le persone di 65-70 anni. Io personalmente non riesco a padroneggiare nemmeno il telecomando della televisione. Quello che si chiede alle svizzere e agli svizzeri è che abbiano una collana con una cinquantina di pennette, in ognuna delle quali ci sarà di volta in volta la diretta da Francoforte su Federer, gli incontri di calcio da Napoli, o le immagini della discesa di Lara Gut che giungeranno da Belgrado, Mosca o dalla Cina. Perché, badate bene, saranno loro ad acquistare i diritti tv di trasmissione.

E vi immaginate le persone oltre i 60 anni, il 35% della popolazione svizzera, che deve comperare e utilizzare tutti questi dispositivi. Poi quello che succederà è che queste pennette dopo sei mesi scadono e così, alla fine, invece di pagare 365 franchi di canone o meno ancora (perché il canone probabilmente scenderà), si finirà per pagare migliaia di franchi per poter vedere solo le trasmissioni che interessano. Ma ripeto: le valli, i piccoli cantoni, la Svizzera italiana saranno tagliati fuori perché a Napoli, quando si preparerà il telegiornale rivolto in parte anche alla Svizzera, non sanno nemmeno dove si trova il Canton Ticino e le sue valli. Dico Napoli ma potrebbe essere benissimo Lione, Strasburgo, Francoforte, Belgrado o Mosca.  


Alain Bühler: Assolutamente sì, si tratta semplicemente per la SSR di cambiare il modello di business. È ovvio che se, come la consigliera federale (Leuthard), si continua a nominare soltanto la pubblicità non andiamo certo lontano, questo lo riconosciamo anche noi. La base principale su cui potrebbe sopravvivere la SSR è passare da un canone imposto a un canone volontario. Su 3,6 milioni di economie domestiche, centinaia di migliaia di aziende, e magari anche gli svizzeri all’estero che oggi sono esonerati dal canone, c’è un pool di possibili clienti che le permetterebbe di restare in piedi. Questo è quello che si prospetta per la SSR.

Siamo noi iniziativisti che dobbiamo creare il business plan dell’ente radiotelevisivo? Assolutamente no. Il fatto è che non ci hanno pensato. In questi due anni – l’iniziativa è del 12 dicembre 2015 – nessuno ha mosso un dito per l’arroganza e la supponenza di poter mantenere un simile sistema. E a livello federale il controprogetto per un dimezzamento del canone è stato affossato in parlamento. Quindi oggi ci ritroviamo a votare per l’abolizione del canone e per la libertà mediatica in Svizzera. Il resto, come detto e scritto nel Messaggio Collegamento esternoindirizzato alle Camere federali, dovrà essere messo in atto dal legislatore. E su questo mi preme sottolineare che c’è una giurisprudenza federale che sancisce che questi articoli non possono essere messi in atto da soli. Quindi dire che il primo gennaio 2019 si chiude tutto non è vero poiché il parlamento con le sue tempistiche abituali (quindi due – tre anni), dovrà approntare la base legislativa per il futuro mercato mediatico svizzero.  


L’economia privata elvetica è in grado di contrastare l’ingresso dei grossi network internazionali che oggi non sembrano interessati al nostro mercato controllato in parte dalla SSR?

Alain Bührer: Ribadisco ancora, se c’è veramente un grande interesse dei grandi player internazionali a venire in Svizzera, cosa di cui dubito, allora vuol dire che c’è un mercato per la SSR che è già ben posizionata, ha già un’infrastruttura e tutte le attrezzature, il personale e il know-how per operare anche in futuro da emittente nazionale. Quando si parla del piano dell’Unione delle arti e mestieri (USAM) va rilevato che questo non ci riguarda: è opera di un altro comitato prettamente politico ed economico. È un progetto che non ci piace completamente perché rimane una sorta di finanziamento diretto della Confederazione alle emittenti. È anche vero che, se dovessimo trovarci sul piatto questa applicazione da parte del parlamento, l’unica arma che ci rimane, non avendo una corte costituzionale, è quella del referendum che sarebbe però difficile da vincere. E potrebbe essere quindi accettabile un compromesso in materia. Ma spetta solo al legislativo la competenza di concretizzare l’iniziativa.

Mauro Baranzini: No, dissento assolutamente. Questa è una mossa per privatizzare un gioiello della nostra economia e della nostra società civile. Noi viviamo in un paese che è in cima alle classifiche internazionali per longevità, qualità di vita, competitività economica, innovazione e altro ancora. Abbiamo anche una radiotelevisione che ci accompagna da ottant’anni. Forse i giovani che hanno lanciato questa proposta non hanno vissuto gli anni ‘30, ’40 quando in Europa scarseggiava la democrazia e Radio Monteceneri è stata un baluardo contro fascismo e nazismo. Io ho vissuto 35 anni all’estero e posso dire che la RSI, SRF e RTS non hanno niente da invidiare alla BBC e alle migliori reti europee. Tutta l’Europa ha un canone o finanziamenti pubblici che non divergono molto dal nostro sistema: i britannici, ad esempio, devono lavorare molti più giorni per pagare il canone, in termini di potere d’acquisto, di quanti ne lavorino gli svizzeri.

Ora, il Canton Ticino da 20-25 anni ha messo la terza marcia, creando centri di innovazione e ricerca importanti: il Centro di studi bancari, l’Università, la SUPSI, il Cardiocentro, lo IOSI, l’IRB. E adesso vogliamo affossare un nostro patrimonio preziosissimo che tutti ci invidiano all’estero per oggettività e qualità delle trasmissioni. Questa gente vuole distruggere un pilastro importante della Svizzera. Poi vengono a raccontarci che si possono fare programmi su internet, con il telefonino. Ma chi va a intervistare le persone a Lugano, nelle valli, nei piccoli cantoni? Chi trasmetterà alle prossime generazioni la storia, la cultura, le decine di emissioni ben fatte? È ovvio che in ogni grossa impresa si può fare meglio, sono io il primo a dirlo: alcune volte non sono soddisfatto di certi programmi però nel complesso la nostra radiotelevisione è un gioiello. E questi iniziativisti vogliono farci abboccare per favorire esclusivamente l’economia privata con conseguenti prezzi più alti per gli utenti, più pubblicità e posti di lavoro che vanno all’estero.


Se passerà l’iniziativa ci sarà un rischio per l’offerta radiotelevisiva nelle regioni periferiche, in particolare Ticino e Romandia?

Alain Bühler: Se effettivamente la SSR è un gioiello, deduco che ci saranno parecchi interessati ad abbonarsi ai suoi contenuti, quindi non vedo la problematica di passare a un sistema differente. Se parliamo di radio e tivù a livello regionale, come per il Ticino, abbiamo già la conferma da parte di Teleticino che non scompariranno. La stessa cosa vale per la RSI che non è un ente a sé stante ma fa parte della SSR, che è l’ente concessionario ed è destinato a sopravvivere. È ovvio che la SSR del futuro, se vuole giocare da player nazionale, dovrà cercare di ottenere il numero massimo di abbonamenti tra i 350’000 ticinesi e gli ulteriori 300’000 italofoni in Svizzera.

In questo caso la SSR continuerà ad operare a livello nazionale e lo farà soltanto su un’altra base di finanziamento. E ovviamente sarà molto più facile perché, a questo punto, la nuova SSR futura sarà svincolata da tutti quei divieti e vincoli che il servizio pubblico le impone oggi. Quindi potrà mettere pubblicità online e alla radio. E poi i programmi più redditizi della SSR restano il TG, Tagesschau, Kassensturz, Patti Chiari, Falò. Sono contemporaneamente i programmi più redditizi e il fulcro del servizio pubblico. Sono queste le cose che interessano ai cittadini. La futura SSR sarà quindi più indipendente dalla politica: liberandola da questi finanziamenti, l’unica influenza che avrà sarà quella del pubblico. Perché bisogna dirlo: puoi venire a fare business, puoi mandare in onda programmi che vuoi ma, se non hai un pubblico, chiudi la tivù.

Mauro Baranzini: Questi signori sostengono una tesi che sarebbe esattamente la medesima nel caso della scuola: chi non ha figli che vanno a scuola non paga la parte delle tasse che riguarda l’istruzione. Chi utilizza le strade le deve pagare, chi non le utilizza e lo può dimostrare, non le paga. Questo è quello che in economia definiamo la politica dei portoghesi, cioè la gente che non paga il biglietto. E, naturalmente, chi paga il biglietto onestamente deve poi pagare il doppio o il triplo.

Io vorrei concludere dicendo questo: il 5 marzo se passa questa iniziativa la radiotelevisione svizzera nelle 4 lingue nazionali tacerà immediatamente. Nessuna impresa vorrebbe fare pubblicità per una radiotelevisione che sta morendo, perché morirà in quanto il 75-80% dei mezzi finanziari che utilizza e che provengono dal canone non arriveranno più. Ci sono già diverse persone che si stanno defilando. Ma io dico che sarebbe un crimine perché è una delle istituzioni più importanti della nostra Svizzera che fa fatica a stare assieme perché ha quattro lingue, due religioni principali, differenti etnie e orientamenti diversi. Sta però assieme con una scuola pubblica, con una politica pubblica, con la radiotelevisione, con la ferrovia, con la posta e tanti altri servizi federali pregevoli. Questo è il modo di fare Svizzera. Dopo 700 anni siamo una delle migliori nazioni al mondo e non vogliamo pagare un canone, che pagano tutti gli europei, per avere un’informazione oggettiva, di altissima qualità in quattro lingue.

Cosa succederà concretamente tra un anno, nel gennaio 2019, se passerà l’iniziativa?

Alain Bühler: La SSR non chiuderà il primo gennaio del prossimo anno, se passerà l’iniziativa, perché il Messaggio governativo al riguardo è chiaro. Le parole testuali della consigliera federale Doris Leuthard nel Messaggio 16.071Collegamento esterno sono: “Alcuni aspetti dell’iniziativa (…) sebbene formulati con sufficiente precisione (…), e dunque funzionali a un’applicazione diretta, si iscrivono tuttavia in un sistema generale ancora da concretizzare” dal legislatore. Cita anche una sentenza del Tribunale federale e questo per me chiude il cerchio. Si parla di due o tre anni e spero che in questo lasso di tempo la SSR si adoperi ad un piano B per la sua esistenza. Perché ricordiamocelo: paghiamo un manager come Gilles Marchand, il direttore generale, mezzo milione di franchi – più di un consigliere federale – che non può permettersi di andare in giro a dire che non c’è un piano B. Nell’economia privata un manager simile avrebbe già trovato la via della porta.

Mauro Baranzini: Gli iniziativisti si stanno arrampicando sui vetri. Perché prima presentano un articolo costituzionale ben preciso, nel quale c’è scritto che la Confederazione non può più sovvenzionare radio e televisione e deve mettere all’asta le concessioni, poi ci vengono a dire che le autorità federali e la SSR sapranno rimediare. Ma allora perché hanno lanciato un’iniziativa così drastica? Avrebbero dovuto cercare di mantenere i termini indicati nell’iniziativa. Tra l’altro io ho ancora fiducia nel Consiglio federale e penso che quello che ha detto la responsabile del DATEC Doris Leuthard, secondo la quale la SSR chiuderà il 5 di marzo in caso di accettazione dell’iniziativa, sia corretto. Staremo a vedere.  

Non è un rischio per la democrazia diretta in Svizzera, dove i cittadini sono chiamati a votare tre o quattro volte all’anno su oggetti specifici, cancellare il servizio pubblico che deve garantire per mandato il pluralismo e l’imparzialità dell’informazione?

Alain Bühler: Ad oggi ci sono già media privati che fanno un ottimo lavoro per le campagne delle votazioni e le elezioni. Io vedo anche in tutta l’Europa emittenti private che fanno dei gran bei dibattiti. È il pubblico che tiene al guinzaglio l’informazione. Se il pubblico dovesse notare una faziosità, può succedere anche alla RSI, potrebbe anche voltarle la faccia e farle perdere risorse. L’emittente futura sarà fortemente legata al cittadino, molto di più di quanto lo sia adesso e non si seguirà tanto lo share quanto i canoni del servizio pubblico che privilegiano i contenuti sugli ascolti. In futuro la televisione, slegata dal canone e legata soprattutto al gradimento del pubblico, dovrà lavorare in favore dei cittadini e meno in favore della politica: meno megafono dello Stato e più interesse dei cittadini.

Mauro Baranzini: Certo sarà il magnate russo o il miliardario cinese o del Medio Oriente che si interesserà alla storia, alla politica, al modo di vivere, alle elezioni che vengono seguite dalla radiotelevisione, alla radioscuola che una volta si faceva ed era molto importante. Tutti valori che per gli iniziativisti non contano perché vogliono fare entrare per la porta di servizio la privatizzazione. E ve lo dice uno che vive le privatizzazioni in varie nazioni da 50 anni. Le privatizzazioni portano prezzi più alti, a discriminazioni nel mercato e i posti di lavoro scappano. Non a Milano ma chissà dove, sicuramente in un contesto dove si farà una televisione di bassissima qualità a salari ignobili.      

Link:

 -Il comitato contrario all’iniziativa NoBillagCollegamento esterno

-Il comitato di sostegno all’iniziativa NoBillagCollegamento esterno

-Il Messaggio 16.071 del Consiglio federale sull’iniziativa NoBillag Collegamento esterno

-Le spiegazioni del DATECCollegamento esterno

Le argomentazioni del Consiglio federaleCollegamento esterno

-Fatti e cifre del settore radiotelevisivo svizzeroCollegamento esterno

 

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