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Troppa democrazia diretta uccide la democrazia diretta?

passante davanti a una serie di cartelloni per le votazioni
Scene di ordinaria quotidianità in Svizzera: ad ogni partito il suo cartellone sui temi in votazione. © Keystone / Martial Trezzini

Il 19 maggio a Ginevra gli elettori votano su ben nove referendum e iniziative cantonali. Una situazione che suscita qualche preoccupazione.

Dalla modifica della legge sull’orario di apertura dei negozi alla revisione delle norme sull’imposizione delle persone morali, passando dalla politica culturale e dai premi di casse malati: il 19 maggio a Ginevra ve ne è veramente per tutti i gusti.

E per informarsi gli elettori devono armarsi di volontà e pazienza. L’opuscolo informativo sui nove oggetti cantonali è lungo infatti oltre 170 pagine (a cui vanno aggiunte le altre 50 per le due votazioni federali). Visto lo spessore inabituale delle buste, le autorità cantonali hanno dovuto optare per ben due spedizioni: una con il materiale per le votazioni federali (due i temi in programma), l’altra con quello per le votazioni cantonali.

Né un record, né un’eccezione

Ginevra ha qualche sua particolarità. Il clima politico è assai battagliero e spesso i partiti – non riuscendo a trovare dei compromessi a largo spettro nel Parlamento cantonale – ricorrono agli strumenti della democrazia diretta.

Tuttavia, il caso ginevrino non è né un record né un’eccezione. Appena un anno fa a Zurigo gli elettori hanno dovuto dire la loro su 14 temi: due nazionali, due cantonali e dieci comunali. Nel 2007, a Ginevra hanno organizzato cinque votazioni cantonali per un totale di 27 oggetti. 

Una valanga di temi che secondo alcuni è irragionevole. Prima di tutto perché per gli elettori è praticamente impossibile informarsi

“Mi metto nei panni di quel cittadino […] che non ha potuto assistere agli innumerevoli dibattiti e alle presentazioni”, scrive il giornalista Pascal Decaillet nel Journal indépendant des Genevois. “Ebbene quel pover’uomo o quella povera donna si troverà completamente perso di fronte alle votazioni del 19 maggio! L’opuscolo, pur essendo ben preparato, resta quel che è: una pila di pagine stampate. Chi, oggi, legge ancora centinaia di pagine di carta?”.

Il politologo Pascal Sciarini non ritiene però che questa situazione sia così pregiudizievole per la democrazia: “Molte persone opteranno sicuramente per delle scorciatoie nell’informazione, ad esempio le indicazioni di voto dei partiti o del Consiglio di Stato (governo cantonale, ndr). In sé ciò non è però una brutta cosa”, afferma sulle colonne del giornale Le Temps. E per quanto riguarda la complessità dei temi in votazione, Sciarini sottolinea che “non vi sono soggetti più legittimi di altri; in Svizzera la democrazia si spinge molto in là, è la regola del gioco”.

“Marketing politico”

Intervistata dalla Radiotelevisione Svizzera, la giornalista e scrittrice Joëlle Kuntz sottolinea dal canto suo un altro aspetto: “C’è un problema ginevrino. Qui il Parlamento non decide più niente da anni. E poi c’è un problema svizzero. Per vincere le elezioni serve fare della comunicazione e allora non c’è niente di meglio per i partiti che lanciare iniziative e referendum così da essere subito invitati sui giornali e alla televisione gratuitamente. Di fatto la democrazia diretta è diventata un buon metodo per fare marketing politico a basso costo”.

Di tutt’altro avviso Jean Romain. Secondo il presidente del Parlamento cantonale ginevrino, è vero che vi sono aspetti criticabili, ad esempio il prezzo economico (solo l’opuscolo è costato ai contribuenti circa 150’000 franchi, invece degli abituali 60’000) o le difficoltà per informarsi. Tuttavia – afferma alla RSI – è il segno di “una democrazia dinamica e che funziona bene”.

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