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Monet e le ninfee, un’ossessione amorosa

Il film su Claude Monet (qui la sua opera "Le Parlement, coucher de soleil", 1904) è stato diretto da Giovanni Troilo KEYSTONE/GEORGIOS KEFALAS sda-ats

(Keystone-ATS) L’occhio prodigioso per catturare ogni forma e sfumatura di colore, la mano instancabile per trasferire sulla tela la delicata maestosità della natura, tra acqua e luce, fiori e cielo: il talento del padre dell’Impressionismo è al centro del film “Le ninfee di Monet”.

La pellicola, diretta dal regista e fotografo italiano Giovanni Troilo, si intitola per esteso “Le ninfee di Monet. Un incantesimo di acqua e luce”.

Attraverso la narratrice Elisa Lasowski e gli interventi dello scrittore Ross King, della fotografa Sanne De Wilde e della giardiniera della Fondation Monet Claire Hélène Marron, il film mescola fiction e immagini di repertorio per ricostruire la parabola artistica e umana dell’artista francese: la pittura come vita, la nascita dell’Impressionismo, la famiglia e il dolore per i lutti, l’amicizia con il primo ministro francese Georges Clemenceau che lo protesse e ne comprese la genialità, la malattia agli occhi, la sofferenza per la tragedia della prima guerra mondiale che prende corpo nei dipinti.

In particolare nel racconto emerge l’elemento che maggiormente caratterizzò la vita di Monet: la passione per il paesaggio circostante ben presto si trasformò nell’ossessione di rappresentare su ogni tela l’impalpabile bellezza dell’acqua, della luce e dell’aria. Monet dipingeva senza mai smettere, riproponendo soggetti ricorrenti, alberi, acqua, fiori e soprattutto ninfee. Per l’artista, che concepiva la natura non solo come soggetto privilegiato dei suoi quadri ma anche come strumento per dare voce al suo paesaggio interiore, questa sorta di sfida continua alla sua capacità di pittore divenne un tormento e una perenne forma di inquietudine.

Come in un viaggio, accompagnato dalla musica di Remo Anzovino, il film conduce lo spettatore attraverso i luoghi dell’artista: da Le Havre, che Monet lasciò a 19 anni portandosi dietro il suo mare, le scogliere e i paesaggi resi evanescenti dalla foschia (qui dipinse “Impression, soleil levant” da cui deriva il nome del movimento impressionista) a Giverny, la cittadina lungo la Senna dove poi creò il suo piccolo mondo di fiori e acqua da dipingere incessantemente, con il celebre stagno delle ninfee, fino a Parigi, nelle stanze dei musei che gli rendono onore (Musée Marmottan, Musée de l’Orangerie, Musée d’Orsay).

Mentre si succedono sullo schermo tanti dei capolavori dell’artista, il film infine si sofferma sulla sua ultima opera, la Grand Décoration. Dopo aver superato la depressione che lo aveva spinto a lasciare la pittura, Monet, ormai quasi cieco, riprese i pennelli per realizzare la sua impresa più colossale: pannelli enormi raffiguranti il suo stagno di ninfee, da destinare (disposti da est a ovest per seguire la luce) alle sale ovali del Musée de l’Orangerie, da lui stesso disegnate. L’opera venne mostrata nel maggio del 1927, all’inaugurazione del museo, ma non ebbe successo: Monet non lo seppe mai, perché morì cinque mesi prima.

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