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May strappa fiducia Tory e salva sua Brexit dal baratro

La premier britannica Theresa May KEYSTONE/EPA/WILL OLIVER sda-ats

(Keystone-ATS) La notte dei lunghi coltelli in casa Tory, preparata per settimane, si consuma in due ore. Ma i coltelli per ora sono spuntati.

Theresa May vince la sfida sulla mozione di sfiducia contro la sua leadership nel partito che minacciava di schiantarla nel pieno dell’arrampicata sugli specchi dell’ultimo sforzo negoziale sulla Brexit, a costo di precipitare nel caos l’iter di uscita del Regno dall’Ue e un Paese intero.

May ha commentato ribadendo l’impegno a condurre in porto “una Brexit che funzioni per tutti”. La premier s’è impegnata ad “ascoltare” anche la voce dei deputati che hanno votato contro di lei e di coloro che hanno espresso timori per il backstop sull’Irlanda del Nord nell’accordo di divorzio dall’Ue raggiunto con Bruxelles. Un punto sul quale ha ribadito di voler chiedere al Consiglio Europeo di domani ulteriori garanzie “legali”.

A tramare l’agguato era stata l’ala dei brexiteers ultrà – guidata dal rampante Jacob Rees-Mogg e dietro le quinte da Boris Johnson -, capace dopo mesi di manovre, minacce e preannunci di mettere infine insieme le 48 lettere necessarie di deputati favorevoli sfiducia, pari al quorum richiesto del 15% del gruppo parlamentare.

E a innescare la convocazione del voto da parte di Graham Brady, presidente del Comitato 1922, l’organismo che da quasi un secolo sovrintende alle spietate rese dei conti interne al Partito Conservatore.

Un voto segreto, affidato al giudizio senz’appello dei 317 membri Tories titolari oggi d’un seggio alla Camera dei Comuni (May compresa) che tuttavia non ha permesso loro di avvicinarsi al 50% più uno degli aventi diritto, ossia a quota 159.

Al contrario è stata May a incassare la conferma del sostegno di 200 colleghi, uno in più dei 199 che nel 2016 la portarono a succedere a David Cameron. Per quanto non vada sottovalutato il numero dei deputati ostili, ben 117: una spina del fianco che non smetterà facilmente di pungere, come avverte stasera stessa Rees-Mogg, evocando senza giri di parole un risultato “terribile per il primo ministro”

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