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Manchester: flop 007 sotto tiro, due inchieste sull’MI5

Fiori in omaggio delle vittime della strage di Manchester. KEYSTONE/AP PA/OWEN HUMPHREYS sda-ats

(Keystone-ATS) 007 licenza di sbagliare. La Gran Bretagna dopo la strage di Manchester si accorge, ammesso di considerarla una sorpresa, che nemmeno i servizi segreti di Sua Maestà sono infallibili: quelli veri, non quelli del cinema.

E così monta la polemica sulle falle attribuite a chi avrebbe forse potuto fermare per tempo Salman Abedi, 22enne britannico di origini libiche, figlio di vecchi oppositori islamici del colonnello Gheddafi, che una settimana fa si è fatto saltare come una bomba umana all’uscita del concerto di Ariana Grande, uccidendo 22 persone (tra cui sette bambini) e ferendone decine, oltre 60 delle quali tuttora ricoverate in ospedale.

L’MI5, l’intelligence interna del Regno, è stata costretta ad annunciare in fretta e furia due inchieste per chiarire come sia successo che diverse segnalazioni su Abedi fossero rimaste lettera morta. Inchieste da dare per ora in pasto all’opinione pubblica e che si affiancano all’indagine vera e propria sull’attentato di lunedì 22, sul “network terroristico” di complici o fiancheggiatori che si ritiene abbiano assistito il kamikaze, sulle schegge disperse della presunta cellula in grado, chissà, di agire ancora. Le persone detenute sono salite a 14, tutti uomini, dopo il fermo oggi d’un 23enne intercettato stavolta nel sud dell’Inghilterra, a centinaia di chilometri da Manchester, nella cittadina costiera di Shoreham-by-Sea.

Le denunce dei buchi imputati ai servizi si moltiplicano intanto da più parti. Si parla di almeno tre segnalazioni specifiche sulla pericolosità crescente di Salman cadute nel vuoto. E un ‘warning’ sarebbe arrivato addirittura dalla madre del giovane. Né mancano perplessità sull’efficacia del coordinamento a livello europeo e internazionale, Interpol compresa, se si considera il numero degli scali fatti qua e là da Salman Abedi, prima e dopo il suo ultimo soggiorno in Libia conclusosi con il ritorno a Manchester il 18 maggio: a 4 giorni dall’apocalisse.

La ministra dell’Interno, Amber Rudd, ha provato a respingere, o se non altro a ridimensionare, le accuse agli apparati di sicurezza in un’intervista alla Bbc, notando come il 22enne fosse inserito in realtà non nella lista dei circa 3000 sospettatati di prima fascia, sottoposti a “sorveglianza attiva” sull’isola, ma in quella dei 20’000 più genericamente indicati come potenziali simpatizzanti jihadisti. Ma perché fosse finito lì non lo ha spiegato: e il Guardian l’ha giudicata evasiva sui punti chiave della questione. Se non bastasse, il Times ha rincarato la dose rivelando che le ‘misure speciali’ introdotte dal governo conservatore nel 2015, sbandierate come necessarie per far fronte al ritorno dei cosiddetti foreign fighters, si siano risolte in un mezzo flop: usate una sola volta a dispetto della stima di non meno di 350 miliziani legati all’Isis rimpatriati da allora in Gran Bretagna da Siria o Iraq.

Gli aspetti imbarazzanti di questa vicenda non riguardano del resto solo il fronte interno. Come dimostra il fatto che l’MI6, l’intelligence estera, abbia spedito un team di agenti a Tripoli per ‘lavorare’ sul retroterra libico dell’attentatore: sul ruolo del fratello Hashem, nonché su quello del padre Ramadan, ex dissidente anti-Gheddafi protetto e ‘usato’ a lungo da Londra malgrado i legami qaedisti e finito ora agli arresti in Libia.

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