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Cina cresce ai minimi dal 1990, e ora l’incognita Trump

(Keystone-ATS) Tre trimestri di fila al 6,7% e l’ ultimo, ottobre-dicembre, al 6,8%: la Cina archivia il 2016 con il Pil a +6,7% e, pur se nella forchetta del 6,5-7% del governo, scivola al ritmo più basso dal 1990, meno del 6,9% del 2015.

Con l’export sotto pressione e in frenata (-7,7%), l’anno in corso presenta diverse incognite tra l’insediamento alla Casa Bianca di Donald Trump e il suo ventilato protezionismo, e una economia mondiale che stenta.

“Personalmente credo che Trump considererà le cose da una prospettiva di sviluppo benefico e reciproco per far avanzare la cooperazione tra le due maggiori economie”, ha commentato Ning Jizhe, a capo dell’Istat cinese (Nbs). “Con l’anti-globalizzazione e il protezionismo in salita sono aumentate le incertezze”, ha notato venerdì scorso Huang Songping, portavoce dell’Amministrazione delle Dogane, sul 2017.

La diffusione del Pil, nel giorno della cerimonia inuagurale di Trump (i mercati si sono mostrati timidi sul tycoon: +0,34% Tokyo, +0,66% Shanghai, +0,2% Parigi, +0,29% Francoforte, -0,06% Milano e -0,14% Londra), non ha riservato grandi sorprese se non l’allungo dell’ultimo trimestre che ha contribuito a risollevare i dubbi sulla credibilità dei dati macroeconomici. Pochi giorni fa la provincia di Liaoning ha ammesso di aver truccato per anni le statistiche dal 2011 al 2014, fino a contee e villaggi.

Lo stesso Ning è intervenuto a rassicurare che le rilevazioni nazionali sono “autentiche e affidabili”. Le perplessità però restano: ad esempio, quando il terzo 6,7% era dato per scontato, alcuni funzionari cinesi hanno convocato i capi economisti di primarie banche d’affari – in base a quanto appreso dall’agenzia di stampa italiana ANSA da fonti autorevoli – allo scopo di illustrare come da “ingredienti diversi (le voci del Pil sono risultate anche divergenti da un trimestre all’altro) si arrivasse allo stesso risultato”.

La seconda economia del pianeta, in fase di transizione da export e investimenti verso servizi (saliti al 51,6% del Pil, +1,4%) e consumi, ha rallentato il passo. Pechino ha puntato su investimenti e iniezioni di credito facendo alzare lo stock del debito generale e gettando le basi di focolai di instabilità.

Nel 2016 i consumi sono scesi a +9,6%, dal +10,6% del 2015, pur con uno scorcio finale in accelerazione (+10,9% a dicembre): l’economia si è attestata su “assetti moderati ancora stabili e solidi”, positivi per l’avvio del piano quinquennale al 2020, ha rilevato l’Ufficio di statistica. Gli investimenti fissi, tra cui la spesa infrastrutturale, sono saliti dell’8,1%, mentre la componente immobiliare ha visto un balzo del 6,9%, dall’1% del 2015: la spinta viene da spesa pubblica e settore immobiliare.

A metà dicembre, malgrado il rialzo dell’indebitamento, la conferenza strategica annuale a porte chiuse della leadership cinese ha fissato la stabilità economica come priorità del 2017. In autunno il Partito comunista celebrerà il suo 19/mo congresso che porterà la “sesta generazione” ai vertici, oltre che dare l’avvio al secondo mandato del presidente Xi Jinping.

Le sfide non mancano: il Fmi ha portato al 6,5%, rialzandole dello 0,3%, le stime di crescita 2017 citando il pacchetto di stimoli governativi e mettendo in guardia dal rischio del balzo dell’indebitamento. Al fine di centrare la “nuova normalità” lanciata da Xi e basata su “una società moderatamente prospera”, Pil e introiti pro capite (+6,3% in 2016, a 3.469 dollari) del 2010 dovrebbero raddoppiare al 2020: obiettivo che presuppone la crescita minima media del 6,5% nel quinquennio 2016-2020.

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