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Tecnologia di punta per lottare contro la tubercolosi

Grazie al nuovo laboratorio, il Politecnico di Losana spera di poter accelerare la ricerca contro la tubercolosi Keystone

Ogni anno due milioni di persone muoiono a causa del 'mal sottile'. La speranza di debellare la tubercolosi è ancora lontana e l'apparizione di ceppi ultraresistenti preoccupa. Il Politecnico federale di Losanna è in prima linea nella ricerca sulla malattia.

Chi non ha mai visto in vita sua una vecchia fotografia di un sanatorio, con decine di pazienti tisici sdraiati sui lettini allineati lungo le ampie terrazze? Nei paesi occidentali, la tubercolosi (TB) è una malattia che appartiene – o meglio sembra appartenere – a un lontano passato.

Eppure di tubercolosi si continua a morire. Anzi, dopo un lungo periodo durante il quale si era pensato di poter riuscire a debellare questa malattia infettiva, da qualche anno l’epidemia ha fatto registrare una forte progressione, in particolare nei paesi con un alto tasso di persone contaminate dal virus HIV. La propagazione dell’infezione ha costretto l’Organizzazione mondiale della sanità a dichiarare la TB un’emergenza sanitaria.

Ogni anno circa 8 milioni di persone si ammalano dopo aver contratto il bacillo di Koch, responsabile della tubercolosi, e due milioni perdono la vita. “In Sudafrica, ad esempio, durante il periodo dei campionati del mondo, circa 13’000 persone moriranno a causa della tubercolosi”, sottolinea Stewart Cole, direttore del Global Health Institute del Politecnico federale di Losanna.

L’epidemia non concerne solo i paesi più poveri. In Gran Bretagna, ad esempio, il numero di casi è risalito negli ultimi anni, passando dai 5’000 del 1987 ai 7’600 del 2005. Il rischio di vedere questa malattia riapparire con forza in tutte le regioni del mondo non deve essere sottovalutato, tanto più che esiste una correlazione con le crisi economiche, come dimostrato da quanto accaduto in Russia negli anni ’90, dopo il crollo dell’Unione Sovietica.

Un’associazione letale

Il virus HIV e la tubercolosi costituiscono un’associazione particolarmente letale. Un sieropositivo, le cui difese immunitarie sono indebolite, rischia molto più facilmente di sviluppare la tubercolosi rispetto a una persona sieronegativa.

Il 13% circa dei decessi tra i malati di AIDS sono causati proprio dalla tubercolosi. “Questa malattia rischia di annientare tutti i progressi che sono stati compiuti nel trattamento dell’AIDS”, osserva Stewart Cole.

Inoltre, l’apparizione di ceppi ultra-resistenti fa sì che gli antibiotici e i farmaci chemio-terapeutici attualmente disponibili (in particolare rifampicina, isoniazide, etambutolo e streptomicina) perdano ogni efficacia. “È da più di 40 anni che utilizziamo gli stessi medicinali”, deplora Cole.

Nuovo laboratorio all’EPFL

Una svolta potrebbe arrivare proprio dal Politecnico federale di Losanna (EPFL), che appena una settimana fa ha inaugurato un nuovo laboratorio con un livello di biosicurezza 3 (su una scala di 4) per lo studio degli aeropatogeni, in particolare il bacillo di Koch.

Con una superficie di circa 100 metri quadrati, “è uno dei più grandi in Europa”, si rallegra il direttore del Global Health Institute.

“Oggi per studiare le malattie infettive è indispensabile una tecnologia di punta, sviluppata secondo un approccio pluridisciplinare. È in quest’ottica che nel 2006 abbiamo creato il Global Health Institute”, spiega Didier Trono, decano della facoltà di scienze della vita.

Microfluidi

Particolarmente promettente è la tecnologia dei microfluidi, sviluppata in collaborazione con altri istituti dell’EPFL, ad esempio quello di microtecnica.

Il bacillo di Koch è caratterizzato da una crescita molto lenta (si replica ogni 24 ore) e per questa ragione è molto difficile osservarne l’evoluzione coi tradizionali vetrini e pipette da laboratorio.

Il nuovo dispositivo utilizzato dall’EPFL, unico al mondo, permette invece di filmare individualmente e per diversi mesi migliaia di bacilli, grazie a un chip in silicone. Il chip contiene circa mille ‘micropozzi’ dove vanno ad alloggiarsi i bacilli, e una rete di canali altrettanto microscopici che, aprendo e chiudendo delle valvole, permette di alimentare e iniettare farmaci specifici nei singoli ‘pozzi’.

Ogni 15 minuti una fotocamera riprende un’immagine di ognuno di questi ‘pozzi’, ciò che consente di analizzare l’evoluzione sul lungo termine del bacillo e la sua reazione ai farmaci.

Nuove piste

“Normalmente gli antibiotici utilizzati oggi uccidono circa il 90-95% dei batteri nei primi due mesi. Per quelli che restano ci vogliono invece altri 5-6 mesi”, spiega Neeraj Dhar, ricercatore al laboratorio di batteriologia del Global Health Institute. Un problema tutt’altro che secondario, ad esempio perché spesso le persone ammalate di tubercolosi smettono il trattamento dopo un paio di mesi, credendo di essere guarite. “Ciò favorisce la comparsa di ceppi resistenti agli antibiotici”, sottolinea Dhar.

“Finora si pensava che i batteri che non morivano erano quelli che non crescevano più o crescevano molto lentamente”, continua il ricercatore. “Grazie alle nostre immagini, abbiamo potuto invalidare questa ipotesi e aprire nuove piste per capire come mai dopo qualche settimana la distruzione dei bacilli rallenta”.

I ricercatori del Politecnico di Losanna sono inoltre riusciti a mettere a punto una molecola che indebolisce la struttura della parete cellulare del bacillo, particolarmente complessa e resistente. I test clinici dovrebbero iniziare prossimamente. Dopo quarant’anni, la lotta contro la tubercolosi potrebbe conoscere un nuovo importante sussulto.

Daniele Mariani, swissinfo.ch


Ogni anno il 24 marzo si celebra la giornata mondiale della lotta alla tubercolosi, in ricordo del 24 marzo 1882 quando il ricercatore Robert Koch presentò per la prima volta la scoperta del bacillo responsabile dell’infezione.

L’infezione si trasmette per vie aeree e attacca comunemente i polmoni, ma può anche colpire l’intestino, il sistema nervoso, l’apparato circolatorio, le ossa, il sistema linfatico, le articolazioni e la pelle.

Per lottare contro la malattia, nel 2000 è stato fondato il Partenariato Stop alla tubercolosi, che riunisce oltre 400 organizzazioni internazionali, Stati e donatori pubblici e privati.

Il Piano mondiale Stop alla tubercolosi 2006-2015 si prefigge di invertire la tendenza attuale (la malattia infatti progredisce) entro appunto il 2015. In particolare si tratta di mettere a punto nuovi test diagnostici e nuovi farmaci, capaci di permettere una guarigione in 1-2 mesi. Con i medicinali utilizzati attualmente, per guarire è necessario sottoporsi a un trattamento durante 6-8 mesi. Inoltre l’insorgenza di ceppi multiresistenti ha reso il batterio molto più pericoloso.

Secondo l’Organizzazione mondiale della sanità, circa un terzo della popolazione mondiale è infettata dal bacillo della tubercolosi.

Solo il 5-10% delle persone che hanno contratto il batterio sviluppano la malattia o diventano contagiose nel corso della loro vita.

Ogni anno la tubercolosi provoca la morte di 2 milioni di persone; i nuovi casi sono circa 9 milioni. Nel 2007 i bacilli multiresistenti erano all’origine di circa 500’000 casi. Lo stesso anno, 1,37 milioni di nuovi casi di tubercolosi erano stati registrati tra persone affette dal virus HIV.

Le regioni più colpite sono il sud-est asiatico (33% circa dei casi). I tassi più elevati per rapporto alla popolazione si ritrovano però nell’Africa australe, con 400 casi ogni 100’000 abitanti.

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