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Segnali di disgelo nella vertenza fiscale

Negli ultimi giorni diversi partiti italiani hanno fatto pressione su Mario Monti per chiedere un accordo fiscale con la Svizzera Keystone

Mario Monti ha ventilato, per la prima volta, la possibilità di negoziare un accordo fiscale con la Svizzera. Nella Penisola si spera di veder affluire da 30 a 40 miliardi di euro. In Svizzera, le dichiarazioni del premier italiano suscitano però un certo scetticismo.

Dopo anni di attesa, qualcosa si muove, forse, nella vertenza fiscale tra Roma e Berna. Qualcosa si muove da parte italiana: martedì Mario Monti ha parlato, per la prima volta, di “un eventuale ripresa” dei negoziati su una convenzione fiscale, a condizione che la Svizzera “rispetti gli accordi vigenti”.

Per il presidente del Consiglio italiano, il governo elvetico deve dapprima ripristinare l’applicazione del trattato sui frontalieri, sospeso unilateralmente dal Canton Ticino. L’anno scorso, le autorità ticinesi avevano infatti deciso di versare ai comuni italiani di confine soltanto la metà delle imposte alla fonte percepite sui redditi dei frontalieri. Questa decisione aveva fatto seguito ad una serie di misure adottate da Roma contro la Svizzera.

Nel 2009, sotto la spinta dell’ex ministro dell’economia Giulio Tremonti, il governo italiano aveva, tra l’altro, inserito la Confederazione nella lista nera dei paesi non cooperativi in materia fiscale. Una misura che pregiudica da allora non solo le attività delle banche svizzere, ma anche di diverse altre aziende elvetiche in Italia.

Negoziati congelati

Nonostante le continue rassicurazioni fornite nell’ambito di incontri con i ministri svizzeri, il governo di Berlusconi aveva, in pratica, congelato l’avvio di trattative con Berna per risolvere il contenzioso. Per Tremonti, un accordo doveva essere negoziato soltanto a livello di Commissione europea e la Svizzera avrebbe dovuto dapprima accettare lo scambio automatico d’informazioni sui conti bancari.

“La posizione del governo italiano era stata finora quella di chiedere troppo, in modo da non ottenere niente e poter così proteggere migliaia di grandi evasori fiscali, tra cui probabilmente diversi clienti dello studio legale dello stesso Tremonti”, dichiara Claudio Micheloni, senatore del Partito democratico eletto sulla lista europea, che da oltre un anno si batte in Parlamento per una ripresa delle trattative.

Anche il nuovo governo italiano non aveva voluto finora cercare una soluzione negoziata. Alcuni eventi delle ultime settimane sembrano però aver spinto Mario Monti a cambiare idea: la Svizzera ha firmato accordi fiscali con Gran Bretagna, Germania e Austria, che dovrebbero permettere a questi paesi di recuperare diversi miliardi di euro nascosti dai loro cittadini nelle banche elvetiche.

Aspettative esagerate

Gli accordi hanno inoltre ottenuto il beneplacito della Commissione europea, finora contraria a soluzioni bilaterali di questo tipo. “Ora il governo italiano non più trincerarsi dietro la richiesta di una soluzione a livello di Commissione europea”, rileva Claudio Micheloni, che mercoledì ha presentato un’interrogazione in parlamento, in cui chiede l’apertura immediata di negoziati con Berna e la cancellazione della Svizzera dalla lista nera.

Negli ultimi giorni, quasi tutti i partiti italiani si sono schierati in favore di un accordo fiscale. Invece di continuare a imporre piani di risparmi e sacrifici agli italiani, il governo dovrebbe “andare a prendere quei 40 miliardi di euro, che entrerebbero nelle casse dello Stato, se firmassimo anche noi un accordo con la Svizzera, come Germania, Gran Bretagna e Austria”, ha dichiarato il leader di Italia dei Valori Antonio Di Pietro.

Da parte italiana si spera di recuperare da 30 a 40 miliardi euro dei patrimoni evasi in Svizzera. Aspettative esagerate, secondo Claudio Micheloni. “Esigendo troppo, si rischia soltanto di far sfuggire gli evasori fiscali verso altre piazze finanziarie e quindi di danneggiare l’erario italiano e le banche svizzere. Da parte mia, mi aspetto qualcosa sui 15 miliardi per la regolarizzazione del passato e poi un miliardo all’anno per il futuro”.

Ottimismo prudente

Nessun commento finora da parte del governo svizzero alle dichiarazioni di Monti. Siamo in contatto con le autorità italiane, ma fino a quando non vi sarà qualcosa di concreto, non possiamo fornire nuove informazioni, indica la Segreteria di Stato per le questioni finanziarie internazionali. Tra i parlamentari, le possibili aperture del premier italiano suscitano ottimismo prudente, per non dire scetticismo.

“In Italia, gli ultimi governi hanno già cambiato più volte la loro posizione. Lo stesso Monti si era finora espresso categoricamente contro una convenzione fiscale bilaterale. E anche se vi fosse veramente la volontà di giungere ad un accordo, bisogna ancora vedere a quali condizioni”, dichiara Lorenzo Quadri, deputato della Lega dei ticinesi, il partito che aveva promosso il blocco dei ristorni delle trattenute fiscali prelevate sui frontalieri.

“I ristorni non si sbloccano fino a quando la Svizzera non viene cancellata dalla lista nera italiana. Altrimenti faremmo ancora una volta la nostra parte, accontentandoci di promesse da parte italiana, come già spesso in passato. L’accordo sui frontalieri va inoltre rinegoziato: il tasso attuale dei ristorni, pari al 38,8%, va ridotto al livello di quello applicato per l’Austria, ossia al 12,5%”, aggiunge Quadri.

Cauta anche la reazione di Ignazio Cassis, deputato liberale radicale: “Credo che si possa avere più fiducia nel nuovo governo italiano, che ha mostrato finora un altro stile. Se Monti vuole però avviare veramente delle trattative, non ha che da scrivere una lettera d’intenti e saremo disposti a metterci al tavolo delle trattative per raggiungere un accordo, sul modello di quello concluso con altri paesi”.

Resistenze in Svizzera

Questi accordi non sollevano però consensi unanimi in Svizzera. Mercoledì, il gruppo parlamentare dell’Unione democratica di centro ha annunciato che si opporrà alle convenzioni fiscali firmate con la Germania e la Gran Bretagna. Secondo il partito di destra, indeboliscono soltanto la piazza finanziaria svizzera.

A sinistra, il Partito socialista vuole approvare gli accordi, solo se il governo presenterà dapprima una strategia chiara per rendere più trasparente la piazza finanziaria e costringere le banche ad accettare esclusivamente denaro dichiarato al fisco.

“Con questi accordi si sta cercando in Svizzera di resistere allo scambio automatico d’informazioni, che è stato ormai adottato come paradigma internazionale, sia dal G20 che dall’Unione europea e dall’OCSE. La Svizzera farebbe quindi meglio a passare direttamente allo scambio automatico, per non compromettere ulteriormente l’immagine della sua piazza finanziaria e ritrovarsi di nuovo sulla difensiva tra pochi anni”, afferma il deputato socialista Carlo Sommaruga.

Nel 2009, il governo italiano ha inserito la Svizzera nella lista nera dei paesi non cooperativi in materia fiscale e ha congelato le trattative in vista di un nuovo accordo sulla doppia imposizione fiscale.

Sempre nello stesso anno, settantasei filiali di banche elvetiche e di uffici bancari collegati a intermediari svizzeri in Italia sono stati perquisiti dalle Guardie di finanza in una retata senza precedenti.

Le autorità italiane hanno inoltre istallato telecamere ai posti di frontiera per sorvegliare il traffico di denaro e hanno inviato agenti in incognito nel canton Ticino per controllare i clienti italiani delle banche svizzere.

In seguito a queste misure, nel 2011 il Canton Ticino ha deciso di bloccare la metà dei ristorni delle imposte alla fonte prelevate sui frontalieri. Fino all’anno scorso, le autorità ticinesi riversavano ai Comuni italiani di confine il 38,8% delle trattenute fiscali.

La vertenza fiscale ha incrinato negli ultimi anni i rapporti tra i due paesi. Secondo la televisione svizzera RSI, il presidente della Repubblica italiana Giorgio Napolitano ha rinunciato tre mesi fa ad un visita in Svizzera, finché non verranno intavolate trattative e saranno riconsegnati i ristorni dei frontalieri bloccati.

Tra il 20 marzo e il 13 aprile, la Svizzera ha firmato con Gran Bretagna, Germania e Austria tre nuove convenzioni sulla collaborazione in ambito di fiscalità e mercati finanziari.

In base a tali accordi, denominati Rubik, Berna si impegna a riversare a questi paesi un’imposta alla fonte con effetto liberatorio per regolarizzare il passato. L’imposta viene prelevata dagli averi depositati nelle banche svizzere dai cittadini dei tre paesi.

Per la Germania e la Gran Bretagna, l’aliquota applicata oscilla tra il 21 e il 41% del valore patrimoniale, a seconda della durata della relazione bancaria e dell’ammontare del patrimonio. Per l’Austria tra il 15 e il 38%.

A partire dall’entrata in vigore della convenzione, la Svizzera riverserà inoltre ogni anno un’imposta alla fonte pari al 26% dei redditi da capitale alla Germania, del 27 – 48% alla Gran Bretagna e del 25% all’Austria.

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