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Sudan: giunta militare e civili si spartiscono il potere

In Sudan i militari e la coalizione della società civile hanno firmato oggi un accordo di condivisione del potere, per porre fine alla crisi che da dicembre ha insanguinato il Paese. È un "momento storico", ha commentato Mohamed Hamdan Dagalo (al centro), il generale numero due della giunta. KEYSTONE/AP/MAHMOUD HJAJ sda-ats

(Keystone-ATS) In Sudan è stato fatto un significativo passo in direzione della pace: la giunta militare e la coalizione di forze della società civile hanno firmato oggi un accordo di condivisione del potere, per porre fine alla crisi che da dicembre ha insanguinato il Paese.

L’accordo rappresenta in particolare un passo chiave verso la transizione del Paese verso la democrazia, dopo ripetute violenze e proteste di piazza che lo scorso aprile hanno infine spinto i militari a destituire l’autocrate Omar al-Bashir, rimasto per oltre vent’anni alla guida al potere.

Il documento firmato questa mattina a Khartum mette nero su bianco, con il sigillo dell’ufficialità, una intesa raggiunta il 5 luglio, e stabilisce la creazione di un “consiglio sovrano” congiunto, che governerà il Paese per tre anni e tre mesi e che sarà composto da cinque militari e cinque civili. Simbolo del compromesso è una undicesima poltrona, che andrà a un civile, ma con un background militare.

Allo stesso tempo, il Paese verrà condotto vero elezioni democratiche, da tenersi al termine dei tre anni e tre mesi. Un leader militare guiderà il consiglio per i primi 21 mesi, poi passerà il testimone ad un civile, per i successivi 18.

A dimostrazione delle forti tensioni, una precedente tornata negoziale era naufragata il 3 giugno scorso, quando le forze di sicurezza avevano sgomberato, uccidendo 130 persone – anche se le autorità ammettono 61 morti – il sit-in che da giorni esercitava una forte pressione sulle trattative, davanti al quartier generale delle forze armate nella capitale, Khartum.

È un “momento storico” per il Paese, ha commentato Mohamed oggi Hamdan Dagalo, il generale numero due della giunta. Il movimento pro-democrazia aveva già il 5 luglio rivendicato il raggiungimento dell’accordo come una propria “vittoria”.

Restano però ancora diversi nodi da sciogliere. Il movimento pro-democrazia deve ora nominare un esecutivo, e con la giunta deve concordare un organo legislativo, entro tre mesi dall’inizio della transizione. Prima, le due parti devono stabilire una divisione dei poteri tra il consiglio sovrano, l’esecutivo e il potere legislativo.

Il tutto deve essere sancito in un documento costituzionale. Un documento che le parti sperano di adottare nei colloqui in programma per venerdì, e che deve comprendere anche i termini di una “immunità potenziale” dall’azione penale per i leader militari.

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