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“Non bisogna per forza fare di un’idea un film”

Laureata in cinema, Seraina Rohrer ha ripreso le redini del festival di Soletta nel 2012. Keystone

Il cinema svizzero dovrebbe essere più selettivo e sostenere di più i suoi talenti: è l’opinione di Seraina Rohrer, da sei anni alla testa del festival di Soletta. Energica e disinvolta, la 39enne difende l’idea di una Svizzera aperta sul mondo, come il suo cinema.

swissinfo.ch: In quanto vetrina del cinema svizzero, il festival di Soletta è una sorta di specchio della società. Cosa ci dice l’edizione di quest’anno sul nostro paese e sul mondo che ci circonda? 

BIO EXPRESS

Nata nel 1977 nel cantone di canton Zurigo, Seraina Rohrer ha studiato cinema e pubblicistica all’università di Zurigo.

Per diversi anni ha viaggiato tra Stati Uniti e Messico per la sua tesi di dottorato sulle produzioni transnazionali con piccoli budget.

Ex responsabile dell’ufficio stampa del Festival Locarno, Seraina Rohrer è stata tra l’altro una delle promotrici del progetto “Réseau Cinéma CH”.

Nel 2012 ha ripreso le redini delle Giornate cinematografiche di SolettaCollegamento esterno. È la prima donna alla guida del festival.

Seraina Rohrer: È vero, i film presentati a Soletta sono uno specchio della società che ci circonda, ma non solo. Rappresentano anche un motore, perché mettono il dito là dove fa male e affrontano tematiche globali che spesso vengono ignorate. 

Il filo conduttore di questa edizione è senza dubbio il forte interesse dei registi svizzeri per l’«altrove». Come a ricordarci che la Svizzera non si ferma alle sue frontiere. La forza di questi cineasti sta nella loro capacità di osservazione e di analisi del mondo, fondamentali in un’epoca in cui si ha tendenza a non guardare più in là del proprio naso.

I film dipingono un mondo segnato da tensioni e cambiamenti, e da persone alla ricerca di un significato da dare a tutto ciò, a partire dai personaggi fino agli stessi registi.

swissinfo.ch: Questo interesse per l’altro non è un aspetto nuovo del cinema svizzero. D’altronde quest’anno il festival presenta una selezione di film della prima metà del Novecento intitolata proprio “Viaggio lontano dal paese”. 

S.R.: In un certo senso fa parte del DNA del cinema svizzero. Già negli anni Trenta alcuni registi sono partiti alla scoperta dell’Africa o dell’Himalaya. 

Oggi però l’approccio è diverso. A spingere i cineasti è la voglia di comprendere il mondo, mentre negli anni ’30-’50 era più che altro una ricerca dell’esotico, in uno spirito di contrapposizione tra «noi» e «loro». Oggi la Svizzera è utilizzata come un terreno neutrale per interrogare il mondo, non più come un modello col quale confrontarsi.

swissinfo.ch: Tra i giovani cineasti attivi in Svizzera, molti sono immigrati di prima o di seconda generazione. In che modo il loro sguardo influenza il cinema svizzero?

S.R.: La Svizzera è sempre stata un paese d’immigrazione e su questo ha costruito la sua prosperità. Trovo vergognoso definire registi come Mano Khalil, Andrea Staka o Esen Isik «stranieri» perché sono nati all’estero o non hanno il passaporto elvetico. Sono le nostre star a livello internazionale e i loro film hanno lasciato un segno nella storia del cinema svizzero. Dal mio punto di vista questi registi sono svizzeri, così come i loro film. 

Detto ciò, è chiaro che hanno influenzato l’evoluzione del cinema elvetico, hanno contribuito alla sua diversità e apertura sul mondo. Raccontiamo prima di tutto ciò che conosciamo e la nascita di un film è spesso legata alle nostre esperienze personali.

swissinfo.ch: Sui dieci lungometraggi in concorso quest’anno, otto sono documentari: è l’espressione della forza dei documentari svizzeri o forse della debolezza dei film di finzione?

S.R.: Testimonia senza dubbio il grande valore dei documentari, che fanno la forza del cinema svizzero. L’anno scorso pellicole come “Raving IranCollegamento esterno“, di Susanne Regina Meures, o “Europe, she lovesCollegamento esterno“, di Jan Gassmann, hanno fatto il giro del mondo.

C’è però da dire che la competizione mette l’accento sui film che raccontano qualcosa della nostra società e in questo senso è più facile che siano dei documentari che dei film di finzione. 

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swissinfo.ch: A parte qualche rara eccezione, i film svizzeri faticano a varcare le frontiere. Come andrebbe affrontato il problema?

S.R.:  I film eccellenti non hanno alcuna difficoltà a farsi conoscere all’estero. Vengono presentati nei festival e spesso ottengono dei riconoscimenti. Il problema è che poi non escono nelle sale o ci restano troppo poco. Da quando la Svizzera è stata esclusa dal programma MEDIA [oggi “Europa creativa”] è sempre più difficile per i film svizzeri ritagliarsi uno spazio sul mercato europeo. Bisognerebbe dunque fare in modo di poter tornare a fare parte di questa rete.

swissinfo.ch: Il festival dedica quest’anno una giornata all’educazione all’immagine. Contrariamente ai paesi dell’Unione europea, la Svizzera non ha ancora istituzionalizzato una formazione ad hoc per i giovani. Ma è davvero necessaria?

S.R.:  Certo! I giovani sanno analizzare una poesia, ma spesso non hanno gli strumenti per analizzare il cinema, per capire cosa sta dietro alla scelta di un’immagine o di un suono. La Svizzera è in ritardo e dovrebbe fare di più. Ne va della sua democrazia!

Oggi la stragrande maggioranza dei prodotti consumati dai giovani è di tipo audiovisivo: a partire dagli smartphone fino ai videoclip o alle serie. Eppure non vengono sensibilizzati al valore di queste immagini; le consumano senza interrogarsi sulla loro provenienza.

Il rischio è di avere una società priva di spirito critico, in un paese dove il popolo è chiamato ad esprimersi regolarmente e dove i media tradizionali hanno sempre minor influenza, perché le redazioni chiudono e le notizie arrivano da internet. 

swissinfo.ch: Negli ultimi anni il festival di Soletta ha messo un forte accento sulle nuove generazioni. Cosa si sente di dire ai giovani registi?

S.R.: Per fare cinema bisogna sapersi battere, e questo vale per i giovani e per i meno giovani. Non bisogna lasciarsi andare alla prima delusione, al primo finanziamento negato. Fa parte del gioco e bisogna saperci convivere. 

swissinfo.ch: Ci sono forse troppi registi per un mercato piccolo come quello svizzero?

S.R.: Non credo, anche perché molti di loro lavorano anche nel campo della pubblicità o per la televisione. La domanda è un’altra: siamo sicuri che tutti i film meritino di essere realizzati? Personalmente ritengo che non si debba fare di ogni idea un film, anche se ciò implica deludere un certo numero di persone. Ciò permetterebbe anche di dare maggior visibilità ai film svizzeri e magari di facilitare la loro uscita nelle sale.

swissinfo.ch: Edizione numero 52: qual è il colpo di fulmine di Seraina Rohrer?

S.R.: Sicuramente il film d’apertura: “Die göttliche Ordnung”. Petra Volpe è una regista piena di talento. Ha saputo raccontare con tono leggero la battaglia per l’introduzione del diritto di voto alle donne. Un film riuscitissimo! 

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SOLETTA 2017

La 52esima edizione delle Giornate di Soletta si svolge dal 19 al 26 gennaio 2017. Dieci le pellicole in corsa per il “Prix de Soleure”:

  • “ALMOST THERE” di Jacqueline Zünd, documentario
  • CAHIER AFRICAIN” di Heidi Specogna, documentario
  • “DIE GÖTTLICHE ORDNUNG” di Petra Volpe, finzione
  • “DOUBLE PEINE” di Léa Pool, documentario
  • “I AM TRULY A DROP OF SUN ON EARTH” di Elene Naveriani, finzione
  • “IMPASSE” di Elise Shubs, documentario
  • “LA VALLÉE DU SEL” di Christophe M. Saber, documentario
  • “MIRR” di Mehdi Sahebi, documentario
  • “RUE DE BLAMAGE” di Aldo Gugolz, documentario
  • WEG VOM FENSTER – Leben nach dem Burnout di Sören Senn, documentario 

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