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Stipendi d’oro ai sindacalisti, paghe da fame ai lavoratori

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di Aldo Sofia

Stipendi che sfiorano i 300 mila euro lordi all’anno. Più del presidente americano Obama, più di quello italiano Mattarella, più di quanto possano incassare oggi i manager pubblici, ai quali è stato quantomeno imposto un tetto massimo di 240 mila. Stipendi d’oro, e pensioni parimenti lucrose, che per anni, e nel silenzio (o connivenza) generale, finivano nelle tasche di alcuni dirigenti del sindacato “cattolico”, la CISL. Non soldi pubblici. Ma di lavoratori la cui retribuzione spesso non supera di molto i mille euro al mese, e che di media versano l’un per cento del loro stipendio per farsi rappresentare e difendere. Ora, chissà se e con quale stato d’animo gli iscritti continueranno a garantire il loro contributo, che è servito a una parte della leadership sindacale per portarsi a casa almeno dieci di volte di più dei propri iscritti.

Ci voleva un piccolo rappresentante locale della stessa organizzazione, Fausto Scandola (nomen omen, nel nome il proprio destino) per sollevare lo scandalo (e per essere fulmineamente licenziato). Del resto questa storiaccia era nell’aria da tempo. Da quando, quasi un anno fa, il segretario generale Fausto Bonanni annunciò di voler lasciare con anticipo e con largo anticipo. “E’ necessario un segno di rinnovamento”, disse il dimissionario. Stanchezza? Delusione per una mancata nomina governativa? Troppe faide interne? Per la verità, fu un’uscita di scena tra i veleni. Anche perché era emerso che prima dell’inattesa decisione, il leader sindacale (da oltre 300 mila all’anno) più conciliante con la politica berlusconiana sul lavoro, si era aumentano lo stipendio per beneficiare di una rendita pensionistica nettamente migliore.

La difesa è sempre la stessa. Nessuno sapeva, adesso tutto cambierà, e sarà il trionfo di una corretta gestione. Sarebbe il minimo. Colpevoli? Nessuno. Del resto sono trascorsi otto anni da quando un’inchiesta del settimanale L’Espresso – certo non pregiudizialmente prevenuto nei confronti del mondo sindacale – denunciò privilegi e scarsa trasparenza della “triade” (le tre principali organizzazioni sindacali), definendola “L’altra Casta”: mega fatturati, sterminato patrimonio immobiliare, bilanci tenuti segreti, in totale quasi 20 mila dipendenti. Come dire, l’ottava azienda privata della Penisola. Secondo un esperto, Giuliano Cazzola, anch’egli proveniente dall’esperienza sindacale, un comparto da un miliardo all’anno.

Non stupisce che Renzi -. costantemente alla ricerca di bersagli da offrire ad un’opinione pubblica sempre più irritata dai privilegi della Prima e della Seconda Repubblica – cerchi di rottamare il vecchio sindacalismo, seguendo l’esempio inglese della Thatcher e di Tony Blair, il suo ispiratore. Non è affatto detto che ci riesca. Le mobilitazioni contro il jobs act e la riforma renziana della scuola (per quanto infruttuose) hanno dimostrato che i sindacati italiani sanno ancora riempire le strade. Ma lo scandalo degli stipendi d’oro incoraggerà il premier a insistere nel martellamento. Mentre al Sud, nel mondo agricolo del peggior sfruttamento, quattro braccianti (due africani, un romeno e un’italiana) sono morti sul lavoro, nelle lande pugliesi. Stroncati dalla canicola, da giornate di 12 ore piegati sui campi, da salari da miseria (3 euro all’ora per i clandestini), da un caporalato banditesco. E dall’indifferenza generale.

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