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“Prima i nostri”, cosa succede ora

Frontalieri in piazza a Lavena Ponte Tresa Ti-press

Cosa dice e quando potrà essere attuata l'iniziativa ticinese "anti frontalieri"

L’approvazione –peraltro abbastanza prevedibile- dell’iniziativa popolare (non un referendum, che è solo abrogativo) “prima i nostri” sta provocando grande scalpore, reazioni e contro reazioni sia a livello politico (da Roberto Maroni a Jean Claude Juncker), sia a livello popolare, con scontri anche accesi fra frontalieri e ticinesi.

Una situazione che purtroppo sta creando un clima negativo e che per molti versi è basata su informazioni non approfondite per non dire sbagliate.

Cosa dice “Prima i nostri”

In sostanza l’iniziativaCollegamento esterno promossa dall’Unione Democratica di centro (destra) e approvata dal popolo introduce delle aggiunte aggiunte alla Costituzione cantonale. Due gli aspetti principali:

  • “Il Cantone (…) vigila che i trattati internazionali conclusi dalla Confederazione e le leggi straniere da questi eventualmente richiamate siano applicati senza ledere i diritti individuali e sociali di chi vive sul suo territorio e nel pieno rispetto del criterio di reciprocità fra Stati.”
  • “Il Cantone (…) provvede affinché sul mercato del lavoro venga privilegiato a pari qualifiche professionali chi vive sul suo territorio per rapporto a chi proviene dall’estero (attuazione del principio di preferenza agli svizzeri)”

Non si tratta quindi di un “no agli stranieri”, ma di privilegiare –a parità di qualifiche- chi vive in Ticino (335’000 abitanti di cui il 90’000 stranieriCollegamento esterno).

Dire che il Ticino non vuole frontalieri, o che “vuole bloccare l’ingresso ai lavoratori lombardi” -come affermato dal presidente della Regione Lombardia Roberto Maroni- è quantomeno un’esagerazione.

Perché è stata approvata

Il Ticino è una minuscola realtà alle prese con l’enorme mercato del lavoro italiano. Attualmente accoglie 60’000 lavoratori frontalieri, che è come dire che 1 persona su 6 è un frontaliere. Inoltre nel cantone si sta registrando un aumento della disoccupazione, e un calo degli stipendi a fronte di un costo della vita in aumento.

Ed è proprio il costo della vita (molto più basso in Italia) il nocciolo della questione. Esso permette a chi vive in Italia e lavora in Svizzera, di accontentarsi di salari molto inferiori rispetto a chi è domiciliato in Ticino.

Al tempo stesso, le strutture, la sicurezza politica e gli sgravi fiscali concessi hanno attratto in Ticino molte aziende italiane che in buona sostanza possono qui trovare “l’uovo e la gallina”: un substrato eccellente per gli imprenditori, possibilità di esportare in tutta Europa, e mano d’opera qualificata a basso costo da oltre frontiera.

Vi sono stati casi anche eclatanti di ticinesi licenziati per far posto a frontalieri pagati la metà, e in generale c’è molta preoccupazione per il dumping salariale che si sta registrando.

Domenica si è votato anche su un’altra iniziativa, proveniente in questo caso dalla sinistra, che prevedeva misure contro il dumping. L’iniziativa è stata respinta di poco, ma è stato approvato il controprogetto governativo. Un altro segnale dato dal popolo alla politica.

“Prima i nostri” è attuabile?

Una delle questioni fondamentali al momento riguarda proprio le possibilità concrete di applicare i principi iscritti nella Costituzione cantonale.

Il Ticino è autonomo fino a un certo punto: deve rendere conto alla Confederazione che a sua volta deve rispettare gli accordi presi con l’Unione Europea. Porre dei limiti ai frontalieri si scontra chiaramente con l’accordo sulla libera circolazione delle persone, già traballante dopo la famosa iniziativa (in questo caso federale) approvata il 9 febbraio del 2014 e denominata “Contro l’immigrazione di massa”.

Gli iniziativisti promettono di applicare i principi decisi domenica entro 6 mesi, ma il percorso è estremamente complesso, a partire dal fatto che l’UDC in Ticino non ha rappresentanti in Governo e –anche alleata con la Lega dei Ticinesi- non raggiunge la maggioranza nel parlamento. Uno scoglio questo, che il chiaro volere popolare dovrebbe però rendere valicabile: alcuni partiti contrari a “Prima i nostri” hanno già aperto a una soluzione, a patto che i promotori si assumano la responsabilità di proporla e difenderla. Un chiaro tentativo, questo, di mettere l’UDC all’angolo per impedirle in futuro di accusare gli avversari politici di non voler attuare la volontà popolare.

In seguito però saranno sicuramente da prevedere dei ricorsi a livello giuridico (già altre controverse misure relative al mercato del lavoro sono all’esame del tribunale Federale), e soprattutto la modifica costituzionale cantonale dovrà essere approvata dall’assemblea federale, quindi da Berna.

Oggettivamente pensare che il tutto possa avvenire in tempi brevi sembra molto difficile.

Lo scenario

Le difficoltà di attuazione oltretutto si inseriscono in un panorama molto più vasto che non si limita ai rapporti Svizzera-Unione Europea. Quest’ultima, infatti, è alle prese con Brexit e con moti indipendentisti in vari paesi, quindi fare troppe concessioni alla Confederazione per Bruxelles potrebbe rivelarsi oltremodo pericoloso.

Per riuscire a continuare a tenere il cosiddetto “piede in due scarpe”, recentemente il parlamento svizzero ha approvato la cosiddetta “applicazione light” dell’iniziativa contro l’immigrazione di massa, suscitando le ire dell’UDC, che chiedeva misure molto più drastiche. È quindi possibile che, se l’UE dovesse accettare questa proposta, il popolo sarà di nuovo chiamato al voto.

E questa volta gli svizzeri dovranno definitivamente scegliere se mantenere gli accordi bilaterali o camminare da soli.

Gino Ceschina

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