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“Arrestate il vescovo pedofilo”, la svolta di papa Francesco

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Di Aldo Sofia

“Userò il bastone, come Gesù nel tempio”, aveva ammonito papa Francesco. E in quel tempio che é, o dovrebbe essere, il Vaticano, il pontefice mite venuto “dalla fine del mondo” questa volta ha davvero usato il bastone. Con una prima assoluta nella storia della Chiesa cattolica, un autentico shock: l’arresto in Vaticano, e per pedofilia, dell’arcivescovo di origine polacca Joseph WesolowskiCollegamento esterno, ex nunzio apostolico a Santo Domingo, fatto rientrare a Roma, lo scorso giugno condannato nonché ridotto allo stato laicale dalla Congregazione per la dottrina della fede. Non finito in cella, ma ai domiciliari (a causa dei suoi problemi di salute, recita la versione ufficiale) nel Collegio dei Penitenzieri.

Più volte Bergoglio aveva promesso “tolleranza zero”, più volte aveva chiesto perdono (anche ricevendo alcune vittime), più volte aveva denunciato quella che ha definito “una lebbra che c’é nella Chiesa” e colpisce anche i vescovi e i cardinali”, più volte aveva ripetuto che non avrebbe fatto sconti a nessuno. Ma non c’erano state solo le parole. In dicembre aveva nominato la Commissione anti-pedofilia, e aveva voluto che ne facesse parte Marie Collins, una vittima di abusi in Irlanda. E ora la clamorosa decisione.

Non manca chi all’esterno avanzerà dubbi sulla tempistica, e sul “privilegio” di un processo dentro le “Mura Leonine”. Da tempo la Commissione delle Nazioni Unite per la tutela dei minori premeva sul Vaticano, polemizzando apertamente e sollecitando misure concrete contro il vescovo pedofilo accusato da innumerevoli e inequivocabili testimonianze. Mentre sia le autorità di San Domingo sia quelle di Varsavia si erano dovute arrendere (per mancanza di relativi trattati internazionali) all’impossibilità dell’estradizione del cittadino vaticano Wesolowski.

Ma è comunque innegabile che papa Francesco lanci oggi un messaggio netto, perentorio: nessuno, nella Chiesa, potrà contare in futuro su quelle coperture e quelle complicità che avevano garantito l’impunità a troppi preti, spesso semplicemente trasferiti da una parrocchia all’altra, messi così in condizione di commettere altri crimini. Nessuno ai vertici della Chiesa cattolica aveva fatto più di quanto sta facendo il pontefice argentino con l’odierno terremoto. Non Karol WojtylaCollegamento esterno, fiducioso della possibile redenzione dei colpevoli anche senza denunce e processi pubblici. Nemmeno Joseph RatzingerCollegamento esterno, a cui va comunque riconosciuto il merito, una volta diventato Benedetto 16esimo e di fronte alle rivelazioni internazionali sullo scandalo, di aver avviato la stagione della tolleranza zero. Una ferita per l’attuale papa emerito, che ebbe un sicuro peso nella rivoluzionaria decisione di dimettersi.

“Nel conclave mi sentivo come una penna in mano al buon Dio”, aveva detto un cardinale elettore del futuro papa. Alla penna Francesco ha aggiunto il bastone, mantenendo le promesse fatte alle vittime e ai ritrovati fedeli. Un ulteriore “strappo” rispetto alle pratiche del passato. Non tutti, dentro le Mura, apprezzeranno.

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