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Un “big bang” fiscale svizzero per le aziende?

Il governo elvetico ha elaborato una complessa riforma fiscale per abolire i privilegi per le società estere senza farle fuggire dalla Svizzera. La battaglia tra cantoni e tra partiti è aperta. Keystone

È ancora allo stadio preliminare, ma già il progetto del governo svizzero di equiparare l’imposizione delle imprese locali con quelle straniere, con il suo corollario di innovazioni fiscali, ha provocato un terremoto. Nella stampa elvetica si parla di “esercizi di equilibrismo” e “rivoluzione”.

“Rivoluzione nell’imposizione delle imprese”, titola il Corriere del Ticino, “La Svizzera lancia la sua rivoluzione sull’imposizione delle imprese” gli fanno eco Tribune de Genève e 24heures, mentre per Le Temps è “Uno shock fiscale a vantaggio delle imprese” e La RegioneTicino indica “Privilegi fiscali, si volta pagina”.

Ad eccezione di “Scemenze capitali” della Basler Zeitung, i titoli dei principali giornali della Svizzera tedesca sono piuttosto neutri: si va da “La Svizzera vuol difendere il suo zoccolo fiscale” del Tages-Anzeiger, al “Vasto pacchetto fiscale” della Neue Zürcher Zeitung, passando per “La progettata riforma fiscale conduce a massicce perdite di entrate” del Bund.

Il progetto in sintesi

Il piano di Riforma III dell’imposizione delle imprese prevede l’eliminazione degli statuti fiscali applicati dai Cantoni alle società holding, alle società di domicilio e quelle miste.

In totale la Riforma peserebbe sulle casse della Confederazione per 1,7 miliardi di franchi all’anno. La maggior parte di tale somma è costituita dal miliardo di franchi che Berna intende versare ai Cantoni a titolo di compensazione e che corrisponde al 50% delle perdite fiscali a loro carico.

A titolo di compensazione, il governo elvetico propone inoltre di introdurre nuovi strumenti fiscali, quali ad esempio i “licence box”, che consentono un’imposizione privilegiata, ossia più bassa, dei redditi generati dalla proprietà intellettuale (brevetti, marchi, fino ai procedimenti produttivi segreti).

Un’altra novità è l’imposta sull’utile con deduzione degli interessi, che dovrebbe sopprimere la differenza tra gli apporti di capitale interni ed esterni. I cantoni potranno poi abbassare il loro tasso d’imposizione degli utili delle imprese. Berna prevede che il tasso medio calerà dall’attuale 21,8% al 16%.

Il pacchetto contiene anche altre misure, come la nuova imposta sugli utili da capitale su titoli, che dovrebbe permettere di incassare 300 milioni di franchi all’anno.

La riforma prevede anche l’abolizione della tassa d’emissione sul capitale proprio e modifiche alla compensazione delle perdite.

(Fonte: Ats)

Il dibattito entrerà comunque nel vivo solo prossimamente. “I giochi non sono fatti”: la reazione del tesoriere del cantone di Vaud, Pascal Broulis, citata oggi dal quotidiano 24heures, è indicativa della battaglia che dovrà affrontare nei prossimi mesi la ministra elvetica delle finanze Eveline Widmer-Schlumpf per convincere gli attori della politica e dell’economia ad accettare la proposta di riforma fiscaleCollegamento esterno (vedi finestrella) presentata ieri.

Tutte le cerchie interessate avranno tempo fino al 31 gennaio 2015 per trasmettere il loro parere a Berna. Soltanto in seguito il governo sottoporrà il suo progetto definitivo all’esame del parlamento. L’esecutivo federale scalpita. Dopo che, dal 2005, ha sempre giocato sulla difensiva di fronte agli attacchi per obbligarla ad allinearsi agli standard dell’Organizzazione per cooperazione e lo sviluppo economico (OCSE) in materia fiscale, la Svizzera ora vorrebbe accelerare i tempi e partire in contropiede.

Salvare capra e cavoli

Il vasto piano rappresenta “un profondo sconvolgimento degli equilibri fiscali del paese che risponde in primo luogo alle pressioni esterne: la Svizzera deve abbandonare gli statuti speciali riservati in maggioranza alle aziende estere e che, agli occhi dell’OCSE costituiscono una ‘concorrenza fiscale dannosa’”, sottolinea il giornale vodese.

Messa alle strette dall’OCSE e dall’Unione europea, per uscire definitivamente dalle liste nere e grigie, la Svizzera ha cercato una soluzione che soddisfi le esigenze internazionali che però non le faccia perdere l’attrattiva della sua piazza fiscale. Anzi, l’obiettivo dichiarato da Eveline Widmer-Schlumpf è di rafforzarla.

Berna non può certo “uccidere la gallina dalle uova d’oro”, rilevano la Tribune de Genève e il 24heures. Vale a dire che non può rischiare di far fuggire le società estere, che oggi beneficiano condizioni fiscali preferenziali rispetto a quelle svizzere, aumentando le loro imposte. La posta in gioco è infatti enorme: attualmente queste aziende “a statuto speciale” fanno confluire nelle casse federali circa 4 miliardi di franchi all’anno, ricordano i due quotidiani romandi. Una somma che corrisponde a quasi la metà del gettito totale dell’imposta sull’utile incassato dalla Confederazione.

Una lotta tra cantoni e tra partiti

Perciò Berna ha scelto la via inversa per abolire le disparità di trattamento: i cantoni dovranno abbassare l’aliquota dell’imposizione ordinaria per tutte le imprese. In altri termini si dovrà “adescare diversamente”, commenta Le Temps, che definisce il progetto di riforma “un rompicapo molto più complesso di un cubo Rubik”.

Perché per compensare le entrate fiscali che verranno così a mancare alla Confederazione e ai Cantoni, il ministero federale delle finanze ha dovuto escogitare tutta una serie di provvedimenti paralleli. Questo significa dover “riunire per un progetto comune ventisei cantoni, ventisei piazze finanziarie ed economiche per le quali esso ha dei significati molto diversi”, scrive il quotidiano romando. Di conseguenza “ognuno difenderà i propri interessi con astio nei prossimi mesi e anni”.

E non solo: si dovrà anche “trovare un compromesso tra una sinistra che reclama la massima compensazione delle perdite di introiti fiscali e di una destra che non vuol sentire parlare di un’imposta sugli utili di capitale, in nessuna forma”, avverte il commentatore di Le Temps.

Anche Der Bund e il Tages-Anzeiger sottolineano l’opposizione suscitata dal progetto: “La sinistra si ribella contro i tagli fiscali generali per le aziende che devono decidere i Cantoni. La destra una battaglia contro un’imposta sugli utili da capitale, che dovrebbe compensare parte delle entrate fiscali miliardarie che verrebbero a mancare. È dunque possibile che un naufragio del pacchetto di riforme in parlamento o nelle urne”.

Il problema della Svizzera è la dipendenza da quelle imprese che ha attirato dall’esterno. “Non può sbarazzarsi completamente delle aziende privilegiate, perché ora contribuiscono a livello federale con quattro miliardi di franchi la metà della tassa di profitto. Allo stesso tempo non è più possibile legare insieme un pacchetto che contenga una carta vincente per tutti”, commentano i due quotidiani.

Per la Neue Zürcher Zeitung (NZZ) si tratta di “un grosso bouquet assortito, che contiene un po’ di tutto. Il Consiglio federale ha legato insieme alcune cose belle e alcune brutture. Il pezzo più bello che colpisce l’occhio è che la Confederazione non intende toccare l’autonomia fiscale e finanziaria dei Cantoni. Spetta a ogni Cantone trovare la via per reagire a un eventuale esodo di imprese e adattare il livello di imposizione. È giusto così: i Cantoni potranno continuare a decidere autonomamente le loro aliquote fiscali”.

La NZZ non pronostica un fallimento certo, ma avverte che “il pericolo esiste. Il ricco bouquet del Consiglio federale sarà probabilmente scompigliato. Non sarà necessariamente un male. L’imperativo è che alla fine risulti una solida riforma”.

La necessità di agire

La Svizzera non ha scelta: deve agire, sottolineano in un commento congiunto i quotidiani Aargauer Zeitung, Solothurner Zeitung e Südostschweiz. “Non fare niente, come esige provocatoriamente l’UDC [Unione democratica di centro, destra conservatrice, Ndr.], è un cattivo consiglio. L’indegna azione di retroguardia con il segreto bancario ci insegna che chi vuole influenzare gli sviluppi internazionali dovrebbe agire con lungimiranza. Non si tratta di una genuflessione della Svizzera. Si tratta di attenersi a norme vincolanti internazionali in materia di tassazione delle società”.

Secondo il commentatore dei tre quotidiani svizzeri tedeschi, la proposta governativa è utile. È “un mix intelligente tra perdite fiscali e nuove entrate. Il Consiglio federale è anche riuscito in certo qualmodo ad evitare che alla fine debbano essere le famiglie a pagare lo scotto di minori imposte per le aziende”.

Una “scemenza capitale”

Diametralmente opposta l’opinione della Basler Zeitung (BaZ), che critica il governo praticamente su tutta linea. “Chi tassa gli utili delle imprese, distrugge denaro che sarebbe investito in altre parti della società e dei suoi dipendenti o sarebbe distribuito agli azionisti per il loro rischio. È banale: la migliore imposizione sulle società per il benessere generale sarebbe non averne alcuna”

Il giudizio della BaZ è severo anche riguardo alla proposta di imposta sugli utili di capitale. “Distrugge la dinamica della nostra economia di mercato, basata sul principio del risparmio: i risparmi degli uni sono investiti personalmente o tramite la propria banca in buone idee economiche degli altri. Per un paese senza risorse naturali, l’imposta sugli utili da capitale sono una scemenza capitale”.

Reazioni divergenti

Le prime reazioni contrastanti al progetto governativo di Riforma III dell’imposizione delle imprese sono contrastanti. La sinistra e i sindacati approvano la volontà di sopprimere i regimi fiscali speciali esistenti in alcuni cantoni, ma contestano quelli che vengono definiti “regali alle imprese”. Per la destra e le associazioni economiche il governo va nella giusta direzione, ma dal loro punto di vista nuove tasse non sono necessarie.

Secondo il Partito liberale radicale (PLR), le eventuali perdite fiscali vanno compensate con le eccedenze strutturali del budget della Confederazione e non con nuove imposte. Per l’organizzazione delle imprese svizzere Economiesuisse “la revisione dell’imposizione del capitale delle persone fisiche – che l’associazione giudica discutibile – non trova posto in questo progetto”. Critiche a questo nuovo balzello sono espresse anche da PLR, Unione democratica di centro (UDC) e Partito borghese democratico (PBD).

Quest’ultimo è globalmente soddisfatto del progetto, presentato dalla sua ministra, che ha il merito di rafforzare la piazza economica elvetica con soluzioni accettate a livello internazionale. L’UDC, invece, non capisce come mai il governo metta ora il progetto in consultazione dato che le esigenze dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OCSE) non sono ancora del tutto chiare. Per i democentristi occorre legare la riforma della tassazione delle imprese con altri dossier europei ancora aperti.

Per i liberali radicali la riforma è invece urgente. Ogni ritardo crea insicurezza giuridica che potrebbe portare numerose società internazionali a lasciare la Svizzera. Per Economiesuisse il progetto ha il vantaggio di “rafforzare la certezza giuridica e di pianificazione di cui le imprese attive a livello internazionale hanno bisogno”.

Per il Partito socialista e l’Unione sindacale svizzera (USS) è invece impensabile finanziare la riforma con il budget ordinario della Confederazione. Tocca alle imprese e ai loro azionisti pagare i costi della riforma.

Per l’USS è “incomprensibile il fatto che i cantoni che in passato hanno concesso privilegi fiscali esagerati, oggi ricevano soldi dalla Confederazione per correggere i loro errori”. PS e USS accolgono con favore la soppressione dei regimi fiscali speciali cantonali e la nuova imposta sugli utili da capitale.

(Fonte: Ats)


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