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I volti delle vittime dei collocamenti coatti

ritratti di due persone appesi su un cartellone
Le 'gioventù rubate' a migliaia di ragazzi svizzeri erano già state tema di una mostra del fotografo Peter Klaunzer. © Keystone / Christian Beutler

La commissione di esperti incaricata dal Governo svizzero di riesaminare la storia degli internamenti amministrativi coatti ha pubblicato lunedì il primo di una serie di dieci volumi per fare luce su questa triste pagina.

È probabilmente uno dei capitoli più bui della storia contemporanea svizzera. tra il 1930 e il 1981, decine di migliaia di bambini e adolescenti – i cosiddetti “Verdingkinder” in tedesco – furono collocati d’autorità in aziende artigianali o agricole, dove erano considerati manodopera a basso costo, in istituti severamente gestiti o addirittura in penitenziari, talvolta senza decisione giudiziaria.

In questi istituti “hanno patito violenze fisiche e psichiche, sfruttamenti, maltrattamenti e abusi sessuali allora separati dai loro genitori e dei fratelli”, secondo la descrizione dell’Ufficio federale di giustizia.

Modi di vita non conformi

Queste persone – ricorda la Commissione peritale indipendente internamenti amministrativiCollegamento esterno (CPI) – “non erano internate per aver commesso un delitto, ma perché le loro azioni e il loro modo di vita non erano conformi alle norme sociali dell’epoca dal punto di vista delle autorità”. Le donne “dissolute” prese di mira potevano vedersi costrette ad abortire, a farsi sterilizzare o a dare in adozione il proprio figlio o figli.

Il servizio della RSI:

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Il primo tomo pubblicato dalla commissione – presieduta dall’ex consigliere di Stato zurighese socialista Markus Notter e composta di nove storici ed esperti negli ambiti della psichiatria, del diritto e delle scienze sociali – è intitolato “Volti dell’internamento amministrativoCollegamento esterno” e presenta 60 ritratti di vittime: foto in bianco e nero e brevi testi biografici in tedesco, francese o italiano in cui sono illustrate le conseguenze, anche drammatiche, delle misure coercitive vissute dagli interessati.

Tra maggio e giugno seguiranno altri otto volumi in cui saranno presentate le varie sfaccettature di questo provvedimento, la sua storia culturale e sociale, la sua legittimazione, l’applicazione pratica, la dimensione quantitativa, con una valutazione differenziata del numero delle persone interessate, 58 interviste biografiche, una selezione di testi redatti da vittime. Per settembre è infine previsto il rapporto di sintesi e con le raccomandazioni al governo.

Per sensibilizzare il grande pubblico a questo capitolo poco edificante della recente storia elvetica è prevista anche una mostra itinerante: a partire da lunedì a Berna, fino al 3 giugno sarà allestita durante una settimana in diverse piazze centrali di 12 città svizzere.

Alla fine del 2014 l’imprenditore Guido Fluri aveva consegnato una iniziativa popolare per la riparazione che chiedeva 500 milioni di franchi per le vittime. A distanza di neanche due anni le Camere hanno approvato un controprogetto indiretto che prevedeva un fondo per il contributo solidale di 300 milioni, in modo da poter destinare a tutti un contributo solidale di un massimo di 25’000 franchi. Le richieste di risarcimento presentate entro il termine fissato al 31 marzo 2018 sono state quasi 9’000.

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