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L’accordo fiscale spiegato a tutti

Una cassaforte in comune? tvsvizzera

Dopo tre anni di negoziati è stata dunque trovata un'intesa sul dossier fiscale tra Svizzera e Italia. Cerchiamo di capire di cosa si tratta nel modo più semplice possibile.

Perché era necessario un accordo fiscale?

Tutto parte da una particolarità svizzera: il segreto bancario. In pratica chi deteneva capitali nella Confederazione finora era “al sicuro” dal fisco. Fosse svizzero, italiano, o neozelandese, il titolare del conto poteva decidere autonomamente se dichiarare o meno i propri averi.

Questo, ovviamente, non piaceva né all’Italia né alla Nuova Zelanda, mentre altrettanto ovviamente non dispiaceva affatto alle banche svizzere che ci hanno in parte costruito le proprie fortune.

Questo ha fatto sì che la Svizzera venisse messa nella cosiddetta Black list dei paradisi fiscali, con pesanti conseguenze per finanza ed economia. Gli accordi fiscali realizzati con i vari paesi servono quindi alla Svizzera per uscire dalle black list e non avere più restrizioni commerciali e finanziarie.

In pratica la Confederazione ha sacrificato il segreto fiscale in cambio dell’uscita dalla black list.

Cosa dice l’accordo fiscale?

Si tratta di un documento molto articolato e complesso che peraltro è ancora in consultazione e verrà firmato entro il 2 marzo 2015, ma la questione principale, oltre all’uscita della Svizzera dalla black list, è quella dello scambio di informazioni. In pratica, detto un po’ brutalmente, il titolare di un conto svizzero non sarà più “protetto” dal segreto fiscale: se l’Italia chiederà informazioni sui suoi averi, le otterrà.

Chi ci guadagna?

Lo stato italiano che potrà perseguire gli evasori fiscali, ma che soprattutto potrà entrare in possesso delle tasse sui capitali che i suoi cittadini decideranno di dichiarare al fisco dopo questo accordo. Infatti, chi ha capitali in nero potrà dichiarali pagando una multa (che in buona parte potrebbe essere compensata dallo sblocco del cambio euro franco), e potrà riportarli i patria o lasciarli nella banche svizzere (ma in ogni caso pagandoci le tasse).

Ci guadagnano anche la finanza, l’industria e il commercio svizzeri che saranno ora facilitati nei rapporti con l’Italia ed avranno molte meno restrizioni.

Chi ci perde?

In teoria gli evasori. In teoria perché naturalmente non mancano altri paradisi fiscali interessati ad accogliere fondi neri, chiaramente. E molti sostengono che buona parte dei capitali “a rischio fisco” in realtà abbiano già da tempo lasciato la Confederazione.

D’altro canto chi deciderà di rimettersi in regola, grazie alla Voluntary disclosure, potrà approfittare della possibilità di autodenunciarsi senza alcuna conseguenza penale, nonostante la recente introduzione del reato di autoriciclaggio.

Chi pareggia?

La Svizzera e le banche svizzere. Da un lato ci sarà (se non c’è già stata) una fuga di capitali all’estero, ma d’altro canto si normalizzano i rapporti con l’Italia e le banche potranno mantenere la clientela italiana in regola col fisco.

Le questioni di frontiera.

Anche qui si tratta sostanzialmente di un pareggio.

I frontalieri continueranno per il momento ad esser tassati all’incirca quanto oggi. Solo che invece di pagare tutte le tasse alla Svizzera (che poi riversa il 39% ai comuni di domicilio in Italia) ne pagheranno all’incirca 2/3 in Svizzera e 1/3 in Italia. Questo per ora sulla base delle aliquote attuali (svizzere) anche se in futuro è verosimile che il 30% di “tasse italiane” verrà armonizzato con le aliquote di quel paese (più alte).

Pareggiano, in teoria, anche i comuni di frontiera, che dovrebbero quindi vedersi garantito il gettito che finora ricevevano tramite i cosiddetti ristorni svizzeri.

Pareggia (ma potrebbe vince ai rigori) il Ticino: non perde nulla sulla tassazione dei frontalieri e potrebbe anche guadagnarci se rinegoziando la quota parte italiana delle stesse riuscisse a ottenere una percentuale più alta di quella attuale.

red tvsvizzera/gin

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