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Accordo fiscale, via libera all’Agenzia delle Entrate

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Le conseguenze dell'intesa italo-svizzera per i contribuenti con conti non dichiarati nelle banche elvetiche

Costerà meno rimpatriare i soldi non dichiarati dalla Svizzera ma è l’ultima spiaggia per i contribuenti “indisciplinati”. Questo, se si vuole, è il sunto dell’accordo contro la doppia imposizione che sarà stipulato entro il 2 marzo da Roma e Berna e che si innesta nella voluntary disclosure, l’autodenuncia fiscale approvata negli scorsi mesi dalle Camere italiane. Un’intesa gradita sia a Roma, che si attende un rapido afflusso di capitali evasi grazie a procedure più snelle, sia a Berna che con tale intesa otterrà la sua cancellazione dalla Lista Nera che penalizza operatori economici e finanziari elvetici sui mercati internazionali. Ma è gradita anche dal sistema bancario elvetico, e in particolare quello ticinese, che pone fine così al periodo di incertezze sul piano giuridico e operativo, connesse con le potenziali inchieste giudiziarie che avrebbero potuto coinvolgere clienti e istituti finanziari.

Le ragioni dell’intesa

Ma perché c’era l’esigenza di questo accordo? L’interrogativo si può porre, dal momento che comunque la Confederazione aveva annunciato che dal 2018 aderirà agli standard di trasparenza definiti a livello OCSE che prevedono lo scambio automatico di informazioni fiscali e, conseguentemente, la fine del segreto bancario (per i contribuenti non domiciliati) che ha caratterizzato per decenni la piazza elvetica. Per la Confederazione era indispensabile garantire un passaggio graduale e senza scossoni alla deadline del 2018, consentendo alla piazza finanziaria di attrezzarsi al fine di mantenere competitività e qualità dei servizi nel nuovo contesto internazionale.

Sul versante italiano esigenze di bilancio statale rendevano invece necessaria una celere contabilizzazione delle risorse fiscali di sua competenza, senza attendere l’esito di futuri accertamenti. Occorreva inoltre migliorare le condizioni per il successo della voluntary disclosure, la manovra di rimpatrio dei capitali sottratti al fisco che per buona parte – si parla di 150-200 miliardi di euro – si trovano proprio in Svizzera. E l’intesa che a questo punto deve essere solo formalizzata indubbiamente agevola l’operazione che nelle intenzioni del governo italiano dovrebbe avere maggiore successo rispetto ai precedenti scudi fiscali accolti con ostilità a nord di Chiasso.

I presupposti dell’intesa

Con la sparizione del segreto bancario e la recente introduzione del reato di autoriciclaggio (seppur edulcorato nell’ultima versione passata alle Camere) ai titolari di conti non dichiarati in Svizzera viene concessa un’ultima possibilità per regolarizzare i loro capitali. Un’ulteriore spinta arriverà quindi dalla modifica dell’accordo contro la doppia imposizione che offre al contribuente italiano di sanare la sua posizione alle stesse condizioni di quelle dei contribuenti con somme in paesi non blacklist.

Peculiarità del patto

Questo si traduce nel dimezzamento dei tempi di prescrizione a 5 anni e sanzioni mitigate, in aggiunta al pagamento delle imposte arretrate, rispetto a quanto si prospettava in mancanza d’intesa. Inoltre le situazioni precedenti all’imminente stipula dell’accordo rischiano di rimanere sottratte agli accertamenti fiscali contro i quali, di fatto, potrà ancora essere opposto il segreto bancario secondo le vecchie regole. E non saranno autorizzate ricerche generalizzate e indiscriminate di presunti evasori (fishing expedition) e quelle di rilevanza fiscale “non verosimile”. D’altro canto l’introduzione dello scambio di informazioni “a richiesta”, in attesa di quello generalizzato nel 2018, avrà una portata molto più ampia e potrà essere attivato dalla stessa Agenzie delle entrate, bypassando complicate e gravose procedure rogatoriali attraverso procure e uffici diplomatici.

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